La mia massima
Molti si improvvisano filosofi...nessuno si improvvisa matematico!
Risposte
La filosofia intesa come una modalità di "problem solving", mi pare sia proprio della tradizione anglo-americana, altresì l'idea di una "specializzazione" secondo un ambito d'oggetti ad essa estrinseci. Vien da chiedersi, perché mai si debba ancora chiamare filosofia una tal "scienza", quale sarebbe, infatti il suo specifico? Esso viene a cadere nel momento stesso in cui la si lega (la filosofia) al problema o ad un ambito demarcato del conoscere. D'altro canto, leggo nel tuo post che "la filosofia è pur sempre una disciplina dei fondamenti". Devo arguire che il senso di filosofia regionale sia quello di una scienza dei fondamenti dei rispettivi sapereri. Perché allora non parlare di epistemologia tout court? Ma anche tenendo il termine di filosofia, per quanto indebolito, essa avrebbe la necessità di fare comunque un'opzione di fondo circa l'epistemologia da tenere, il metodo da applicare, la nozione di oggetto su cui operare, ecc. tutti atti squisitamente filosofici, di una filosofia scientifica che non sia alla mercé del campo d'indagine, ma principio conoscitivo critico ed ordinatore di quel campo. Così intendo parafrasare il detto per cui "se non si deve filosofare si deve filosofare". Seguendo l'impostazione regionale, corretta per quel residuo di filosofia propriamente detta che vi si conserva, la filosofia sembra assumere la valenza di una scientia super partes, in quanto é ancora una scienza dei fondamenti. Da un lato si fa ancella del campo d'indagine, dall'altro autodetermina il valore delle proprie competenze, ossia mantiene una relazione coi principi primi.
Provo un certo disorientamento nel cercare di ravvisare che cosa é filosofia nel "regno di mezzo" in cui é stata posta.
Certo é che se della filosofia si ha una tale idea, un'idea direri funzionale e ai problemi e agli oggetti, quasi nulla di "continentale"é filosofia, ma di conserva é narrativa, poesia, romanzo, saggio. E, poiché Platone & C sono passati, lo stesso si può dire tutto quanto precede l'evo presente, da parte analitica.
Mi sembra di camminare sul clivo della eterna querelle di "qual é la vera filosofia"?
L'Ottocento ha visto l'épanuissement de l'Esprit nella filosofia di Hegel (NB la Hegel renaissance americana!), il Novecento ha visto lo Spirito ritrovarsi in una filosofia ancora più razionale e più reale, quella analitica. La presente vera filosofia.
Fortunatamente la storia non é stata fedele al verdetto di Hegel, e chissà se lo sarà a quello degli Analitici. Dico, fortunatamente, non a scapito di Hegel, ma in favore dell'humus culturale da cui la o le filosofie sono continuate a generarsi nella seconda metà dell'800, irraggiandosi nel primo '900, secondo le linee della filosofia fenomenologica, della filosofia ermeneutica, della filosofia come linguaggio, ma anche della filosofia come logica, della filosofia come critica e critica storica. Di certo, almeno qui sul Continente, e con l'inzione di pervenire ad una scientificità -per esempio si pensi alla Brentano schoole. Ma anche laddove la scientificità della filosofia non deriva o compare come evidente struttura logica, per esempio in ermeneutica, nel personalismo, nell'esistenzialismo, forse si deve ammettere una "diversa" scientificità. E con la diversa scientificità, forse si deve parlare di un diverso modello di razionalità, e di ragione. Se si tenesse per ricchezza la varietà di pensieri occorsi lungo la storia, i mutamenti di significato di certe nozioni - per esempio quello di "natura" (essenza) -, forse si farebbe meno fatica ad accogliere non in antitesi, ma come espressioni di filosofia, i filoni di pensiero analitico e i filoni di pensiero continentale. Avrei potuto dire espressioni di un paradigma filosofico, ma mi sarei contraddetto. Non solo, avrei detto una fesseria, ché se c'è una forma della conoscenza senza paradigma é proprio o sono proprio le filosofie. Talmente la loro vita dipende dal momento fondativo, non inteso come problema da risolvere, bensì come tema da sviscerare, opera teoretica da elaborare. Se per ipotesi il progetto husserliano della filosofia senza presupposti fosse andato in porto, la filosofia sarebbe morta con esso. E' significativo come i grandi filosofi difettino in senso profetico circa la vita e l'esito futuro della loro opera. Vi si erge contro l'Ironia della Storia, ciò per cui appena Hegel ebbe consegnato al suo Secolo ciò che esso agognava, il Sistema si sciolse in mille rivoli, e nel giro di pochi anni, era già diventato "historia gestarum".
