Aiuto, traduzione dei pensa del libro FAMILIA ROMANA, dei capitoli 29,30e31!!!!!!
Aiuto! Mi serve la traduzione dei pensa del libro FAMILIA ROMANA, dei capitoli 29,30 e 31. Grazie in anticipo! https://www.skuola.net/datas/users/att_17977.pdf
Risposte
Scusami, ho letto distrattamente il titolo della tua richiesta :mannagg
Ti ringrazio veramente tanto per avermi risposto, ma io chiedevo i pensa A e B che si trovano alla fine dei capitoli 29, 30 e 31.
Grazie ancora comunque.
Grazie ancora comunque.
Capitolo 29
Molte navi e molti marinai ogni anno periscono in mare. In fondo al mare giacciono molte navi affondate. E tuttavia i marinai non vengono distolti dal navigare da alcun pericolo. “Navigare è necessario“ affermano, e i mercanti, i quali proprio non osano affrontare i pericoli del mare aggiungono “ Vivere non è necessario!” I mercanti attribuiscono molto valore alle proprie merci, considerano la vita dei marinai di poco valore! Ma in realtà non tutti i mercanti tornano a casa, quando trasportano le loro merci con le navi. Alcuni viaggiano per mare in terre straniere perché non vogliono affidare merci preziose ai marinai, come quel famoso mercante romano che viaggia sulla stessa nave di Medo e Lidia. Egli partì contento da Ostia con merci preziose che aveva acquistato in Italia con tutto il suo denaro, con l’intenzione di venderle in Grecia ad un prezzo più alto. Così sperava di realizzare un grande guadagno. Ma subito tutto quella speranza svanì, infatti le merci, nelle quali aveva riposto ogni speranza, furono sommerse dai flutti. All’improvviso il mercante da ricchissimo divenne poverissimo. Non fa meraviglia che egli fosse triste. Il mercante, avvicinandosi al timoniere, tra molte lacrime, si lamenta: “ Oh, povero me! Tutte le cose che possedevo sono in fondo al mare, Che farò? Cosa spererò? In che modo manterrò la moglie e i figli? Non mi è rimasta neppure una moneta di rame: ho perduto tutto, Ohimè!” “Smetti di lamentarti! “ dice il pilota, “Infatti non hai perduto tutto dato che tua moglie e i tuoi figli sono salvi. Forse che non valuti i figli più di queste merci? E’ brutto perdere le ricchezze, ma molto più brutto perdere i figli.” Con tali parole l’uomo di mare tenta di confortare il triste mercante, ma invano, infatti quello subito “ Non stare a consolarmi tu “ dice” che proprio tu hai ordinato che le mie merci fossero gettate (in mare)!”Il pilota : “Con il lancio in mare delle merci la nave è stata salvata.” Il mercante: “Dici bene: le mie merci sono state gettate a mare perché la tua nave fosse salva!” Il pilota: “ Abbiamo gettato a mare le merci per essere tutti salvi. Con la perdita delle merci non solo la nave, ma anche la vita di noi tutti è stata salvata. Certo, le merci perirono, ma nessuno di noi perì. Dunque, stai di buon animo! Sii felice insieme a noi che tu non hai perso la vita insieme con le merci! Noi uomini siamo felici. ” Il mercante: “Certo voi siete felici, infatti nessuno di voi ha perduto un asse. Non fa meraviglia che siate felici. Ma non consigliatemi di essere felice, dopo che mi avete tolto tutto! La vostra gioia non mi influenza. “ Il pilota: “ E la tua tristezza non influenza nessuno di noi. Sono sempre contento quando penso ai miei figli, che sono presi dalla più grande gioia, quando vedono che il loro padre torna salvo da un viaggio per mare pericoloso”. Il mercante: “ Anche io amo i miei figli e non voglio infliggere loro un dolore. Ma in quale modo vivremo senza soldi? In quale modo comprerò cibo e vestiario per i miei piccoli? O dei immortali! Ridatemi le merci!”