Dimissioni
dimissioni
Risposte
Non chiudo la domanda solo perchè ale92t ha avuto la gentilezza di rispondere ad una "domanda", se è una domanda, insensata (per usare le parole di Tiscali)
Ma fare una domanda degna di senso no eh? Troppo difficile..
Ciao peppepez, e benvenuto!:)
Di cosa hai bisogno precisamente?
Intanto vedi se questo documento può risultarti utile:
Le dimissioni sono l'atto con cui un lavoratore dipendente recede unilateralmente dal contratto che lo vincola al datore di lavoro.
Secondo la legge le dimissioni si configurano come una facoltà del lavoratore. Questa facoltà può essere esercitata senza alcun limite, con il solo rispetto dell'obbligo di dare il preavviso previsto dai contratti collettivi.
Le dimissioni consistono quindi in un atto volontario del lavoratore. In questo senso sono da considerarsi illegittime le dimissioni estorte o richieste contestualmente all’atto dell’assunzione (cd. dimissioni in bianco).
Inoltre la volontà del dipendente non deve essere viziata (ad esempio da minacce o raggiri, da errore, da incapacità). In questo caso le dimissioni sono annullabili ricorrendo all’autorità giudiziaria.
Un caso tipico è quello in cui il datore di lavoro, minacciando il licenziamento, proponga al lavoratore di dare le dimissioni.
La dimissioni hanno effetto dal momento in cui il datore di lavoro ne viene a conoscenza. Costui non ha alcun potere di dissenso e non può in alcun modo rifiutarle.
Una volta che il datore di lavoro ne è venuto a conoscenza, l'eventuale revoca delle dimissioni è efficace solo a particolari condizioni.
Un caso particolare è rappresentato dalla dimissioni per giusta causa, situazione che necessita di particolari presupposti e che richiede una forma specifica nella sua formulazione. Qualora ricorrano tali particolari presupposti, il lavoratore è esentato dall’obbligo di prestare il preavviso.
La legge italiana non prevede forme particolari per le dimissioni. Tuttavia i contratti collettivi hanno facoltà di intervenire nella definizione di aspetti formali, quali l’obbligo della forma scritta a tutela del lavoratore.
Illegittimità delle dimissioni in bianco
E' da considerarsi illegittima la pretesa del datore di lavoro di far sottoscrivere, fin dall'inizio del rapporto, una lettera di dimissioni senza data, da utilizzare poi, nel corso del rapporto, come mezzo di pressione e ricatto.
Talora alcuni datori di lavoro, ritenendo insufficiente il periodo di prova previsto dalla contrattazione collettiva, o comunque volendo mantenersi la possibilità di risolvere in qualsiasi momento il rapporto di lavoro, impongono, al lavoratore, come condizione per l'assunzione definitiva, la sottoscrizione di una lettera di dimissioni senza data, che quindi può essere poi utilizzata in qualsiasi momento, di fatto ponendo il lavoratore in una situazione di soggezione psicologica. Si tratta di una procedura sicuramente illegittima, in quanto diretta ad eludere norme di legge imperative (e cioè inderogabili).
Tra queste rientra anche la disciplina del prova: il prova, nel corso del quale ciascuna delle parti può recedere dal rapporto di lavoro senza necessità di giusta causa o giustificato motivo e senza obbligo di preavviso, non può avere durata superiore a sei mesi (una durata inferiore può poi essere prevista dai contratti collettivi di categoria).
Illegittimità delle dimissioni in bianco
E' da considerarsi illegittima la pretesa del datore di lavoro di far sottoscrivere, fin dall'inizio del rapporto, una lettera di dimissioni senza data, da utilizzare poi, nel corso del rapporto, come mezzo di pressione e ricatto.
Talora alcuni datori di lavoro, ritenendo insufficiente il periodo di prova previsto dalla contrattazione collettiva, o comunque volendo mantenersi la possibilità di risolvere in qualsiasi momento il rapporto di lavoro, impongono, al lavoratore, come condizione per l'assunzione definitiva, la sottoscrizione di una lettera di dimissioni senza data, che quindi può essere poi utilizzata in qualsiasi momento, di fatto ponendo il lavoratore in una situazione di soggezione psicologica. Si tratta di una procedura sicuramente illegittima, in quanto diretta ad eludere norme di legge imperative (e cioè inderogabili).
