Versione di Latino - Decadenza dei valori umani - Sallustio
Titolo: Decadenza dei valori umani
Autore: Sallustio
Opera: De Catilinae coniuratione 8-10.
Inizio versione: Sed profecto fortuna in omni re dominatur; ea res cunctas ex lubidine magis...
Fine: ..... post, ubi contagio quasi pestilentia invasit, civitas inmutata, imperium ex iustisumo atque optumo crudele intolerandumque factum.
GRAZIE!!!! :thx:hi:hi:hi
Autore: Sallustio
Opera: De Catilinae coniuratione 8-10.
Inizio versione: Sed profecto fortuna in omni re dominatur; ea res cunctas ex lubidine magis...
Fine: ..... post, ubi contagio quasi pestilentia invasit, civitas inmutata, imperium ex iustisumo atque optumo crudele intolerandumque factum.
GRAZIE!!!! :thx:hi:hi:hi
Risposte
8- In tutte le cose la sorte è padrona e a suo capriccio, più che in base alla verità, le imprese vengono rese illustri oppure oscure.
Gli ateniesi, io credo, compirono molte e magnifiche imprese; ma minori di quando vengano narrate.
E poichè in Atene fiorirono scrittori di grande ingegno, grazie a questi, le sue gesta rieccheggiarono magnificamente per tutto il mondo.
Così, la virtù di coloro che compirono tali imprese è stimata tanto grande in misura delle parole colle quali la illustrarono gli ingegnosi scrittori.
Ora, ai Romani mancò sempre questa fortuna, poichè i più alti ingegni erano anche i più laboriosi e non si concepiva esercizio della mente senza esercizio del corpo; i più valorosi preferivano l'azione alla parola; lasciavano agli altri la lode delle imprese; essi non la meritavano.
9- In pace e in guerra, quindi, vigevano i buoni costumi: massima concordia, minima cupidigia.
La giustizia e l'onestà traevano vigore non dall'imposizione delle leggi, quanto alla natura degli uomini.
Sfogavano le contese, le discordie, i rancori piuttosto quando erano di fronte al nemico; fra di loro c'era competizione solo riguardo alla virtù.
Il culto per gli dei era solenne, la vita privata modesta, l'amicizia fedele.
Lo stato e i cittadini erano sostenuti da queste due qualità: in guerra l'audacia, in pace l'equità.
A riprova di ciò espongo due casi che sono in grado di documentare: spesso, in guerra, si procedeva alla punizione di coloro che, contravvendendo ad un ordine dato, avevano combattuto contro il nemico, oppure, richiamati, si erano ritirati troppo tardi dalla battaglia; invece si era più clementi col disertonre o con colui che aveva osato abbandonare la posizione in battaglia.
In pace, poi, il governo veniva esercitato più con la benevolenza che con il timore; e i cittadini oggetto di offesa, preferivano il perdono alla vendetta.
10- La laboriosità e l'equità, orbene, avevano reso Roma potente: grandi re furono sconfitti, nazioni barbariche e popoli ingenti furono sottomessi; Cartagine, emula dell'impero romano, era stata distrutta dalle fondamenta; ma proprio quando tutti i mati e le terre erano aperti alla conquista, la fortuna cominciò a mostrarsi nemica e a mescolare le sorti.
Per quanti avevano sopportato fatiche, pericoli, il riposo, l'abbondanza e quantaltro in precedenza si sarebbe potuto desiderare divennero motivo di aggravio e di preoccupazione.
Al desiderio di danaro si aggiungeva la brama di potere, e questi sentimenti, a loro volta, diventarono la causa della loro disgrazia.
Dunque, l'avidità annientò la lealtà, l'onestà, ogni virtù; e al posto dei parchi costumi presero il sopravvento la superbia, la crudeltà, l'irreligiosità, il mercimonio.
L'ambizione indusse molti alla falsità, a fingere sentimenti e lusinghe; insomma gente per cui le liti o gli accordi non dipendevano da sinceree disposizioi d'animo, ma da volgare tornaconto; e nel volto simulavano benevolenza o dispiacere, a prescindere da quanto avevano nell'anima.
Questi vizi si diffusero a poco a poco; talvolta furono anche puniti, ma poi il contagio si diffuse come una peste, la città fu mutata e il governo, il più legittimo e benefico dei governi, diventò crudele e intollerabile.
Gli ateniesi, io credo, compirono molte e magnifiche imprese; ma minori di quando vengano narrate.
E poichè in Atene fiorirono scrittori di grande ingegno, grazie a questi, le sue gesta rieccheggiarono magnificamente per tutto il mondo.
Così, la virtù di coloro che compirono tali imprese è stimata tanto grande in misura delle parole colle quali la illustrarono gli ingegnosi scrittori.
Ora, ai Romani mancò sempre questa fortuna, poichè i più alti ingegni erano anche i più laboriosi e non si concepiva esercizio della mente senza esercizio del corpo; i più valorosi preferivano l'azione alla parola; lasciavano agli altri la lode delle imprese; essi non la meritavano.
9- In pace e in guerra, quindi, vigevano i buoni costumi: massima concordia, minima cupidigia.
La giustizia e l'onestà traevano vigore non dall'imposizione delle leggi, quanto alla natura degli uomini.
Sfogavano le contese, le discordie, i rancori piuttosto quando erano di fronte al nemico; fra di loro c'era competizione solo riguardo alla virtù.
Il culto per gli dei era solenne, la vita privata modesta, l'amicizia fedele.
Lo stato e i cittadini erano sostenuti da queste due qualità: in guerra l'audacia, in pace l'equità.
A riprova di ciò espongo due casi che sono in grado di documentare: spesso, in guerra, si procedeva alla punizione di coloro che, contravvendendo ad un ordine dato, avevano combattuto contro il nemico, oppure, richiamati, si erano ritirati troppo tardi dalla battaglia; invece si era più clementi col disertonre o con colui che aveva osato abbandonare la posizione in battaglia.
In pace, poi, il governo veniva esercitato più con la benevolenza che con il timore; e i cittadini oggetto di offesa, preferivano il perdono alla vendetta.
10- La laboriosità e l'equità, orbene, avevano reso Roma potente: grandi re furono sconfitti, nazioni barbariche e popoli ingenti furono sottomessi; Cartagine, emula dell'impero romano, era stata distrutta dalle fondamenta; ma proprio quando tutti i mati e le terre erano aperti alla conquista, la fortuna cominciò a mostrarsi nemica e a mescolare le sorti.
Per quanti avevano sopportato fatiche, pericoli, il riposo, l'abbondanza e quantaltro in precedenza si sarebbe potuto desiderare divennero motivo di aggravio e di preoccupazione.
Al desiderio di danaro si aggiungeva la brama di potere, e questi sentimenti, a loro volta, diventarono la causa della loro disgrazia.
Dunque, l'avidità annientò la lealtà, l'onestà, ogni virtù; e al posto dei parchi costumi presero il sopravvento la superbia, la crudeltà, l'irreligiosità, il mercimonio.
L'ambizione indusse molti alla falsità, a fingere sentimenti e lusinghe; insomma gente per cui le liti o gli accordi non dipendevano da sinceree disposizioi d'animo, ma da volgare tornaconto; e nel volto simulavano benevolenza o dispiacere, a prescindere da quanto avevano nell'anima.
Questi vizi si diffusero a poco a poco; talvolta furono anche puniti, ma poi il contagio si diffuse come una peste, la città fu mutata e il governo, il più legittimo e benefico dei governi, diventò crudele e intollerabile.