. Il pilota: “ A che serve implorare gli dei che ti vengano restituite le cose perdute? Invano implori questo.” Il mercante: “ Dunque che farò. Io stesso salterò dalla nave o rimarrò sulla stessa nave con voi?” L’uomo era così sconvolto che si chiedeva se saltare in mare o restare sulla nave. “ Salta subito!” dice il pilota, “ Nessuno di noi te lo impedisce. Ma certo non sarai tanto fortunato quanto Arione che fu salvato dal delfino.” Il mercante, che non sapeva di Arione, “ Chi mai è rione?” dice, “ Non conosco neppure il nome.” Il pilota: “ Sei proprio ignorante se non lo conosci. Arione, uomo nobile nato a Lesbo, suonava con la lira così bene da essere denominato un altro Orfeo. Forse che sei tanto ignorante che anche Orfeo ti è ignoto?” Il mercante “In verità un po’ (lo conosco). Orfeo invero è noto a tutti. Egli fu un famoso suonatore di lira che suonava tanto bene che le bestie feroci, dimentiche del loro istinto naturale, si avvicinavano per sentirlo cantare e i fiumi impetuosi rallentavano per non turbare con il rumore la sua musica. Orfeo poi discese agli inferi per riportare da lì sua moglie. Ma affrettati a raccontarmi di Arione.” Il pilota, quando vede tutti attenti, racconta questa leggenda: “ Mentre Arione, famosissimo suonatore di lira della sua epoca, navigava dall’Italia verso la Grecia e portava con sé grandi ricchezze, i marinai, persone indigenti, che invidiavano l’uomo ricco, decisero di ucciderlo. Ma quello, conosciuta la loro decisione, diede ai marinai il denaro e le altre sue cose, chiedendo solo questo, che lo risparmiassero. “Ecco” dice” tutte le cose che possiedo sono ormai vostre. Tenetevi le mie ricchezze, risparmiatemi la vita! Consentitemi di tornare in patria! Questo solo imploro!” I marinai furono tanto commessi dalle sue preghiere che rinunciarono alla violenza su di lui ma tuttavia gli ordinarono di gettarsi subito in mare! Allora l’uomo, atterrito, poiché ormai disperava di salvarsi la vita, chiede una sola cosa, che gli fosse consentito di indossare una veste elegante e prendere la lira e prima della morte cantare una canzone. I marinai, desiderosi di sentire il suo canto, glielo accordarono.
Allora quello, ben vestito e adornato, stando sull'alta poppa, cantò una canzone con voce a gran voce (accompagnandosi) con la lira. Come Orfeo con il suo canto attirava a sé le bestie feroci, così allora Arione, cantando, attirò i pesci verso la nave. Alla fine poi, con la lira e gli ornamenti, così come si trovava e cantava, si gettò in mare. “ Ma allora accadde una cosa straordinaria e meravigliosa: un delfino, attirato dal canto, subito andò sotto l’uomo che nuotava e lo trasportò seduto sul suo dorso e lo sbarcò salvo spiaggia della Grecia. Da lì Arione si diresse immediatamente a Corinto, dove si rivolse al re Periandro, suo amico, e raccontò il fatto così come era accaduto. Il re non credette queste cose e comandò che Arione venisse messo in carcere come uno che racconta cose false. Ma dopo che i marinai arrivarono a Corinto, il re chiese loro “ se sapessero dove fosse Arione e cosa facesse? Risposero che “ l’uomo, quando se ne erano andati da lì, si trovava nella terra d’Italia e viveva lì felicemente, allietava le orecchie e gli animi degli uomini con il suo canto e guadagnava molto.” Mentre raccontavano queste falsità, all’improvviso apparve Arione, con la lira e gli ornamenti con i quali si era gettato in mare. I marinai, stupefatti dato che vedevano apparire del tutto vivo colui che ritenevano che fosse stato fatto affogare, subito confessarono il loro delitto.” Lo stesso Medo “ Sebbene sia noto” disse” che alcuni uomini sono stati trasportati dai delfini, tuttavia dubito che questa storia sia realmente vera.” Il pilota: “ Sia vera o sia inventata, mi rallegra molto la storia della fortunata salvezza di Arione, infatti come egli fu salvato in modo straordinario, quando ormai disperava di salvarsi, così gli uomini talvolta vengono strappati imprevedibilmente da pericoli grandissimi Da questa storia siamo esortati a stare sempre di buon animo e a non disperare mai di salvarci. Fin che c’è vita, s’è speranza.” Alla fine queste parola sembrarono confortare in qualche modo il mercante sconvolto. Ma allora Lidia, rivolta a Medo “ Poco fa ti ho chiesto “ dice “ se fosse tuo il denaro con il quale