Non ho inteso, così scrivendo, discutere di una contrapposizione vera, forse, fino ai primi anni '90, quanto piuttosto indicare delle piste di possibile percorrenza verso una comprensione del carattere plurale e storico delle filosofie. Lasciando agli specialisti del mestiere l'utilizzo metafilosofico dell'antitesi analitici e continentali. Il piano proprio di un eventuale confronto essendo indicato nella metafilosofia. E, tuttavia, a sua volta questa theoria dovrebbe esibire le proprie credenziali: o si fonda per sé, o deve fondarsi mediante altro. All'orizzonte contemporaneo rimangono effettivamente le "due metà del mondo".
ciao
Provo un certo disorientamento nel cercare di ravvisare che cosa é filosofia nel "regno di mezzo" in cui é stata posta.
Certo é che se della filosofia si ha una tale idea, un'idea direri funzionale e ai problemi e agli oggetti, quasi nulla di "continentale"é filosofia, ma di conserva é narrativa, poesia, romanzo, saggio. E, poiché Platone & C sono passati, lo stesso si può dire tutto quanto precede l'evo presente, da parte analitica.
Mi sembra di camminare sul clivo della eterna querelle di "qual é la vera filosofia"?
L'Ottocento ha visto l'épanuissement de l'Esprit nella filosofia di Hegel (NB la Hegel renaissance americana!), il Novecento ha visto lo Spirito ritrovarsi in una filosofia ancora più razionale e più reale, quella analitica. La presente vera filosofia.
Fortunatamente la storia non é stata fedele al verdetto di Hegel, e chissà se lo sarà a quello degli Analitici. Dico, fortunatamente, non a scapito di Hegel, ma in favore dell'humus culturale da cui la o le filosofie sono continuate a generarsi nella seconda metà dell'800, irraggiandosi nel primo '900, secondo le linee della filosofia fenomenologica, della filosofia ermeneutica, della filosofia come linguaggio, ma anche della filosofia come logica, della filosofia come critica e critica storica. Di certo, almeno qui sul Continente, e con l'inzione di pervenire ad una scientificità -per esempio si pensi alla Brentano schoole. Ma anche laddove la scientificità della filosofia non deriva o compare come evidente struttura logica, per esempio in ermeneutica, nel personalismo, nell'esistenzialismo, forse si deve ammettere una "diversa" scientificità. E con la diversa scientificità, forse si deve parlare di un diverso modello di razionalità, e di ragione. Se si tenesse per ricchezza la varietà di pensieri occorsi lungo la storia, i mutamenti di significato di certe nozioni - per esempio quello di "natura" (essenza) -, forse si farebbe meno fatica ad accogliere non in antitesi, ma come espressioni di filosofia, i filoni di pensiero analitico e i filoni di pensiero continentale. Avrei potuto dire espressioni di un paradigma filosofico, ma mi sarei contraddetto. Non solo, avrei detto una fesseria, ché se c'è una forma della conoscenza senza paradigma é proprio o sono proprio le filosofie. Talmente la loro vita dipende dal momento fondativo, non inteso come problema da risolvere, bensì come tema da sviscerare, opera teoretica da elaborare. Se per ipotesi il progetto husserliano della filosofia senza presupposti fosse andato in porto, la filosofia sarebbe morta con esso. E' significativo come i grandi filosofi difettino in senso profetico circa la vita e l'esito futuro della loro opera. Vi si erge contro l'Ironia della Storia, ciò per cui appena Hegel ebbe consegnato al suo Secolo ciò che esso agognava, il Sistema si sciolse in mille rivoli, e nel giro di pochi anni, era già diventato "historia gestarum".
Non ho inteso, così scrivendo, discutere di una contrapposizione vera, forse, fino ai primi anni '90, quanto piuttosto indicare delle piste di possibile percorrenza verso una comprensione del carattere plurale e storico delle filosofie. Lasciando agli specialisti del mestiere l'utilizzo metafilosofico dell'antitesi analitici e continentali. Il piano proprio di un eventuale confronto essendo indicato nella metafilosofia. E, tuttavia, a sua volta questa theoria dovrebbe esibire le proprie credenziali: o si fonda per sé, o deve fondarsi mediante altro. All'orizzonte contemporaneo rimangono effettivamente le "due metà del mondo".
ciao
Ciao
il tuo intervento ti fa onore!
Sai, ti ringrazio per le precisazioni che hai apportato, sì che mi sembra che non solo "siamo in dialogo", ma che ci si possa intendere. Così quel "tranchant" s'è liquidato tu scrivendo ed io leggendoti. Aggiungo solo una mia precomprensione sulla filosofia in generale, ovvero sull'intenzione che deve muovere un filosofo che sia tale.