Tra queste rientra anche la disciplina del prova: il prova, nel corso del quale ciascuna delle parti può recedere dal rapporto di lavoro senza necessità di giusta causa o giustificato motivo e senza obbligo di preavviso, non può avere durata superiore a sei mesi (una durata inferiore può poi essere prevista dai contratti collettivi di categoria).
Come fare quando il datore di lavoro propone le dimissioni in alternativa al licenziamento
In linea generale, a meno che non vengano versate cifre consistenti, non è mai conveniente rassegnare le dimissioni, ma è preferibile essere licenziati. Infatti, nonostante le comune convinzione che il licenziamento sia più "infamante", le conseguenze tra le due ipotesi sono ben differenti.
Innanzitutto anche sul vecchio libretto di lavoro non veniva annotata la causa di cessazione del rapporto, ma solo ed esclusivamente la data di risoluzione. In secondo luogo, il licenziamento di regola determina il pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso, che varia secondo la qualifica e l’anzianità.
Quel che più conta però è che il licenziamento può essere impugnato avanti il Giudice del lavoro, mentre le dimissioni, salvo casi eccezionali, no. Questo significa la possibilità di far verificare al Giudice che effettivamente sussistessero le ragioni che hanno portato al licenziamento (che in molti casi si rivelano, al vaglio della Magistratura, insussistenti). Nel caso in cui fosse esclusa la legittimità del licenziamento, al lavoratore spetterebbero 5 mensilità di retribuzione (nel caso di aziende di più di 15 dipendenti) oltre al diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro.
In alternativa alla reintegrazione il dipendente può svolgere una particolare opzione (prevista dall’art.18 della Legge 300/1970, Statuto dei Lavoratori) in virtù della quale gli debbono essere versate altre 15 mensilità di retribuzione per la rinuncia alla reintegrazione.
La revoca delle dimissioni
Le dimissioni hanno effetto quando giungono a conoscenza del datore di lavoro; conseguentemente, da quel momento non possono più essere revocate senza il consenso del datore di lavoro (Cassazione 20/11/90 n. 11179). Tuttavia, se questa è la regola generale, sono state individuate alcune ipotesi in cui è possibile annullare le dimissioni, con conseguente ripristino del rapporto, a prescindere dal consenso del datore di lavoro.
In primo luogo, sono annullabili le dimissioni rassegnate in un momento in cui il lavoratore versava in uno stato di incapacità di intendere e di volere. E' stato anche precisato che, a tal fine, non è necessaria la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive: basta la menomazione di esse, in modo tale, quanto meno, da impedire la formazione di una volontà cosciente (Cass. 5/4/91 n. 3569).
Nel caso di lavoratore minorenne (le cui dimissioni sono astrattamente valide in quanto il Codice civile attribuisce al minore la capacità di compiere atti giuridici nell'ambito del rapporto di lavoro), le dimissioni possono essere annullate qualora si dimostri l'incapacità di fatto di intendere e di volere del lavoratore al momento del recesso, nonché il grave pregiudizio derivante al minore dall'atto compiuto.
Un'altra ipotesi ricorre allorquando le dimissioni siano rassegnate a seguito di pressioni esercitate dal datore di lavoro e configurabili alla stregua di violenza morale. Ciò si verifica, per esempio, se il datore di lavoro prospetta al lavoratore le dimissioni come alternativa al licenziamento o alla denuncia penale; più in generale, l'ipotesi ricorre se il datore di lavoro prospetta le dimissioni come alternativa all'esercizio di un proprio diritto e se, da tale minaccia, il datore di lavoro si proponga di ottenere vantaggi ingiusti.
Un'ultima ipotesi è configurabile in caso di dolo del datore di lavoro: se, cioè, il lavoratore è stato indotto alle dimissioni, che altrimenti non avrebbe rassegnato, da una falsa rappresentazione della realtà a opera del datore di lavoro.