hai comprato questo anello. Perché non mi hai ancora risposto?” Interrogato così all’improvviso Medo confessa ‘di avere sottratto il denaro dal borsellino del padrone’. “ O Medo” esclama Lidia, “ Sei un ladro! Ora mi vergogno di avere amato te, perfido ladro!” Ma Medo “ non chiamarmi ladro,” dice” mia Lidia! Infatti il padrone mi doveva qualcosa del peculio. Prendere il peculio che ti è dovuto non è furto.” Ma Lidia continua ad accusarlo di furto: “Hai commesso un furto, Medo, Inutilmente cerchi di scusarti.” Medo: “ Se ho commesso un furto, l’ho fatto per causa tua. Infatti ho sottratto i soldi per comprare un regalo prezioso per te. Non ti sembra questo un beneficio, piuttosto che un misfatto?” Lidia: “ E’ facile comprare doni preziosi con il denaro altrui. Questo dono non mi piace. Ora non voglio portare su di me questo anello : lo getterò in mare!” Così dicendo Lidia si toglie l’anello dal dito, ma il pilota subito le prende il braccio. Allo stesso tempo Medo toglie dalla mano di Lidia l’anello tolto. Lidia, adirata, esclama: “ Togli la mano, marinaio!” ma quello “ Non comportarti stupidamente!" dice, “ Nessuno ti restituirà l’anello così gettato via – a meno che, per caso, tu non sia così fortunata quanto Policrate, tiranno di Samo, il cui anello, che egli stesso aveva gettato in mare, fu trovato in modo straordinario non in fondo al mare, ma nel ventre di un pesce!” Lidia: “ perché quel famoso tiranno gettò via il suo anello?” Il pilota: “Gettò via l’anello perché riteneva di essere troppo felice. Non gli era mai accaduto niente di male e aveva tanto potere, tanta gloria e tante ricchezze, che non solo gli altri tiranni, ma anche gli dei immortali lo invidiavano. Allora un suo amico, re dell’Egitto, vedendo la sua enorme felicità e gloria, convinse il tiranno a fare rinunzia di quella cosa che gli piaceva più di tutte: così sperava di poter allontanare l’invidia degli dei. Allora Policrate, si imbarcò su una nave e gettò in mare l’anello più prezioso che aveva. “ Dopo pochi giorni un certo pescatore prese nello stesso tratto di mare un pesce che era talmente bello che il pescatore non lo vendette, ma lo regalò al tiranno. In realtà prima che il pesce fosse portato alla tavola del tiranno, un servo che tagliava il pesce portò a lui l’anello ‘ che era stato trovato nel ventre del pesce’, disse. Policrate, avendo riconosciuto il suo anello, fu preso da grandissima gioia. Medo: “ Mai nessuno fu più felice di quel tiranno!” Il pilota: “ Non chiamare mai felice qualcuno prima che muoia. Questo ci insegna la sorte di quel tiranno. Policrate, infatti, poco dopo fu ucciso in maniera terribile da un certo uomo menzognero che, con false promesse, lo aveva attirato da Samo in Asia. Così talvolta una vita felice è conclusa dalla morte più miseranda. In verità la fortuna dell’uomo incostante, ma l’uomo saggio sopporta di buon grado la buona e la cattiva sorte e non invidia la fortuna altrui.” Mentre il pilota parla, un’altra nave appare lontano in mare. Medo lo raggiunge e “Smetti di parlare!” dice “Pensa ai tuoi affari! Perché non guardi lontano? Non vedi quella nave veloce che si avvicina a noi da settentrione?” “Per gli dei immortali!” dice il pilota appena vide la nave che si avvicinava, “Quella nave ci insegue veloce. Sicuramente è una nave dei pirati. Spiegate tutte le vele, marinai!” Ma la nave con le sole vele non naviga tanto velocemente quanto prima della bufera, infatti le vele furono lacerate dal vento impetuoso. Così il pilota ordina che la nave venga spinta a remi. Subito la nave viene mossa con ogni mezzo il più rapidamente possibile, ma tuttavia l’altra nave, i remi della quale vengono mossi su e giù come ali, si avvicina sempre più. Il pilota, terrorizzato, esclama : “ Bontà divina! Che faremo? tra poco i pirati saranno qui.” Allora il mercante, quando vede il pilota bianco in volto “Stai di buon animo!” dice “ Non disperarti! Finché c’è vita c’è speranza.”