Credo che almeno il compito fondativo e la verifica critica delle teorie, o della propria teoria, di visione del mondo lo debbano caratterizzare. Sarò rimasto affascinato dai Romantici e dai Razionalisti del sec. XVIII/XIX, tuttavia, questi "classici" mi offrono il sentore che la filosofia é un esercizio serio, un compito che il filosofo si assume nei confronti del reale e della sua epoca. Considera, per andare un po' oltre nel tempo, un Brentano presso cui rigore scientifico, formazione scientifica logico-matematica e spessore metafisico, si combinasno perfettamente, orientando la sua erudizione alla filosofia prima, alla conoscenza dei principi ultimi dell'esistente. E Prendiamo l'esito di questo suo impegno, che é consistito nel predisporre gli strumenti perché un Husserl, come disse egli stesso 'potesse scrivere due righe di filosofia', ed altri nomi si aggiungono, vedi Alexius Meinong, Christian von Ehrenfeld, Thomas Masaryk, ecc. Nomi per lo più, ignoti fuori della storia della filosofia. E se includiamo la dedizione didattica di Brentano i cui scritti sono ancora per la più parte inediti, e comunue noti e giudicati da chi li conosce come una miniera di spunti teoretici attualissimi, beh dico che Brentano é l'esempio di filosofo, e di filosofo "continentale" (mitteleuropeo?) che prediligo.
Credo, poi, che la specializzazione del filosofo sia necessaria, solo in caso intenda costruire una teoria regionale del sapere, una teoria completa intendo dire, un sistema. Non vedo, invece di cattivo occhio, quello che in questi termini potrebbe chiamarsi un eclettico, qualora l'intenzione del filosofo sia rivolta alla conoscenza del reale e dei suoi principi costitutivi. Non necessariamente, nel secondo caso si va incontro all'affabulazione e al mito (anche se il mito ha avuto e credo abbia ancora i suoi meriti), quanto piuttosto al metaracconto il quale ha un suo universo di linguaggio, e che può includere il simbolo e la metafora, la razionalità del paradosso, senza risultare meno intelleggibile, meno scientifico, meno razionale.
Son certo che se mettiamo in gioco la variabile linguaggio, o meglio l'universo di discorso, potremmo convenire sull'esistenza di una pluralità di lingue in filosofia, tante quanti sono i possibili rispetti sotto cui il reale e i principi del reale si danno a conoscere, e non in proporzione al numero delle teste. In quest'ottica vien spontaneo di pensare al ruolo fondamentale di un apparato logico-critico e storico-ermeneutico come vie alla 'traduzione', allo scambio, e reciproca comprensione delle filosofie. Così, almeno sono giunto fino a Gadamer e Ricoeur, per esempio, uscendo dall'800 - e tiro un sospiro di sollievo.
Avevo detto "e concludo", mi sa che lo faccio ora.
Questo per dire come la 'genealogia' delle teorie filosofiche abbia un suo peso, non necessariamente limitante, anzi. E' mia opinione, per esempio, che gran parte della Modernità, coi suoi pensatori da "Bigino" (Cartesio, Leibniz tanto per dire), non sono ancora stati veramente compresi e/o studiati, al punto che molte virtualità del loro pensiero vengono riscoperte, e riconosciute essere già invenute, riandando alle fonti. Il compito ermeneutico, dunque, oltre a quello fondativo ed epistemico, deve stare a cuore al filosofo d'oggi, che non voglia precludersi un rapporto sincronico e diacronico con la storia e la vita della filosofia.
(mi vien da dire Amen ... eh eh)
Grazie per gli spunti che mi hai dato col tuo intervento
Magari si prosegue, o si prende fiato .....
ciao
il tuo intervento ti fa onore!
Sai, ti ringrazio per le precisazioni che hai apportato, sì che mi sembra che non solo "siamo in dialogo", ma che ci si possa intendere. Così quel "tranchant" s'è liquidato tu scrivendo ed io leggendoti. Aggiungo solo una mia precomprensione sulla filosofia in generale, ovvero sull'intenzione che deve muovere un filosofo che sia tale.