In sintesi, una volta rassegnate, le dimissioni producono il loro naturale effetto, salvo che ricorra una delle ipotesi indicate e si possa fornirne una prova rigorosa, oppure il datore di lavoro acconsenta alla revoca.
Le dimissioni per giusta causa
Il lavoratore può rassegnare le dimissioni in tronco (cioè senza preavviso), quando si sia verificata una causa che non consenta la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto.
La giurisprudenza ha riconosciuto le ipotesi di ”giusta causa” facendo riferimento a gravi inadempimenti del datore nell’ambito del rapporto di lavoro (es. omessa corresponsione della retribuzione, omesso versamento dei contributi previdenziali, molestie sessuali, dequalificazione professionale). In tal caso, proprio perché il recesso è stato determinato da un fatto colpevole del datore di lavoro, il lavoratore che receda per giusta causa conserva comunque il diritto a percepire l’indennità sostitutiva del mancato preavviso, nel caso si versi in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Tale indennità spetta al lavoratore a titolo di indennizzo per la mancata percezione delle retribuzioni per il periodo necessario al reperimento di una nuova occupazione, tenuto conto che l’interruzione immediata del rapporto è, in realtà, imputabile al datore di lavoro.
Nel caso in cui il datore di lavoro neghi l’esistenza di una giusta causa alla base del recesso del lavoratore, e si rifiuti così di versare l’indennità sostitutiva del preavviso, il lavoratore potrà agire in giudizio per chiedere l’accertamento della giusta causa delle dimissioni, e vedersi riconosciuto il diritto a percepire tale indennità, oltre che per la restituzione dell’importo eventualmente trattenuto a titolo di mancato preavviso.
Il lavoratore deve consegnare o inviare con tempestività la lettera con cui comunica la sua volontà di dimettersi per giusta causa, e cioè subito dopo il verificarsi della causa che ha reso impossibile la prosecuzione del rapporto. Tale comunicazione non necessita di specifiche formule, ma deve comunque fare riferimento alla giusta causa che ha determinato il recesso.
fonte: http://www.wikilabour.it/dimissioni.ashx
Di cosa hai bisogno precisamente?
Intanto vedi se questo documento può risultarti utile:
Le dimissioni sono l'atto con cui un lavoratore dipendente recede unilateralmente dal contratto che lo vincola al datore di lavoro.
Secondo la legge le dimissioni si configurano come una facoltà del lavoratore. Questa facoltà può essere esercitata senza alcun limite, con il solo rispetto dell'obbligo di dare il preavviso previsto dai contratti collettivi.
Le dimissioni consistono quindi in un atto volontario del lavoratore. In questo senso sono da considerarsi illegittime le dimissioni estorte o richieste contestualmente all’atto dell’assunzione (cd. dimissioni in bianco).
Inoltre la volontà del dipendente non deve essere viziata (ad esempio da minacce o raggiri, da errore, da incapacità). In questo caso le dimissioni sono annullabili ricorrendo all’autorità giudiziaria.
Un caso tipico è quello in cui il datore di lavoro, minacciando il licenziamento, proponga al lavoratore di dare le dimissioni.
La dimissioni hanno effetto dal momento in cui il datore di lavoro ne viene a conoscenza. Costui non ha alcun potere di dissenso e non può in alcun modo rifiutarle.
Una volta che il datore di lavoro ne è venuto a conoscenza, l'eventuale revoca delle dimissioni è efficace solo a particolari condizioni.
Un caso particolare è rappresentato dalla dimissioni per giusta causa, situazione che necessita di particolari presupposti e che richiede una forma specifica nella sua formulazione. Qualora ricorrano tali particolari presupposti, il lavoratore è esentato dall’obbligo di prestare il preavviso.
La legge italiana non prevede forme particolari per le dimissioni. Tuttavia i contratti collettivi hanno facoltà di intervenire nella definizione di aspetti formali, quali l’obbligo della forma scritta a tutela del lavoratore.
Illegittimità delle dimissioni in bianco
E' da considerarsi illegittima la pretesa del datore di lavoro di far sottoscrivere, fin dall'inizio del rapporto, una lettera di dimissioni senza data, da utilizzare poi, nel corso del rapporto, come mezzo di pressione e ricatto.
