Diatriba sulla compatibilità tra scienza e religione

mariodic
Limiterei questo post iniziale alla questione: "ha senso la domanda -esiste Dio?-" Credo, in prima battuta, che la domanda non abbia senso o sia mal posta, perchè Dio è chiaramente una singolarità che sembra collocabile, ad un tempo, internamente ed esternamente all'IO. Mi piacerebbe leggere i pareri degli amici di questo forum purchè seriamente interessati a questa discussione. Personalmentop sono convinto che Dio, come ho prima detto, possa entrare nelle questioni scientifiche sempre che sia inteso come una "singolarità" limite.
Grazie a chiunque voglia dare il suo parere.

Risposte
nato_pigro1
"mariodic":
Una proposizione è vera fino a che non si riscontri una incoerenza nel sistema logico in cui essa è costruita.

Anzitutto: no. Una proposizione è vera se lo dimostri, visto che parli di un sistema logico.
"mariodic":
Quindi,

No, da quando l'universo è un sitema logico?
"mariodic":
la virità, nell'universo, non può dirsi mai assoluta per il solo fatto che l'Osservatore non sa se la proposizione non possa essere falsificata.

Come no? "oggi piove o non piove" io so benissimo che questa frase non può essere falsificata.
"mariodic":
Del pari la falsità di una proposizione è vera (nel senso che è falsa) fino a che non emerga uno proposizione.

Non ho capito... "fino a che non emerga uno proposizione"=?

mariodic
"mariodic":
Cos'è la verita ed il suo opposto: la falsità?
Una proposizione è vera fino a che non si riscontri una incoerenza nel sistema logico in cui essa è costruita.
Quindi, la virità, nell'universo, non può dirsi mai assoluta per il solo fatto che l'Osservatore non sa se la proposizione non possa essere falsificata. Del pari la falsità di una proposizione è vera (nel senso che è falsa) fino a che non emerga una incongruenza che contraddica la proposizione.

mariodic
Cos'è la verita ed il suo opposto: la falsità?
Una proposizione è vera fino a che non si riscontri una incoerenza nel sistema logico in cui essa è costruita.
Quindi, la virità, nell'universo, non può dirsi mai assoluta per il solo fatto che l'Osservatore non sa se la proposizione non possa essere falsificata. Del pari la falsità di una proposizione è vera (nel senso che è falsa) fino a che non emerga una contraddizione logica che mantenga la proposizione nel sistema logico in cui è stata costruita ed inserita.

mariodic
"mathicale":



Inoltre dovremmo porci il "problema" del perchè esistano vari dei (quello americano, quello occidentale, etc..) per determinate popolazioni e non per altre (nei ultimi 4000-5000 anni che ci è dato sapere).
Esiste forse dio a tempo/epoca, una sorta di divinità a rate?
Questo tipo di domande o risposte, come pure l'accettazione di regole, dogmi, cerimoniali religiosi, ecc., non sono, a mio avviso, rilevanti ai fini di un discorso su Dio, anzi aggiungerei che sono persino marginali anche relativamente a discorsi sulla giustificazione dell'ateismo o del non ateismo.

mariodic
"mathicale":
[Ma qualsiasi scienziato non accetterebbe mai UNA ( e qui il singolare è d'obbligo) Verità senza dimostrazione.

Inoltre dovremmo porci il "problema" del perchè esistano vari dei (quello americano, quello occidentale, etc..) per determinate popolazioni e non per altre (nei ultimi 4000-5000 anni che ci è dato sapere).
Esiste forse dio a tempo/epoca, una sorta di divinità a rate?
Qualsiasi ragionamento sensato che in qualche modo voglia portare (o tentare di portare) ordine nella storica questione della compatibilità tra Dio ed il pensiero scientifico, è indispensabile spazzar via parole come "dei", "religioni" ed altre espressioni riguardanti temi quali "riti", "dogmi", ecc. La discussione, così ripulita, deve rimanere nel confronto "ateismo" - "pensieri scientifico". In questo mio breve intervento mi limito a dire solo che per un'uomo di scienza, un'ateismo rigidamente chiuso, è una palla al piede che lo ostacola precludendogli decisive opportunità ed aperture massimamente nel campo della meccanica quantistica. Heisemberg non ha mai scritto la parola "Dio" in un libro come "fisica e filosofia" (capolavoro ora in commercio in nuova ristampa), tuttavia rende evidente dove quell'ateismo chiuso, cui prima accennavo, tarperebbe le ali ad uno scienziato moderno.