Credo che almeno il compito fondativo e la verifica critica delle teorie, o della propria teoria, di visione del mondo lo debbano caratterizzare. Sarò rimasto affascinato dai Romantici e dai Razionalisti del sec. XVIII/XIX, tuttavia, questi "classici" mi offrono il sentore che la filosofia é un esercizio serio, un compito che il filosofo si assume nei confronti del reale e della sua epoca. Considera, per andare un po' oltre nel tempo, un Brentano presso cui rigore scientifico, formazione scientifica logico-matematica e spessore metafisico, si combinasno perfettamente, orientando la sua erudizione alla filosofia prima, alla conoscenza dei principi ultimi dell'esistente. E Prendiamo l'esito di questo suo impegno, che é consistito nel predisporre gli strumenti perché un Husserl, come disse egli stesso 'potesse scrivere due righe di filosofia', ed altri nomi si aggiungono, vedi Alexius Meinong, Christian von Ehrenfeld, Thomas Masaryk, ecc. Nomi per lo più, ignoti fuori della storia della filosofia. E se includiamo la dedizione didattica di Brentano i cui scritti sono ancora per la più parte inediti, e comunue noti e giudicati da chi li conosce come una miniera di spunti teoretici attualissimi, beh dico che Brentano é l'esempio di filosofo, e di filosofo "continentale" (mitteleuropeo?) che prediligo.
Credo, poi, che la specializzazione del filosofo sia necessaria, solo in caso intenda costruire una teoria regionale del sapere, una teoria completa intendo dire, un sistema. Non vedo, invece di cattivo occhio, quello che in questi termini potrebbe chiamarsi un eclettico, qualora l'intenzione del filosofo sia rivolta alla conoscenza del reale e dei suoi principi costitutivi. Non necessariamente, nel secondo caso si va incontro all'affabulazione e al mito (anche se il mito ha avuto e credo abbia ancora i suoi meriti), quanto piuttosto al metaracconto il quale ha un suo universo di linguaggio, e che può includere il simbolo e la metafora, la razionalità del paradosso, senza risultare meno intelleggibile, meno scientifico, meno razionale.
Son certo che se mettiamo in gioco la variabile linguaggio, o meglio l'universo di discorso, potremmo convenire sull'esistenza di una pluralità di lingue in filosofia, tante quanti sono i possibili rispetti sotto cui il reale e i principi del reale si danno a conoscere, e non in proporzione al numero delle teste. In quest'ottica vien spontaneo di pensare al ruolo fondamentale di un apparato logico-critico e storico-ermeneutico come vie alla 'traduzione', allo scambio, e reciproca comprensione delle filosofie. Così, almeno sono giunto fino a Gadamer e Ricoeur, per esempio, uscendo dall'800 - e tiro un sospiro di sollievo.
Avevo detto "e concludo", mi sa che lo faccio ora.
Questo per dire come la 'genealogia' delle teorie filosofiche abbia un suo peso, non necessariamente limitante, anzi. E' mia opinione, per esempio, che gran parte della Modernità, coi suoi pensatori da "Bigino" (Cartesio, Leibniz tanto per dire), non sono ancora stati veramente compresi e/o studiati, al punto che molte virtualità del loro pensiero vengono riscoperte, e riconosciute essere già invenute, riandando alle fonti. Il compito ermeneutico, dunque, oltre a quello fondativo ed epistemico, deve stare a cuore al filosofo d'oggi, che non voglia precludersi un rapporto sincronico e diacronico con la storia e la vita della filosofia.
(mi vien da dire Amen ... eh eh)
Grazie per gli spunti che mi hai dato col tuo intervento
Magari si prosegue, o si prende fiato .....
ciao
Per cominciare, una banale nota logico-insiemistica: non ho scritto che tutti i continentali o relativisti o postmodern sono dei cialtroni, ma che la maggioranza dei cialtroni milita tra le loro fila. Differenza non banale: pur in questa generalizzazione io critico le posizioni epistemologiche ed epistemiche impresentabili dei singoli, non l'intero filone. Un filone che, è bene ricordarlo, nasce storicamente in contrapposizione alla tradizione analitica ed al neopositivismo, per motivi solidi, come rispescaggio di una tradizione secolare - ed ha molti meriti, alcuni dei quali hai accennato nel tuo intervento.
Rimane il fatto che la scuola analitica ha mostrato che molti problemi filosofici sono falsi problemi, e alcuni validi continentali mostrano come alcuni problemi filosofici, classici quanto nuovi, siano intrattabili con i metodi analitici. Escludendo Rorty e pochi altri estremisti, l'idea è che ci troviamo di fronte ad una situazione di complementarietà. Su questo non discuto, anzi approvo e condivido questa ricchezza.
Il mio dissenso filosofico verso i Vattimo Severino Cacciari Galimberti è ancora più radicale, per motivi (in parte intuibili) la cui analisi ci porterebbe troppo OT.