Aggiunto 52 secondi più tardi:
Capitolo 30
Tornato dai campi Giulio va subito nella stanza da bagno, e prima si lava con l'acqua calda, poi fredda. Mentre egli dopo il bagno indossa la veste nuova, Cornelio e Oronte, amici e suoi ospiti, giungono con le loro mogli Fabia e Paola. (Gli ospiti sono amici dei quali l'uno riceve sempre l'altro con piacere, anche se inaspettato). Ma oggi gli ospiti di Giulio giungono attesi, infatti Giulio li ha invitati a cena. (La cena è il cibo che i Romani prendono all'ora sesta o nona circa). Emilia entrando nell'atrio saluta gli ospiti e scusa suo marito in ritardo: "Giulio oggi è tornato tardi dai campi, poiché ha passeggiato troppo a lungo. Perciò non è ancora uscito dal bagno. Ma a breve sarà pronto". Dopo Giulio, pulito e con la veste nuova, entra e saluta gli amici: "Salve amici! Sono felice che ci siate già tutti. Per quale motivo ti vedo così raramente, mio Cornelio?". Cornelio: "Talvolta ho voluto farti visita, ma non ho potuto lasciare prima la città a causa dei miei molti e grandi impegni. Ora finalmente, dopo esser tornato ieri nella villa di Tuscolo, posso risposarmi un po' e visitare gli amici. Dopo tanti impegni approfitto più che mai del tempo libero". Giulio: "Anche tu vieni da Roma, Oronte?". Oronte: "Di recente ho fatto un lungo viaggio in Grecia. Alle idi di Maggio sono finalmente tornato dal viaggio a Roma, da dove vengo". Giulio: "Perciò mi racconterete qualcosa dei recentissimi avvenimenti urbani". Cornelio: "E tu ci parlerai delle faccende rustiche, da contadino operoso e diligente". Giulio aggrotta la fronte e dice: "Non sono un contadino, ma sono a capo di molti contadini e bado con attenzione che i coloni coltivino bene i miei campi". Oronte, a cui non piace la vita rustica, dice: "Fai bene, dal momento che non coltivi tu stesso i campi. Se è necessario lavorare nei campi, la vita rustica non è piacevole, ma opprimente. Io non uso mai un attrezzo rustico". Giulio: "Parleremo delle faccende rustiche e urbane durante la cena. Prima di tutto mangeremo. Sono ormai sei ore che non ho toccato cibo. Il mio stomaco si contrae per la fame". Cornelio: "Sei ore non è niente. Un uomo può stare senza cibo per sei giorni ma non muore di fame". Giulio: "Dubito che io potrei mai sopportare la fame tanto a lungo. È già fastidioso essere rimasti digiuni per sei ore. La fame è un grande male". Cornelio: "Non lo nego, ma è molto più fastidiosa la sete. Senza vino possiamo vivere a lungo, senza acqua solo per poco". Oronte ridendo dice: "Certamente posso vivere piacevolmente senza acqua, ma non allo stesso modo senza vino! Il vino è un gran bene". Cornelio: "Nessuno nega che il vino sia più buono dell'acqua, ma preferisco bere acqua che soffrire la sete. Forse tu preferisci sopportare la sete che bere acqua?". Oronte: "È senza dubbio meglio bere acqua che morire di sete. Bisogna scegliere il minore dei mali. Ma non vivo gioiosamente se non godo ogni giorno di un buon vino. il vino è vita". Cornelio: "Non viviamo per bere, ma beviamo per vivere". A questo punto Emilia dice: "Bisogna sopportare un po' la fame e la sete mentre il cibo cuoce e il triclinio viene preparato". (il servo il cui compito è cuocere il cibo e preparare la cena in cucina è chiamato cuoco. Gli altri servi, che sono chiamati domestici, portano il cibo preparato dalla cucina al triclinio. Nel triclinio ci sono tre letti, il letto sommo, il medio, l'infimo e la mensa al centro. Prima del banchetto il triclinio veniva ornato di fiori e veniva distesa una coperta di grande pregio sui letti. Infatti i Romani non cenavano sedendo, ma sdraiandosi sui letti. Quanti commensali si stendono su ogni letto? Su ogni letto sono soliti sdraiarsi uno, due o tre commensali. Quando dunque ci sono pochissimi commensali, sono sono più pochi di tre, quando ce ne sono parecchi, non più di nove - infatti tre volte tre sono nove). Giulio: "È l'ora decima. La cena doveva essere già pronta da un po'! Questo cuoco