DemisSkola
"mariodic":
Quanto alla prima delle tre questioni di Kinder, circa il significato di "essere" o di "esistere" , di tratta, appunto di una questione di carattere convenzionale sul duplice significato. Linguisicamente credo che "esistere" significhi pressappoco "essere nel tempo in un qualche luogo" mentre "essere", che pur puo essere inteso nello stesso senso, nelle mie argomentazioni in questa discussione ha un significato più astratto e soprattutto non farebbe nessun riferimento ad una durata temporale né ad una localizzazione concreta. Nel comune parlare, tuttavia, anche il termine "essere" viene spesso e correntemente utilizzato col significato di esistere. Qui tengo a chiarire che se "essere" l'ho usato come sinonimo di "esistere" allora l'oggetto esiste o no nell'universo e questa esistenza o no sono "verificabili" più o meno direttamente con l'osservazione. Ne segue che un'utilizzazione opposta del termine, cioè in senso astratto, è riferibile ad entità per la quale non ha senso una verifica di "esistenza" o no.
Per quanto riguarda la questione della apparente contraddizione nel sostenere l'eistenza di un oggetto che non esiste nell'universo, si osservi che la proposizione "P(x)" (="x esiste nell'universo"), può assumere i valore di "SI" oppure "NO", in quanto essa è un oggetto osservabile -perchè misurabile-, essa esiste nell'universo indipendentemente dal suo valore di verità.

Quanto alla seconda delle tre questioni, la risposta è insita nell'ultima parte della precedente.

Per la terza questione, devo fare ammenda per la mia imprecisione. Una singolarità non esclude in assoluto la suo "osservazione" (anche in senso scientifico), la "singolarità" da me intesa in questa discussione, è riferita ad un "limite" ed, in questo senso, "può" non essere raggiungibile da una osservazione oggettiva.


Accettare l'esistenza di dio (della religione che si preferisce) implica accettare delle regole basate su dogmi e fatalismo, ovvero accettare/credere in qualcosa senza riuscire a dimostrarlo.

Ma qualsiasi scienziato non accetterebbe mai UNA ( e qui il singolare è d'obbligo) Verità senza dimostrazione.

Inoltre dovremmo porci il "problema" del perchè esistano vari dei (quello americano, quello occidentale, etc..) per determinate popolazioni e non per altre (nei ultimi 4000-5000 anni che ci è dato sapere).
Esiste forse dio a tempo/epoca, una sorta di divinità a rate?

mariodic
Quanto alla prima delle tre questioni di Kinder, circa il significato di "essere" o di "esistere" , di tratta, appunto di una questione di carattere convenzionale sul duplice significato. Linguisicamente credo che "esistere" significhi pressappoco "essere nel tempo in un qualche luogo" mentre "essere", che pur puo essere inteso nello stesso senso, nelle mie argomentazioni in questa discussione ha un significato più astratto e soprattutto non farebbe nessun riferimento ad una durata temporale né ad una localizzazione concreta. Nel comune parlare, tuttavia, anche il termine "essere" viene spesso e correntemente utilizzato col significato di esistere. Qui tengo a chiarire che se "essere" l'ho usato come sinonimo di "esistere" allora l'oggetto esiste o no nell'universo e questa esistenza o no sono "verificabili" più o meno direttamente con l'osservazione. Ne segue che un'utilizzazione opposta del termine, cioè in senso astratto, è riferibile ad entità per la quale non ha senso una verifica di "esistenza" o no.
Per quanto riguarda la questione della apparente contraddizione nel sostenere l'eistenza di un oggetto che non esiste nell'universo, si osservi che la proposizione "P(x)" (="x esiste nell'universo"), può assumere i valore di "SI" oppure "NO", in quanto essa è un oggetto osservabile -perchè misurabile-, essa esiste nell'universo indipendentemente dal suo valore di verità.

Quanto alla seconda delle tre questioni, la risposta è insita nell'ultima parte della precedente.

Per la terza questione, devo fare ammenda per la mia imprecisione. Una singolarità non esclude in assoluto la suo "osservazione" (anche in senso scientifico), la "singolarità" da me intesa in questa discussione, è riferita ad un "limite" ed, in questo senso, "può" non essere raggiungibile da una osservazione oggettiva.

kinder1
"mariodic":
...Rispondo dicendo che "essere" (nel senso comune) è -come dire- un attributo di cose che per definizione hanno sede nell'universo. Orbene l'Universo è...


Mi permetto intanto di segnalarti il trabocchetto nascosto dall'uso dell'"essere", alla maniera di Parmenide e Co., perché si rischia di parlare a lungo più o meno del niente, fino a chiedersi se l'"essere" è o non è. Come chiedersi se il "bere" beve o non beve, o se il "camminare" cammina. Come dice Sergio, l'"essere" non è un attributo, ma l'infinito di un verbo, per giunta ausiliario.


"mariodic":
...Dell'universo fa parte sia ..., sia tutto ciò che genericamente si ritiene appartenga al mondo degli oggetti "del pensiero".