La posizione del mio post è tuttavia estremamente chiara. Semplificando, scomparsi Platone e Kant, il filosofo odierno non può più permettersi di fare il tuttologo. Quindi, o fa l'epistemologo o si occupa pleno tempore di una tra etica, filosofia politica, metafisica, ermeneutica, teologia morale...: e allora, nella seconda ipotesi si deve avere il coraggio di ammettere pubblicamente che il suo parere sulla scienza vale meno di quello del mio edicolante di fiducia. Perché la scienza oggi è talmente complessa e ramificata che nessuno sano di mente può permettersi di filosofarvi attorno avendola orecchiata al liceo o in un corsettino di epistemologia aggiornato al 1860 o vivendo per qualche mese tra gli scienziati così come l'antropologo osserva le comunità neoprimitive. Altrimenti, se di scienza vuol parlare, il filosofo giovine o vecchio si cali appieno nelle problematiche e nel linguaggio (che sono logici, e matematici) della tradizione analitica. Peraltro non sono così tranchant: pur se dopo Frege e Russell pretendere di fare epistemologia in taluni modi è inammissibile e costituisce un crimine intellettuale, ci sono anche altre vie possibili rispetto alla tradizione analitica, come mostra ad esempio il grandissimo Gian-Carlo Rota.
Nella riflessione filosofica le cose non sono mai così nette, ma questo delle specializzazioni è un ideale al quale tendere: come l'idea che il filosofo, per dirsi tale, deve continuare a credere che in filosofia vi sia del serio lavoro da svolgere, domande sensate che ammettono risposte razionali (o ragionevoli), problemi aperti che possono essere affrontati e risolti. Quelli che classifico simpaticamente come cialtroni, o chiacchieroni, hanno su questo punto fondamentale idee radicalmente diverse dagli analitici e dai "filosofi di buona volontà", quelli che in qualsiasi corrente fanno "buona filosofia". Si deve insomma avere il coraggio di ammettere che certa paccottiglia altro non è che cattiva filosofia, secondo canoni di riferimento che sono pressoché universali: la filosofia è pur sempre una disciplina dei fondamenti, non un'opera letteraria di genere fantastico nella quale tutto sta bene con tutto e "everything goes", per dirla con il geniale provocatore Feyerabend. Ma se le sue provocazioni sono intelligenti e trattano una materia a lui nota, pretendere di utilizzare le fumose argomentazioni di un Lucas o di un Derrida per demolire o anche solo mettere in discussione l'approccio epistemologico analitico e suoi derivati è, più che una fallacia, una scorretta invasione di campo, ai limiti del nonsense (e spesso anche oltre i limiti del ridicolo).
Ci sarebbe da aggiungere che la questione analitici vs continentali è ormai soprattutto storica: i contemporanei, con pochissime eccezioni, muovono da e soprattutto verso altre posizioni. Ma queste categorie rimangono comode, se non altro, per rapide analisi di massima - come questa fugace discussione.
Rimane il fatto che la scuola analitica ha mostrato che molti problemi filosofici sono falsi problemi, e alcuni validi continentali mostrano come alcuni problemi filosofici, classici quanto nuovi, siano intrattabili con i metodi analitici. Escludendo Rorty e pochi altri estremisti, l'idea è che ci troviamo di fronte ad una situazione di complementarietà. Su questo non discuto, anzi approvo e condivido questa ricchezza.
Il mio dissenso filosofico verso i Vattimo Severino Cacciari Galimberti è ancora più radicale, per motivi (in parte intuibili) la cui analisi ci porterebbe troppo OT.
La posizione del mio post è tuttavia estremamente chiara. Semplificando, scomparsi Platone e Kant, il filosofo odierno non può più permettersi di fare il tuttologo. Quindi, o fa l'epistemologo o si occupa pleno tempore di una tra etica, filosofia politica, metafisica, ermeneutica, teologia morale...: e allora, nella seconda ipotesi si deve avere il coraggio di ammettere pubblicamente che il suo parere sulla scienza vale meno di quello del mio edicolante di fiducia. Perché la scienza oggi è talmente complessa e ramificata che nessuno sano di mente può permettersi di filosofarvi attorno avendola orecchiata al liceo o in un corsettino di epistemologia aggiornato al 1860 o vivendo per qualche mese tra gli scienziati così come l'antropologo osserva le comunità neoprimitive. Altrimenti, se di scienza vuol parlare, il filosofo giovine o vecchio si cali appieno nelle problematiche e nel linguaggio (che sono logici, e matematici) della tradizione analitica. Peraltro non sono così tranchant: pur se dopo Frege e Russell pretendere di fare epistemologia in taluni modi è inammissibile e costituisce un crimine intellettuale, ci sono anche altre vie possibili rispetto alla tradizione analitica, come mostra ad esempio il grandissimo Gian-Carlo Rota.
