Correzione
Accensa iuvenem positum strue liquit Erichtho tandem passa mori Sextoque ad castra parentis it comes et, caelo lucis ducente colorem, dum ferrent tutos intra tentoria gressus, iussa tenere diem densas nox praestitit umbras.
Ho tradotto:
Eritto abbandonò il giovane dopo averlo deposto sul mucchio acceso, gli è dunque permesso di morire e va con Sesto nell'accampamento del padre (qui non so dove mettere quel COMES e come tradurlo) e, nel cielo che assorbe il colore di luce(questa mi sembra strana rispetto alla traduzione a fronte del libro), sino a quando portassero i passi/le rotte protette tra le tende, la notte, invitata a trattenere il giorno, offrì le ombre dense.
Aggiunto 2 giorni più tardi:
Qualcuno può controllarmela?
Ho tradotto:
Eritto abbandonò il giovane dopo averlo deposto sul mucchio acceso, gli è dunque permesso di morire e va con Sesto nell'accampamento del padre (qui non so dove mettere quel COMES e come tradurlo) e, nel cielo che assorbe il colore di luce(questa mi sembra strana rispetto alla traduzione a fronte del libro), sino a quando portassero i passi/le rotte protette tra le tende, la notte, invitata a trattenere il giorno, offrì le ombre dense.
Aggiunto 2 giorni più tardi:
Qualcuno può controllarmela?
Miglior risposta
In tutta sincerità, non credo di essere la persona migliore per dar giudizi su questo testo. Tuttavia, visto che mi è stato espressamente chiesto, ecco le mie impressioni: non si capisce granché (con tutto il rispetto e detto senza malizia). In Italiano, intendo.
Ci sono due scuole di pensiero, entrambe fedeli al detto: chi traduce, tradisce. La prima vuole la traduzione rispettosa della sintassi della lingua originaria, e piega la traduzione ai dettami dell'originale, in modo da trasmettere quanto più possibile, tutte le regole, ritmi, doppi sensi ecc che hanno ispirato l'autore. La seconda, invece, si sente libera di spaziare nell'interpretazione propria del traduttore, il quale si sentirà in obbligo verso lo spirito, l'essenza di quanto traduce. Tuttavia entrambe le scuole pongono come condizione primaria l'intelligibilità. Partire da "Accensa iuvenem ecc." non aiuta. Meglio partire dal capire di cosa o chi si sta parlando: qui c'è un morto, una pira:
Tum robore multo: exstruit illa rogum. Venit defunctus ad ignes.
Sembra di vedere lo spirito del giovane innalzarsi confuso fra il fumo di questa pira (non mucchio acceso, che non fa capire cosa sia), uno spettro tra le fiamme, e queste (le fiamme):
Accensa iuvenem positum strue liquit Erichtho
tandem passa mori Sextoque ad castra parentis
it comes et, caelo lucis ducente colorem,
dum ferrent tutos intra tentoria gressus,
iussa tenere diem densas nox praestitit umbras.
Ma chi era questa Eritto? Una maga, una strega, una dotata di potere divinatorio, poteva leggere il futuro. E predice a Sesto l'esito della battaglia di Farsalo. Ma chi si combatte a Farsalo, che il nome Sesto ricorda? Pompeo e Cesare, e Sesto figlio del Magno. E a Sesto Pompeo, la maga Eritto predice il futuro alla vigilia della battaglia di Farsalo. Ma, siccome è maga, non lo fa tanto tradizionalmente come farebbe un qualsiasi oracolo di Delfi, una sibilla di Cuma. Fa parlare un morto, un soldato caduto e noto per il suo coraggio e determinazione. Questa è la scena finale, quando la profezia è data (e Sesto capirà il contrario, come sempre accade con le profezie che si rispettano) e la maga riesce, nonostante sia già l'alba, a far calare le nere ombre su Sesto, in modo che raggiunga incolume gli accampamenti del padre. Questi versi sono noti, appunto, per la descrizione macabra del morto che parla e che la sua natura di morto tenta, se così vogliamo dire, di tornare alla pace eterna. Cosa che riuscirà a fare solo quando la maga lo permetterà, ossia dopo che la profezia è stata annunciata.