Su cosa poggi questa certezza? Io non ho di me tale stima da credere che debba esistere tutto ciò che io posso pensare. Forse con qualche etto in più di megalomania potrei riuscirci, ma...

"mariodic":
..il secondo (Dio ndr.) è una singolarità non collocabile per definizione tra gli oggetti dell’universo osservabili, per cui o è a monte della prima o, se si preferisce, coincidente con questa.

A parte il fatto che continuo a non capire le tue "singolarità", perché per definizione non è osservabile? In verità a catechismo mi avevano insegnato che il Dio cristiano è onnipotente, quindi anche osservabile. Si sbagliavano? Non credo, perché il cristianesimo si basa addirittura sul fatto che Dio si sia fatto uomo. Ti riferisci a qualcun'altra delle numerose divinità?

mariodic
Rispondo a Sergio.

Mi limito a qualcuna delle tue numerose domande, tutte importanti, ma collegate fra loro.
Una, per esempio, e quella sull'unicità dell'"IO": di quale io? (forse sarebbe stato meglio dire "di quale IO?, ma non è ora il caso di sottilizzare), rispondo. "dell'unico IO
del quale "IO" stesso conosce e sperimenta, di altri "IO" IO non ha esperienza.

Un'altra è quella sul fatto che l'universo è un sistema logico, Sergio dice: di chi? Rispondo: dell'unico IO. In tal contesto viene chiesto, mi pare in un'altra domanda, come collocare la proposizione 2+2=5, rispondo dicendo che IO, ove non la citasse a titolo di esempio di una proposizione falsa ma la credesse vera o almeno possibile, potrebbe portarla avanti e verificarla (sottoponendola a prova) all'interno della SUA (cioè dell'IO) sistema logico, cioè nel sistema del SUO universo.

Posso rispondere ad altre domande non appena disoorro' di maggior tempo. Ma subito ringrazio l'amico Sergio per l'attenzione cortesemente prestatami.

mariodic
"kinder":

Ma mettendo da parte questioni che mi sembrano meramente linguistiche, perché secondo te la domanda non ha senso nel linguaggio comune? Tu affermi che gli attributi che lo caratterizzano lo mettono fuori dalla logica, ma non ne spieghi il perché. Anzi, c'è qualcosa che non mi torna nella tua frase, che semplifico con qualche taglio di esempi o paragoni (eventualmente si perde in chiarezza, ma non in logica): "Stando agli attributi di assulutezza estrema di Dio, la domanda "Dio esiste?" implica che Dio debba rientrare nel modello del mondo ... Orbene, per le "proprietà" assegnate a Dio, Egli non entra in questa logica per cui la domanda " Dio esiste?" non ha senso.". Che vuol dire?
Rispondo dicendo che "essere" (nel senso comune) è -come dire- un attributo di cose che per definizione hanno sede nell'universo. Orbene l'Universo è la struttura logica che avvolge e si sviluppa, quasi come una schiuma (mi si passi il paragone), intorno alla singolarità dell' Osservatore unico del mondo, cioè dell'IO. Dell'universo fa parte sia ciò che comunemente si dice di cose che lo costituiscono e che perciò potenzialmente cadono, direttamente o no, sotto il dominio dello'osservazione -quindi, dell'Osservatore-, sia tutto ciò che genericamente si ritiene appartenga al mondo degli oggetti "del pensiero". Ma quest'ultimo non è altro che il mondo dei legami logici che danno consistenza d'insieme all'universo. Per chiarire con un esempio quanto intendo dire prendo ad esempio la matematica, quale viene comunemente intesa ed usata, e scrivo qui una semplicissima espressione algebrica: a + b * c

qui a, b, c sono, si, oggetti logici (al di là del fatto di essere scritti con inchiostro) ma associati eventualmente a specifici oggetti “misurabili” dell’universo (ma potrebbero anche rimanere simboli generici senza associazione alcuna -si noti che l’”associazione” è pure un oggetto logico-); mentre i simboli “+” e “*” sono chiaramente anche oggetti logici, ma si avverte immediatamente che si distinguono dagli altri tre in quanto oggetti relazionali di legame collocabili su un piano diverso rispetto ai primi. Ma sia i primi sia i secondi sono comunque “oggetti dell’universo” e, quindi degli osservabili per l’Osservatore e, quindi, ricadenti sotto il dominio critico di quest’ultimo.
Orbene sia L’Osservatore che Dio sono singolarità: il primo può, a differenza di ogni altro oggetto dell’universo, solo auto-osservarsi grazie alla sua unicità, il secondo è una singolarità non collocabile per definizione tra gli oggetti dell’universo osservabili, per cui o è a monte della prima o, se si preferisce, coincidente con questa.