Nella riflessione filosofica le cose non sono mai così nette, ma questo delle specializzazioni è un ideale al quale tendere: come l'idea che il filosofo, per dirsi tale, deve continuare a credere che in filosofia vi sia del serio lavoro da svolgere, domande sensate che ammettono risposte razionali (o ragionevoli), problemi aperti che possono essere affrontati e risolti. Quelli che classifico simpaticamente come cialtroni, o chiacchieroni, hanno su questo punto fondamentale idee radicalmente diverse dagli analitici e dai "filosofi di buona volontà", quelli che in qualsiasi corrente fanno "buona filosofia". Si deve insomma avere il coraggio di ammettere che certa paccottiglia altro non è che cattiva filosofia, secondo canoni di riferimento che sono pressoché universali: la filosofia è pur sempre una disciplina dei fondamenti, non un'opera letteraria di genere fantastico nella quale tutto sta bene con tutto e "everything goes", per dirla con il geniale provocatore Feyerabend. Ma se le sue provocazioni sono intelligenti e trattano una materia a lui nota, pretendere di utilizzare le fumose argomentazioni di un Lucas o di un Derrida per demolire o anche solo mettere in discussione l'approccio epistemologico analitico e suoi derivati è, più che una fallacia, una scorretta invasione di campo, ai limiti del nonsense (e spesso anche oltre i limiti del ridicolo).
Ci sarebbe da aggiungere che la questione analitici vs continentali è ormai soprattutto storica: i contemporanei, con pochissime eccezioni, muovono da e soprattutto verso altre posizioni. Ma queste categorie rimangono comode, se non altro, per rapide analisi di massima - come questa fugace discussione.
"Andrea69":
Non entro nel merito della questione (il tempo è tiranno !), ma mi limito a ricordare - un po' burocraticamente, forse - che nell'ultimo secolo si fa decisamente fatica a separare filosofi e matematici: Russell, Whitehead, Quine, Kripke, Putnam, Feferman e praticamente tutti i logici e filosofi analitici dovrebbero essere distribuiti equamente dai due lati dello steccato ideale... certo, ci sono anche filosofi chiacchieroni e (questi sì) perditempo, in buona parte militanti nelle fila dei "continentali", relativisti, postmodernisti e propalatori del "pensiero debole", in sostanza i destinatari della poderosa beffa di Alan Sokal.
Sta di fatto che, dopo Frege, non si può più fare finta che non esistano le specializzazioni in filosofia.
Ciao,
come iniziare? Ti ho quotato perché mi ha colpito (ahi!) il modo con cui liquidi l'altra metà del mondo (per analogia col "sesso debole") come affabulatori e sfaccendati, in particolare sto pensando alla fine magra di un Severino, o di un Vattimo. La tua posizione é così transchante!
Tanto che pare sottintendere più una precomprensione sui generis verso il meno noto, ed un avvallo potente del più noto, vedi analitici e i "baroni" che hai citato. Sarà che la vita degli analitici é ancora precaria qui in Italia, nonostante un Lolli o un Cellucci, e non meno precaria quella dei cd continentali, ovvero quelli che della tradizione, anche recente non hanno fatto un falò, come avrebbero potuto, in nome dell'identità della logica con se stessa, tempore precisive. Così dicendo non si fa che avvallare un vago complesso di inferiorità rispetto agli splendidi - prendi un Chaitin - d'oltre Manica e d'oltre Oceano. Un conto é formulare argomentazioni filosofiche sfruttando concetti matematici come la Macchina di Turing, o la complessità algoritmica, altra cosa é rincorre il modello cibernetico adeguandovi la filosofia.
Certo così facendo, la filosofia diventa High Teck, e si trova il passo segnato dalle scoperte ed evoluzioni della tecnica, e della sua teoria. Non credo tuttavia che "essere un pensatore all'altezza del proprio tempo" (Hegel) significasse e significhi addivenire ad un pensiero che discorre in linguaggio macchina, solo perché siamo nell'era informatica. Con tutti i problemi e dibattiti che poi sorgono in tal filosofia circa l'ontological commitment del termine di una proposizione. Non so se siano più spaesati questi pensatori, o i "perditempo" continentali. Il cambiamento di paradigma é una chiave di lettura della storia della scienza, non un must perché la scienza sia attuale. Idem vale per la filosofia, o meglio le filosofie. Esse non devono necessariamente modellarsi in modo univoco, nè é detto che una filosofia figlia del turn linguistico-semantico debba, perché recente, valere di più di una filosofia figlia, per esempio, del tour fenomenologico, o esistenzialista, personalista, e così via. Che queste ultime, non tanto ignorino, quanto piuttosto non trovino il loro terreno, il loro humus nella matematica o nella fisica, non le rende meno filosofiche di quelle correnti che talora proprio dalla riflessione matematico logica sono sorte. In altri termini ci sono orizzonti e tradizioni differenti che determinao e il tipo di pensiero, e l'estensione e i contenuti della riflessione.