Talora alcuni datori di lavoro, ritenendo insufficiente il periodo di prova previsto dalla contrattazione collettiva, o comunque volendo mantenersi la possibilità di risolvere in qualsiasi momento il rapporto di lavoro, impongono, al lavoratore, come condizione per l'assunzione definitiva, la sottoscrizione di una lettera di dimissioni senza data, che quindi può essere poi utilizzata in qualsiasi momento, di fatto ponendo il lavoratore in una situazione di soggezione psicologica. Si tratta di una procedura sicuramente illegittima, in quanto diretta ad eludere norme di legge imperative (e cioè inderogabili).
Tra queste rientra anche la disciplina del prova: il prova, nel corso del quale ciascuna delle parti può recedere dal rapporto di lavoro senza necessità di giusta causa o giustificato motivo e senza obbligo di preavviso, non può avere durata superiore a sei mesi (una durata inferiore può poi essere prevista dai contratti collettivi di categoria).
Illegittimità delle dimissioni in bianco
E' da considerarsi illegittima la pretesa del datore di lavoro di far sottoscrivere, fin dall'inizio del rapporto, una lettera di dimissioni senza data, da utilizzare poi, nel corso del rapporto, come mezzo di pressione e ricatto.
Talora alcuni datori di lavoro, ritenendo insufficiente il periodo di prova previsto dalla contrattazione collettiva, o comunque volendo mantenersi la possibilità di risolvere in qualsiasi momento il rapporto di lavoro, impongono, al lavoratore, come condizione per l'assunzione definitiva, la sottoscrizione di una lettera di dimissioni senza data, che quindi può essere poi utilizzata in qualsiasi momento, di fatto ponendo il lavoratore in una situazione di soggezione psicologica. Si tratta di una procedura sicuramente illegittima, in quanto diretta ad eludere norme di legge imperative (e cioè inderogabili).
Tra queste rientra anche la disciplina del prova: il prova, nel corso del quale ciascuna delle parti può recedere dal rapporto di lavoro senza necessità di giusta causa o giustificato motivo e senza obbligo di preavviso, non può avere durata superiore a sei mesi (una durata inferiore può poi essere prevista dai contratti collettivi di categoria).
Come fare quando il datore di lavoro propone le dimissioni in alternativa al licenziamento
In linea generale, a meno che non vengano versate cifre consistenti, non è mai conveniente rassegnare le dimissioni, ma è preferibile essere licenziati. Infatti, nonostante le comune convinzione che il licenziamento sia più "infamante", le conseguenze tra le due ipotesi sono ben differenti.
Innanzitutto anche sul vecchio libretto di lavoro non veniva annotata la causa di cessazione del rapporto, ma solo ed esclusivamente la data di risoluzione. In secondo luogo, il licenziamento di regola determina il pagamento dell'indennità sostitutiva del preavviso, che varia secondo la qualifica e l’anzianità.
Quel che più conta però è che il licenziamento può essere impugnato avanti il Giudice del lavoro, mentre le dimissioni, salvo casi eccezionali, no. Questo significa la possibilità di far verificare al Giudice che effettivamente sussistessero le ragioni che hanno portato al licenziamento (che in molti casi si rivelano, al vaglio della Magistratura, insussistenti). Nel caso in cui fosse esclusa la legittimità del licenziamento, al lavoratore spetterebbero 5 mensilità di retribuzione (nel caso di aziende di più di 15 dipendenti) oltre al diritto alla reintegrazione nel posto di lavoro.
In alternativa alla reintegrazione il dipendente può svolgere una particolare opzione (prevista dall’art.18 della Legge 300/1970, Statuto dei Lavoratori) in virtù della quale gli debbono essere versate altre 15 mensilità di retribuzione per la rinuncia alla reintegrazione.