GPaolo1
Nei suoi primi passi la religione è stata una scienza, non bisogna dimenticarlo; era la "Scienza" per eccellenza perché ispirata direttamente dal creatore che ha dato le risposte a quesiti difficili. Erano sacerdoti gli astronomi Sumeri, e sacerdoti quelli indiani, sacerdoti erano gli astronomi Aztechi e ancora sacerdoti erano gli astronomi egizi. Tutti ricordano come ogni grande filosofo sia pre- che post-socratico, sia orientale che occidentale, ha prodotto una cosmologìa e una cosmogonìa che partiva dall'assunto che vi fosse ora un "Dio Pesce", ora un "Dio Serpente Piumato", ora un "Dio Brahman", ora un "Ordinatore", ora un "Motore Primo", ora un "Demiurgo" ecc. Al di là di quale fosse realmente lo scopo che la religione si prefiggeva, le difficoltà che sono derivate non sono state tanto a causa di incapacità dei sacerdoti-fisici-filosofi di smentirsi vicendevolmente (Empedocle con i suoi 4 elementi, Leucippo e il suo allievo Democrito che parlavano "di atomi, di pieni e di vuoti", Tolomeo col suo Al-Magesto, che, nel corso di 13 secoli, ha visto oltre 200 correzioni ed aggiunte di eclittiche ed epicicli, ecc) perché, da persone intelligenti, pur sostenendo con forza le loro tesi, davanti alla logica, hanno spesso ammesso ed accettato un nuovo modo di interpretare una legge naturale. Un esempio ancora più significativo è il "De revoltionibus orbium coelestium" di Nicolò Copernico che era, addirittura, un vescovo; questo per allontanare qualsiasi dubbio circa la perfetta conciliabilità che esisteva tra scienza e religione e del reciproco sostegno. Il guaio è venuto dopo, quando per l'accumularsi di scoperte che hanno distrutto l'intelaiatura Aristotelica e la Scolastica Agostiniana l'intelletto umano ha percepito che se sui grandi temi la sacra bibbia aveva detto cose non vere (un eufemismo per non dire false) si è cominciato a dubitare della Creazione stessa e dell'esistenza di Adamo ed Eva perché se, come afferma Darwin, il nostro antenato si è evoluto aggregando cellule fino a formare un corpo cosciente dotato di una testa, due braccia, due gambe e un cervello (un ottimismo alla Tonino Guerra in questi tempi), allora cade tutto il castello di "prove" di Anselmo e di Tommaso, crolla tutta la cappella sistina e il vaticano, insomma. Questo fu ben chiaro ai papi dal 13 secolo in poi che hanno dato inizio all'incociliabilità tra Scienza e Fede (lo metto in maiuscolo contro la mia volontà). Oggi siamo a ruoli invertiti, ovvero, mentre agli albori era la religione che guidava la scarsa conoscenza, oggi è la Scienza che, avendo demolito i pilastri della religione, si è imposta suscitando intolleranza e conflitti (si sta togliendo l'osso al cane e, come avviene nella realtà, il cane sarà disposto a mordere perfino la mano di chi gliel'ha dato). E', peraltro, evidente che per una riconciliazione tra Scienza e Fede (ancora il maiuscolo contro la mia volontà) occorrerebbe a questo punto che la Religione ritornasse alla sua funzione primigenia, ovvero consentire agli uomini, animali sociali, di formare gruppi omogenei, di procurare loro spazi in cui trovarsi, senza che nessuno di essi si erga a capo o confidente del signore e creare caste, preti e papi; ecco uno dei motivi per cui anche il calcio è diventato lo spauracchio della chiesa perché richiama più fanatici dei soliti sermoni (avevo proposto, qualche tempo fa, di fare come con il rosario: registrare una serie di messe in audio-video - la chiesa adotta liturgie diverse a seconda dei periodi dell'anno - e di fare a meno del prete che oltre tutto, chiede sempre soldi), i credenti potrebbero acquistare un DVD capace di contenere tutto il fertile letame liturgico, sermoni compresi, e starsene comodamente seduti a casa, alzandosi ed inginocchiandosi all'occorrenza, comunicarsi con un pezzo di pane e un pò di buon vino e cantare "Quant'è buona la Bernardaaaaaaa!" in santa pace.

mariodic
"Sidereus":
[quote="mariodic"]Limiterei questo post iniziale alla questione: "ha senso la domanda -esiste Dio?-"


Penso che la domanda abbia senso solo se prima si specifica che cosa si intende con Dio.
Le domande giuste sarebbero, per esempio:
- Esiste il Dio del Nuovo Testamento?
- Esiste il Dio del Corano?
- Esiste il Dio della Torah?
- Esiste il Dio di Spinoza?
- Esiste un Dio immanente e impersonale?
- Esiste un Dio trascendente e che sia una "persona con cui parlare" nella preghiera?
- Esiste un Dio che interviene nella storia umana?
- Esiste un disegno escatologico pensato da un Dio?
etc..