Per tagliar corto, non vedo nulla di folcloristico nella scuola dei continentali, quanto piuttosto lo sforzo di mediare eredità filosofiche di tutto rispetto, alla ricerca di chiavi intepretative per il presente. Esse hanno un ruolo critico su base storico-tradizionale, là dove la scuola analitica trova in se stessa la sua tradizione. O se legge la tradizione, mi sa lo faccia spesso, senza un sufficiente senso storico. Ha per realtà il presente e ad esso tende a far pervenire, rieditandolo, ogni altro tempo.
E' un parere
I may be wrong
tu ti stai improvvisando soggetto.
Non entro nel merito della questione (il tempo è tiranno !), ma mi limito a ricordare - un po' burocraticamente, forse - che nell'ultimo secolo si fa decisamente fatica a separare filosofi e matematici: Russell, Whitehead, Quine, Kripke, Putnam, Feferman e praticamente tutti i logici e filosofi analitici dovrebbero essere distribuiti equamente dai due lati dello steccato ideale... certo, ci sono anche filosofi chiacchieroni e (questi sì) perditempo, in buona parte militanti nelle fila dei "continentali", relativisti, postmodernisti e propalatori del "pensiero debole", in sostanza i destinatari della poderosa beffa di Alan Sokal.
Sta di fatto che, dopo Frege, non si può più fare finta che non esistano le specializzazioni in filosofia.
Sta di fatto che, dopo Frege, non si può più fare finta che non esistano le specializzazioni in filosofia.
Mi metto tra i perditempo con la speranza di essere tra i guadagnaeternità.
La parte finale dell'intervento, cui sospetto ti riferisca dicendo 'Non credo d'averti seguito per bene...', rileva che vi sono diversi modi di studiare questa cosiddetta realtà, da cui i diversi linguaggi. Tutto bene, se non che la guerra tra filosofi e matematici - tra le tante che ci si fa - potrebbe tornare utile a terzi. Ora, dire chi sono questi terzi non è in mio potere, dacché, come Feynman, anch'io il tema non l'ho compreso del tutto.
La parte finale dell'intervento, cui sospetto ti riferisca dicendo 'Non credo d'averti seguito per bene...', rileva che vi sono diversi modi di studiare questa cosiddetta realtà, da cui i diversi linguaggi. Tutto bene, se non che la guerra tra filosofi e matematici - tra le tante che ci si fa - potrebbe tornare utile a terzi. Ora, dire chi sono questi terzi non è in mio potere, dacché, come Feynman, anch'io il tema non l'ho compreso del tutto.
"oruam":
Se ascolti la gente 'filosofeggiare' ti accorgerai che i suoi discorsi sono intessuti pure di matematica, dall'aritmetica della spesa alle certezze sul merito della matematica, che non sarebbe un'opinione. Se consideri matematica solo ciò ch'è oggetto di studio dall'università in poi, allora considera parimenti quanti, tra i filosofanti della domenica, si curano di verificare la storia e i fondamenti della filosofia di cui ci si occupa in ambito universitario.
La verità è che la matematica, come la filosofia, non ha un luogo d'inizio e fine, salvo stabilire che il matematico è colui che ha una laurea in math o il filosofo colui che ha una laurea in philo: pur ammettendo il sapere dell'uno e dell'altro, un tale limite è del tutto arbitrario ed ha valore solo 'socialmente', estensione che, quanto a fondatezza, è contestabile.
Liberissimi di scegliersi le massime che si desidera, servono tra l'altro a trarsi dai dubbi, ma questo mondo, per l'esperienza che mi son fatto, è fatto di pollai, in ognuno dei quali vigono regole che, negli altri, o si contestano o si ridicolizzano o si ignorano. Ciò non mi scandalizza né mi rammarica: se da una parte, peraltro, in ogni pollaio c'è pure chi agogna ad una verità a costo della vita, dall'altra mi domando se un tale sistema non abbia chi ne sa trar vantaggio a nostro danno, dei matematici, dei filosofi e dei perditempo come il sottoscritto.
Ciao
t'ho letto intensamente come scrivi, ma non m'immaginavo l'implosione finale, il tuo metterti tra i perditempo. In un certo senso é come se volessi dire che la questione non vale la pena di essere discussa.