La revoca delle dimissioni
Le dimissioni hanno effetto quando giungono a conoscenza del datore di lavoro; conseguentemente, da quel momento non possono più essere revocate senza il consenso del datore di lavoro (Cassazione 20/11/90 n. 11179). Tuttavia, se questa è la regola generale, sono state individuate alcune ipotesi in cui è possibile annullare le dimissioni, con conseguente ripristino del rapporto, a prescindere dal consenso del datore di lavoro.
In primo luogo, sono annullabili le dimissioni rassegnate in un momento in cui il lavoratore versava in uno stato di incapacità di intendere e di volere. E' stato anche precisato che, a tal fine, non è necessaria la totale privazione delle facoltà intellettive e volitive: basta la menomazione di esse, in modo tale, quanto meno, da impedire la formazione di una volontà cosciente (Cass. 5/4/91 n. 3569).
Nel caso di lavoratore minorenne (le cui dimissioni sono astrattamente valide in quanto il Codice civile attribuisce al minore la capacità di compiere atti giuridici nell'ambito del rapporto di lavoro), le dimissioni possono essere annullate qualora si dimostri l'incapacità di fatto di intendere e di volere del lavoratore al momento del recesso, nonché il grave pregiudizio derivante al minore dall'atto compiuto.
Un'altra ipotesi ricorre allorquando le dimissioni siano rassegnate a seguito di pressioni esercitate dal datore di lavoro e configurabili alla stregua di violenza morale. Ciò si verifica, per esempio, se il datore di lavoro prospetta al lavoratore le dimissioni come alternativa al licenziamento o alla denuncia penale; più in generale, l'ipotesi ricorre se il datore di lavoro prospetta le dimissioni come alternativa all'esercizio di un proprio diritto e se, da tale minaccia, il datore di lavoro si proponga di ottenere vantaggi ingiusti.
Un'ultima ipotesi è configurabile in caso di dolo del datore di lavoro: se, cioè, il lavoratore è stato indotto alle dimissioni, che altrimenti non avrebbe rassegnato, da una falsa rappresentazione della realtà a opera del datore di lavoro.
In sintesi, una volta rassegnate, le dimissioni producono il loro naturale effetto, salvo che ricorra una delle ipotesi indicate e si possa fornirne una prova rigorosa, oppure il datore di lavoro acconsenta alla revoca.
Le dimissioni per giusta causa
Il lavoratore può rassegnare le dimissioni in tronco (cioè senza preavviso), quando si sia verificata una causa che non consenta la prosecuzione nemmeno provvisoria del rapporto.
La giurisprudenza ha riconosciuto le ipotesi di ”giusta causa” facendo riferimento a gravi inadempimenti del datore nell’ambito del rapporto di lavoro (es. omessa corresponsione della retribuzione, omesso versamento dei contributi previdenziali, molestie sessuali, dequalificazione professionale). In tal caso, proprio perché il recesso è stato determinato da un fatto colpevole del datore di lavoro, il lavoratore che receda per giusta causa conserva comunque il diritto a percepire l’indennità sostitutiva del mancato preavviso, nel caso si versi in un rapporto di lavoro a tempo indeterminato.
Tale indennità spetta al lavoratore a titolo di indennizzo per la mancata percezione delle retribuzioni per il periodo necessario al reperimento di una nuova occupazione, tenuto conto che l’interruzione immediata del rapporto è, in realtà, imputabile al datore di lavoro.
Nel caso in cui il datore di lavoro neghi l’esistenza di una giusta causa alla base del recesso del lavoratore, e si rifiuti così di versare l’indennità sostitutiva del preavviso, il lavoratore potrà agire in giudizio per chiedere l’accertamento della giusta causa delle dimissioni, e vedersi riconosciuto il diritto a percepire tale indennità, oltre che per la restituzione dell’importo eventualmente trattenuto a titolo di mancato preavviso.
Il lavoratore deve consegnare o inviare con tempestività la lettera con cui comunica la sua volontà di dimettersi per giusta causa, e cioè subito dopo il verificarsi della causa che ha reso impossibile la prosecuzione del rapporto. Tale comunicazione non necessita di specifiche formule, ma deve comunque fare riferimento alla giusta causa che ha determinato il recesso.
fonte: http://www.wikilabour.it/dimissioni.ashx