[/quote]Direi: alcune dell'elenco o anche nessuna, ma non mi soffermerei più di tanto sull'analisi del pur sempre interessante elenco di Sidereus, suggerirei invece di pensare a Dio come una Singolarità (sì, proprio del tipo di quelle che si studiano in matematica!) a cui tenderebbe il limite logico del percorso (pure logico) a ritroso lungo il fascio di linee del "sistema strumentale" sulle quali si muove il processo ci "conoscenza" (cioè la vita) che va dall'osservabile generico dell'universo all'Osservatore universale unico, cioè l'"IO" ed, eventualmente, oltrepassando quest'ultimo.

Sidereus1
"mariodic":
Limiterei questo post iniziale alla questione: "ha senso la domanda -esiste Dio?-"


Penso che la domanda abbia senso solo se prima si specifica che cosa si intende con Dio.
Le domande giuste sarebbero, per esempio:
- Esiste il Dio del Nuovo Testamento?
- Esiste il Dio del Corano?
- Esiste il Dio della Torah?
- Esiste il Dio di Spinoza?
- Esiste un Dio immanente e impersonale?
- Esiste un Dio trascendente e che sia una "persona con cui parlare" nella preghiera?
- Esiste un Dio che interviene nella storia umana?
- Esiste un disegno escatologico pensato da un Dio?
etc..

Un mistico non si pone nessuna questione di esistenza di Dio, per lui è "evidente" che c'è. Un ateo ci ha riflettuto sopra per anni fino ad arrivare alla conclusione che non esiste. Un agnostico è indifferente al problema, perché non possiamo saperne nulla. La gran parte dell'umanità, in ogni caso, ha bisogno di una religione, non di Dio.

mariodic
"kinder":
in verità a me rimane oscura la distinzione che fai tra le due interpretazioni del verbo esistere su cui, mi sembra, centri il tuo discorso.
Non capisco perché non dovrebbe avere senso la domanda, quando il verbo esistere viene inteso nel senso comune, che secondo me è quello corretto. Ritengo molto più problematico l'uso del verbo essere come si faceva in passato nella filosofia, quando gli antichi si sono dilettati per secoli sull'essere ed il non essere. Ma anche in questo caso non vedo alternativa al leggerlo come esistere o come ciò che esiste.
Mi pare che tu dia un significato paricolare all'"io sono" cartesiano, tanto da ritenerlo meno consueto. A me sembra che Cartesio, quando concludeva col "cogito ergo sum", si riferisse all'esistenza nel senso comune, di cui derivava la certezza dalla coscienza del "cogitare".
Comprendo bene le difficoltà di Kinder nell'afferrare ciò che cerco di dire, tuttavia, prima di ritornare sull'argomento, mi sembra utile richiamarmi alle citazioni -indirette- di Wittgenstein riportate nell'ultimo post di Sergio, citazioni che mostrano come il problema, non nuovo, delle difficoltà di linguaggio emerga ogniqualvolta si tenti, per mezzo del linguaggio, che è parte della struttura del "sistema logico" (a sua volta autocostruitosi intorno alla "singolarità" dell' "IO"), di descrivere o a dimostrare proposizioni che pure sono struttura del sistema logico stesso.
Il verbo 'essere' dell'"IO SONO" -chiamiamolo pure "IO" Cartesiano, con qualche piccola riserva- è, non una proposizione del "sistema logico", confutabile o no, ma l'l'autoaffermazione dell'"IO" che è la "singolarità" originante l'autosistema logico (in soldoni: del Mondo) e, come tale, fondamento necessario e inconfutabile.
Quest'ultimo capoverso sarebbe senza basi e privo di chiarezza se non precisassi i principi su cui si basano le affermazioni fatte:

*la prima è la unicità della singolarità "IO" di cui l'"io" del parlare comune è solo un riflesso che oggettiva e trasla, nel sistema logico del Mondo, l'astratta entità dell'"IO", origine del sistema stesso, generando, ad hoc, l'osservatore del senso comune ma non l'Osservatore unico che compete all'"IO SONO",

*la seconda è la necessità di assumere, quando si discute su questioni di questo tipo, una posizione di Osservatore soggettivista perchè, quella di oggettivista, che pure è utilissima quando parliamo di cose o agiamo nel sistema logico costituente il Mondo, non potrebbe essere contratta sino a portarsi a ridosso e a tendere verso la "singolarità" "IO SONO", questo piegherebbe perchè il verbo essere di "IO SONO" non ha lo stesso valore del verbo essere del parlar comune.