Non credo d'averti seguito per bene in tutto quel che dici così ... dico la mia.
Sono dell'idea che tanto matematici tanto filosofi si nasca, che in nessun caso ci si possa improvvisare.
Certo la matematica vive dell'evidenza quasi immediata (per un matematico) dei suoi asserti, per cui l'improvvisazione comportando certamente errori di contenuto e di metodo sarebbe facilmente spotted out. La filosofia, tolto il momento fondativo, impegna la mente in modo discorsivo, e pertanto la comprensione di un filosofo richiede tempi lunghi, e da parte del filosofo stesso lungo questi tempi anche messe a punto delle sue idee e/o sistemi. Tuttavia si deve dire che basandosi sulla logica e la sintassi potrebbe, dati alcuni termini del gergo per noti, permetere ad un improvvisatore di cavarsela. In tal caso ci sarebbe da chiedersi se eventualmente chi con così poco se l'è cavata, non sia per caso un filosofo in pectore, specie se si é intrattenuto con un filosofo non alle prime armi.
L'aforisma d'esordio del forum mi sembra molto ricco e che induca ad affrontare svariati aspetti dei modi della conoscenza e dei linguaggi in cui questi modi si danno. A proposito leggevo in un articolo di Feinmann la sua domanda circa il fatto di non essere ancora riuscito ad introdurre un tema fisico particolarmente avanzato nelle lezioni per gli undergraduated; domanda a cui si rispondeva: "si vede che non l'ho ancora compreso del tutto!".
Notevole no?!
Così apro e lascio alla discussione sempre che riteniate opportuno, il tema del linguaggio matematico e della sua mediazione diciamo per gli "insipienti". Idem si può chiedere del linguaggio filosofico.
Grazie degli spunti e buon proseguimento
f.

Se ascolti la gente 'filosofeggiare' ti accorgerai che i suoi discorsi sono intessuti pure di matematica, dall'aritmetica della spesa alle certezze sul merito della matematica, che non sarebbe un'opinione. Se consideri matematica solo ciò ch'è oggetto di studio dall'università in poi, allora considera parimenti quanti, tra i filosofanti della domenica, si curano di verificare la storia e i fondamenti della filosofia di cui ci si occupa in ambito universitario.
La verità è che la matematica, come la filosofia, non ha un luogo d'inizio e fine, salvo stabilire che il matematico è colui che ha una laurea in math o il filosofo colui che ha una laurea in philo: pur ammettendo il sapere dell'uno e dell'altro, un tale limite è del tutto arbitrario ed ha valore solo 'socialmente', estensione che, quanto a fondatezza, è contestabile.
Liberissimi di scegliersi le massime che si desidera, servono tra l'altro a trarsi dai dubbi, ma questo mondo, per l'esperienza che mi son fatto, è fatto di pollai, in ognuno dei quali vigono regole che, negli altri, o si contestano o si ridicolizzano o si ignorano. Ciò non mi scandalizza né mi rammarica: se da una parte, peraltro, in ogni pollaio c'è pure chi agogna ad una verità a costo della vita, dall'altra mi domando se un tale sistema non abbia chi ne sa trar vantaggio a nostro danno, dei matematici, dei filosofi e dei perditempo come il sottoscritto.
La verità è che la matematica, come la filosofia, non ha un luogo d'inizio e fine, salvo stabilire che il matematico è colui che ha una laurea in math o il filosofo colui che ha una laurea in philo: pur ammettendo il sapere dell'uno e dell'altro, un tale limite è del tutto arbitrario ed ha valore solo 'socialmente', estensione che, quanto a fondatezza, è contestabile.
Liberissimi di scegliersi le massime che si desidera, servono tra l'altro a trarsi dai dubbi, ma questo mondo, per l'esperienza che mi son fatto, è fatto di pollai, in ognuno dei quali vigono regole che, negli altri, o si contestano o si ridicolizzano o si ignorano. Ciò non mi scandalizza né mi rammarica: se da una parte, peraltro, in ogni pollaio c'è pure chi agogna ad una verità a costo della vita, dall'altra mi domando se un tale sistema non abbia chi ne sa trar vantaggio a nostro danno, dei matematici, dei filosofi e dei perditempo come il sottoscritto.
chiunque può improvvisarsi filosofo...
ma è difficile vedere una persona qualunque improvvisarsi matematico
a tutti magari capita di filosofeggiare... ma a quanti capita di parlare di matematica??
ma è difficile vedere una persona qualunque improvvisarsi matematico


a tutti magari capita di filosofeggiare... ma a quanti capita di parlare di matematica??

Ovvio, matematici lo siamo già tutti, filosofi bisogna diventarlo.