Dopo di che il morto viene finalmente lasciato nella pace eterna e la maga trattiene la luce, con i suoi colori rossastri che infiammano l'alba, condotti dalla pira al cielo, e avvolge di ombre notturne, Sesto.
Comes è l'accompagnatore, la guardia, il compagno (che diverrà tra l'altro il titolo nobiliare Conte, come Duca vien da Dux): Sesto non è da solo. Gressus è singolare: il cammino, il tragitto, il percorso. Iussa non è invitata, è qualcosa di più forte, è un comando, un ordine: è la maga a volerlo, ella piega la natura al suo volere. D'altrone ius, iuris è LA legge.
Ci sono due scuole di pensiero, entrambe fedeli al detto: chi traduce, tradisce. La prima vuole la traduzione rispettosa della sintassi della lingua originaria, e piega la traduzione ai dettami dell'originale, in modo da trasmettere quanto più possibile, tutte le regole, ritmi, doppi sensi ecc che hanno ispirato l'autore. La seconda, invece, si sente libera di spaziare nell'interpretazione propria del traduttore, il quale si sentirà in obbligo verso lo spirito, l'essenza di quanto traduce. Tuttavia entrambe le scuole pongono come condizione primaria l'intelligibilità. Partire da "Accensa iuvenem ecc." non aiuta. Meglio partire dal capire di cosa o chi si sta parlando: qui c'è un morto, una pira:
Tum robore multo: exstruit illa rogum. Venit defunctus ad ignes.
Sembra di vedere lo spirito del giovane innalzarsi confuso fra il fumo di questa pira (non mucchio acceso, che non fa capire cosa sia), uno spettro tra le fiamme, e queste (le fiamme):
Accensa iuvenem positum strue liquit Erichtho
tandem passa mori Sextoque ad castra parentis
it comes et, caelo lucis ducente colorem,
dum ferrent tutos intra tentoria gressus,
iussa tenere diem densas nox praestitit umbras.
Ma chi era questa Eritto? Una maga, una strega, una dotata di potere divinatorio, poteva leggere il futuro. E predice a Sesto l'esito della battaglia di Farsalo. Ma chi si combatte a Farsalo, che il nome Sesto ricorda? Pompeo e Cesare, e Sesto figlio del Magno. E a Sesto Pompeo, la maga Eritto predice il futuro alla vigilia della battaglia di Farsalo. Ma, siccome è maga, non lo fa tanto tradizionalmente come farebbe un qualsiasi oracolo di Delfi, una sibilla di Cuma. Fa parlare un morto, un soldato caduto e noto per il suo coraggio e determinazione. Questa è la scena finale, quando la profezia è data (e Sesto capirà il contrario, come sempre accade con le profezie che si rispettano) e la maga riesce, nonostante sia già l'alba, a far calare le nere ombre su Sesto, in modo che raggiunga incolume gli accampamenti del padre. Questi versi sono noti, appunto, per la descrizione macabra del morto che parla e che la sua natura di morto tenta, se così vogliamo dire, di tornare alla pace eterna. Cosa che riuscirà a fare solo quando la maga lo permetterà, ossia dopo che la profezia è stata annunciata.
Dopo di che il morto viene finalmente lasciato nella pace eterna e la maga trattiene la luce, con i suoi colori rossastri che infiammano l'alba, condotti dalla pira al cielo, e avvolge di ombre notturne, Sesto.
Comes è l'accompagnatore, la guardia, il compagno (che diverrà tra l'altro il titolo nobiliare Conte, come Duca vien da Dux): Sesto non è da solo. Gressus è singolare: il cammino, il tragitto, il percorso. Iussa non è invitata, è qualcosa di più forte, è un comando, un ordine: è la maga a volerlo, ella piega la natura al suo volere. D'altrone ius, iuris è LA legge.
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