Mi si potrebbe obiettare che pure l'"IO SONO" sarebbe "dentro" al sistema logico, visto che lo autogenera; rispondo che, trattandosi di una singolarità nel sistema dello stesso IO
può non condividere le proprietà di ogni altro punto e, viceversa, ogni punto del sistema (Mondo) non condivide alcuna (o ne condivide poche) proprietà della singolarità generatrice.

ViciousGoblin
"Sergio":
@ViciousGoblin: guarda che Wittgenstein ha poi messo pesantemente in discussione il Trattato (su questo la voce di Wikipedia è piuttosto grossolana; meglio le Lezioni di filosofia della sceinza che avevo segnalato tempo fa).
Per il resto, anch'io ho rilevato che mariodic sembra intendere come "parlare comune" quello che in realtà è il linguaggio del positivismo logico, grandemente influenzato dal Trattato. Mi pare molto arbitrario, ma almeno forse spiega perché, se ci si pone sul terreno del vero "parlare comune", capire quello che scrive è alquanto arduo ;-)


Caro Sergio so del "secondo Wittgenstein" e ho anche letto, l'anno scorso, le Lezioni di filosofia della scienza che avevi segnalato. Ma i discorsi di mariodic mi avevano proprio fatto pensare al Tractatus
(il fatto di "non poter parlare delle questioni essenziali" ) e la pagina di wikipedia di cui ho riportato un estratto e' quella relativa al solo Tractatus. Devo confessare di sentirmi tra coloro che "abbia pensato i pensieri ivi espressi - o, almeno, pensieri simili" - in particolare una differenza tra "mostrare" e "dire" (ma qui si va sul tecnico e non sarei in grado di tenere una discussione su questo).

Ricordo anche a tutti (chiedo a Sergio conferma) che secondo W., come e' insensato fare affermazioni metafiche e' anche insensato affermare l'insensatezza di tali affermazioni - cioe' e' insensato
tutto quello che stiamo dicendo !! (lui se la cava con la scala da gettare dietro di se dopo averla usata).

ViciousGoblin
Commento da uno che ha "orecchiato" (recentemente) a dei seminari di filosofia. Spero di non essere bacchettato dai filosofi di professione.

La posizione di mariodic mi ricorda quella espressa da Wittgenstein (che per la verita' mi ha parecchio colpito)
Riporto quello che dice la wikipedia italiana (senza prendermene responsabilita' ...), per cui secondo W.

- Non possiamo dire con il linguaggio ciò che appartiene alla struttura, al massimo può essere mostrato, perché ogni linguaggio che usiamo appartiene a questa relazione, e non possiamo
saltare fuori dal linguaggio con il linguaggio.


E questa e' la prefazione la Tractatus Logicus Philosophicus (va beh vi confesso che ho tentato di leggerlo)

-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
Questo libro, forse, comprenderà solo colui che già a sua volta abbia pensato i pensieri ivi espressi - o, almeno, pensieri simili -. Esso non è,dunque, un manuale -.
Conseguirebbe il suo fine se piacesse ad uno che lo legga e comprenda.

[size=150]Il libro tratta di problemi filosofici e mostra - credo - che la formulazione di questi problemi si fonda sul fraintendimento della logica del nostro linguaggio.
Tutto il senso del libro si potrebbe riassumere nelle parole:
Quanto può dirsi, si può dir chiaro; e su ciò, di cui non si può parlare, si deve tacere.[/size]

[size=150]Il libro vuole dunque tracciare al pensiero un limite, o piuttosto - non al pensiero, ma all'espressione dei pensieri: Ché, per tracciare al pensiero un limite, dovremmo poter pensare ambo i lati di questo limite (dovremmo dunque poter pensare quel che pensare non si può).

Il limite potrà dunque esser tracciato solo nel linguaggio, e ciò che è oltre il limite non sarà che nonsenso.[/size]

In che misura i miei sforzi coincidano con quelli d'altri filosofi non voglio giudicare.
Ciò che qui ha scritto non pretende già d'essere nuovo, nei particolari; né perciò cito fonti, poiché m'è indifferente se già altri, prima di me, abbia pensato ciò che io ho pensato.

Solo questo voglio menzionare, che io devo alle grandiose opere di Frege ed ai lavori del mio amico Bertrand Russell gran parte dello stimolo ai miei pensieri.

Se questo lavoro ha un valore, questo consiste in due cose. In primo luogo, pensieri son qui espressi; e questo valore sarà tanto maggiore quanto meglio i pensieri sono espressi. Quanto più s'è colto nel segno. - Qui so d'esser rimasto ben sotto il possibile. Semplicemente poiché la mia forza è troppo ìmpari al compito. - Possano altri venire e far ciò meglio.

Invece la verità dei pensieri qui comunicati mi sembra intangibile e definitiva. Sono dunque dell'avviso d'aver definitivamente risolto nell'essenziale i problemi.
[size=150]E, se qui non erro, il valore di questo lavoro consiste allora, in secondo luogo, nel mostrare quanto poco sia fatto dall'essere questi problemi risolti.[/size]

L. W.
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Confesso pure che mi ha colpito l'idea che, tracciando i limiti a cio' che possiamo dire, possiamo forse riuscire a intuire "in negativo" cio' che sta fuori dal mondo (la tangenza di mariodic ??).

kinder1
in verità a me rimane oscura la distinzione che fai tra le due interpretazioni del verbo esistere su cui, mi sembra, centri il tuo discorso.
Non capisco perché non dovrebbe avere senso la domanda, quando il verbo esistere viene inteso nel senso comune, che secondo me è quello corretto. Ritengo molto più problematico l'uso del verbo essere come si faceva in passato nella filosofia, quando gli antichi si sono dilettati per secoli sull'essere ed il non essere. Ma anche in questo caso non vedo alternativa al leggerlo come esistere o come ciò che esiste.
Mi pare che tu dia un significato paricolare all'"io sono" cartesiano, tanto da ritenerlo meno consueto. A me sembra che Cartesio, quando concludeva col "cogito ergo sum", si riferisse all'esistenza nel senso comune, di cui derivava la certezza dalla coscienza del "cogitare".
Ma mettendo da parte questioni che mi sembrano meramente linguistiche, perché secondo te la domanda non ha senso nel linguaggio comune? Tu affermi che gli attributi che lo caratterizzano lo mettono fuori dalla logica, ma non ne spieghi il perché. Anzi, c'è qualcosa che non mi torna nella tua frase, che semplifico con qualche taglio di esempi o paragoni (eventualmente si perde in chiarezza, ma non in logica): "Stando agli attributi di assulutezza estrema di Dio, la domanda "Dio esiste?" implica che Dio debba rientrare nel modello del mondo ... Orbene, per le "proprietà" assegnate a Dio, Egli non entra in questa logica per cui la domanda " Dio esiste?" non ha senso.". Che vuol dire?

mariodic
Ho aperto questa discussione -e sono contento di constatare il buon interesse riservatale dagli amici di questo forum- per cercare di capire quale senso potrebbe avere la domanda "Dio esiste?". Orbene il mio dubbio intorno alla domanda non riguarda, si badi bene, la questione se valga o no la pena di discutere su Dio, ma se la domanda ha senso (o è ben posta) o no. Ecco perchè.
Stando agli attributi di assulutezza estrema di Dio, la domanda "Dio esiste?" implica che Dio debba rientrare nel modello del mondo (il modello logico del mondo costruito dall'IO, quindi, il nostro universo) così come vi entra una proposizione (teorema) nel sistema di Godel, voglio dire di una proposizione di cui potrebbe derivarsi logicamente la "Verità", la "falsità" o la indeterminatezza. Orbene, per le "proprietà" assegnate a Dio, Egli non entra in questa logica per cui la domanda " Dio esiste?" non ha senso. Tuttavia, per venire, diciamo così, incontro a chi pone in buona fede questa domanda, dobbiamo puntare sulla distinzione tra il verbo "essere" nel senso di esistenza nel "sistema" logico del mondo e il verbo "ESSERE" insito nell'affermazione cartesiana "IO SONO"; è appunto questo secondo -meno consueto- significato quello adatto per dare o negare un senso alla questione "DIO ESISTE?". Questa prospettiva sottrae il problema dalle strette del parlar corrente, cioè, del parlare "nel" sistema.
Concludo dicendo che la scienza non è nella condizione pratica di "misurare" Dio, non perchè la scinza manchi di contatto con Dio, ma perchè si tratta di un contatto, diciamo così, di tangenza, che dà, quasi generalmente, l'impressione lo si possa essere tranquillamente trascurare senza conseguenze "pratiche" nell'area scientifica.

stepper1
"boba74":
Concordo con Sergio.
Se abbia senso o meno chiedersi se Dio esiste, questo non lo so, dipende dai casi, non ha meno senso di molte altre domande.
Riguardo alle questioni scientifiche, invece, io credo che non abbia senso farcelo entrare, perchè sono appunto "scientifiche", perciò presuppongono problemi e risposte che devono essere provate dai fatti. Se si cerca una risposta a un problema che ancora non è stato risolto scientificamente, ricorrere a Dio come spiegazione è sbagliato, o comunque è una soluzione provvisoria, destinata prima o poi a cadere. Le uniche "questioni" in cui si può far entrare Dio sono quelle che sappiamo già "scientificamente" che non potranno mai essere dimostrate.

Il punto è proprio stabilre quali sono le "questioni" che sappiamo già "scientificamente" che non potranno mai essere dimostrate. C'è chi, come Piergiorgio Odifreddi, vorrebbe spostare i confini della scienza semptre più in là. Ho letto il suo articolo “nel labirinto dell’universo, quel che resta ancora da decifrare” su Repubblica del 17 gennaio 2008, e l’ho trovato, per parafrasare lo stesso Odifreddi “di decrescente grandiosità”. Sulla prima parte niente da eccepire: le grandi invenzioni e scoperte scientifiche del XVII, le opere magistrali di Galileo (Il Saggiatore) e di Newton (i Principi matematici della filosofia naturale). Il passaggio logico a partire dal quale l’articolo si avviluppa in una sorta di spirale discendente è quello in base al quale Dio non sarebbe la causa di niente: “postulare che Dio è la causa di qualcosa non è altro che un modo diverso di dire che non sappiamo quale ne sia la causa”. A ben vedere Odifreddi non nega esplicitamente l’esistenza di Dio, si limita a dire che la sua eventuale esistenza non spiega nulla né aiuta a capire nulla. Ma questo porta, per assurdo, a dimostrare la non esistenza di Dio, perché se Dio non ha assolutamente nulla a che fare con alcunché di tutto ciò che esiste, Dio stesso non esiste. Questo non è proprio l’errore speculare a quello commesso dall’inquisizione che vedeva una contraddizione tra la Bibbia e le scoperte di Galileo o di Copernico sulla non centralità della terra rispetto al sole? La Bibbia non è un manuale che dà spiegazioni scientifiche, non spiega in termini scientifici come Dio abbia creato l’uomo, la sua coscienza, la vita e l’Universo. Ma se Dio non esiste perché non ha nulla a che fare con tutto ciò che esiste, neanche con quanto la scienza non risesce di fatto a spiegare, è un’invasione di campo altrettanto grave di quella commessa secoli fa dall’inquisizione.

mariodic
"Sergio":
La domanda "ha senso" nei fatti, perché molti se la pongono. C'è comunque anche chi non se la pone affatto, come il sottoscritto. Punti di vista entrambi legittimi, finché si resta nella sfera individuale.
Ma da "esiste Dio?" a "può Dio entrare nelle questioni scientifiche?" il salto è enorme. Come puoi passare dall'una all'altra come se fossero la stessa domanda???
Sono due questioni nettamente distinte. E la mia risposta alla seconda.....
Innazitutto ringrazio Sergio per il suo contributo che, almeno nella prima parte del suo post, tocca l'argomento di questa discussione, la seconda parte, invece, vi esula.
"Dio esiste?", il perchè abbia dubbi sulla validità formale di questa domanda è dovuto all'equivocità di significato del verbo "esistere". Se riflettiamo un po' sul significato del verbo ci si accorge che ne avrebbe almeno due sottilmente differenti:

-il primo e più importante è quello ricorrente nel parlare comune, cioè all'interno del sistema o modello logico del mondo, dove ha senso la domanda di verità o falsità di una qualsiasi sensata proposizione; quest'ultima rimane verà finchè non entra in conflitto col sistema logico stesso;

-il secondo significato riguarda, non una domanda, ma l'atto di coscienza "IO SONO", come dire che questo "atto" non va cercate nel "sistema logico del mondo" ma in un punto singolare e, quindi non può costituire oggetto di una proposizione che concerne il Sistema ma è invece una certezza ontologica.

Questa duplicità di significato, soventissimamente non rilevata da chi si accinge a cimentarsi con la domanda "Dio esiste?", penso sia la causa della inconciliabile diatriba storica su questo tema teologico, infatti, a causa dell'uso improprio del primo significato di "esistere", hanno ben ragione coloro che sostengono che dalla prospettiva scientifica l'idea di Dio appare spesso ingombrante, irrilevante o addiritura falsa non potendosene verificare il valore di verità (SI,NO). Taluni, a quest'ultimo riguardo, potrebbe dire con Godel: "la proposizione sull' esistenza di Dio potrebbe essere indecidibile", ma, personalmente, per quel che ho detto a proposito del significato di esistere, neppure questa terza risposta mi pare compatibile con l'argomento della domanda "Dio esiste?". Concludo dicendo che col solo primo significato, quello ricorrente, di "essere", non è possibile discutere utilmente sulla questione, dando ragione a Sergio che, come non pochi altri, si dichiara indifferenti ad essa.
Non rimane che puntare sul secondo significato di "esistere", ma rinvio il seguito a qualche altro contributo del forum.

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