è troppo lento!". Emilia: "Questo è un compito tuo o mio? Chi di noi sovraintende alla cucina? Non è ancora l'ora decima. Aspetta pazientemente mentre i servi preparano i letti. Ceneremo non appena il cuoco avrà preparato la cena e i servi avranno adornato il triclinio. A breve la cena sarà pronta e il triclinio adornato". Finalmente un servo annuncia 'che la cena è pronta'. "Andiamo nel triclinio" dice Giulio e i convitati lieti entrano nel triclinio ornato di fiori e ricoperto di una coperta bellissima. Rose, gigli e altri fiori sono stati sparsi sulla menda tra vasi e coppe d'argento; niente infatti se non l'argento si confà alla mensa di un uomo nobile. (L'argento ha senza dubbio un valore minore dell'oro, ma nessuno cena con vasi d'oro se non gli uomini ricchissimi e gloriosi, come i re d'Oriente). Giulio, padrone di casa, si sdraia con Emilia sul letto medio; sugli altri due letti si sdraiano a due a due i commensali: Cornelio e Fabia sul letto sommo, alla sinistra di Giulio; Oronte e Paola alla destra di Emilia, sul letto infimo. Allora finalmente inizia la cena. Innanzitutto vengono servite ai convitati le uova; poi pesci con ortaggi; segue il piatto forte della cena: maiale che Giulio in persona ha scelto dal gregge; poi la seconda portata: noci, uva, vari tipi di mele. Il cibo è ottimo e piace ai commensali, ma viene soprattutto apprezzata la carne di maiale che il domestico taglia con un coltello appuntito mentre i commensali osservano: "Questa carne mi piace molto dice Fabia non appena ha assaggiato la carne, "Questo cuoco conosce il suo lavoro". "Io non lodo un cuoco" dice Oronte e cosparge la carne di sale, "che non usa il sale! Questa carne è ottima, ma manca di sale". Oronte è solito cospargere il cibo di sale per accrescere la sete! (Il sale è quella sostanza bianca che si trova in mare e sotto terra). I domestici già versano il vino e l'acqua calda nelle coppe. I Romani mischiano il vino con l'acqua e non sono soliti bere vino puro. Solo Oronte, a cui non piace il vino miscelato, lo beve puro, ma lui è Greco e liberto. (Il liberto è chi è stato servo ed è stato liberato; i liberti si sdraiano sul letto infimo). Giulio alzando la coppa dice: "Orsù beviamo! Questo vino è stato fatto dalle ottime uve delle mie vigne. Non mi sembra che il mio vino sia peggio di quel vino Falerno che viene considerato il vino più buono d'Italia" (Il Falerno è un vino proveniente dal territorio di Falerno, zona della Campania). Subito Cornelio dice: "il tuo vino è senza dubbio ottimo, anche meglio del Falerno" e lo stesso dice Fabia "È proprio così", infatti essa riguardo tutte le cose pensa lo stesso del marito. Ma Paola assaggiando il vino dice: "Questo vino è troppo aspro: mi si contrae la bocca. Io amo il vino dolce; mischio sempre il miele col vino". Subito il domestico porta il miele che Paola versa nella sua tazza. Il miele è ciò che le api ricavano dai fiori; niente è più dolce del miele. Giulio: "La stessa cosa non piace a tutti. Ma, Oronte, che ne pensi tu? Che vino ti sembra essere migliore, il Falerno o l'Albano?". Disse Oronte: "Non dirò certamente il mio parere prima di averli assaggiati entrambi". Giulio gli disse: "Giustamente mi ricordi che su una buona tavola un solo tipo di vino è poco. Senza dubbio assaggerai entrambi. Vai, ragazzo, porta il Falerno più buono che ho! Allora finalmente potremo confrontare questo vino con quello, quando li avremo assaggiati entrambi. Perciò vuotate le tazze, amici! Quanto prima berrete il mio vino, berrete il Falerno!". La tazza di Oronte viene riempita per prima con il Falerno, infatti egli l'ha svuotata già da un po'. Poi i servi versano il Falerno nelle altre tazze. Tutti, dopo aver assaggiato il vino, percepiscono la stessa cosa: il vino Falerno è molto meglio del vino Albano! Cornelio e Oronte si guardano tra loro. Nessuno dei due osa dire apertamente il proprio parere. Allora Oronte inizia così: "Non so davvero quale dei due sia migliore. Il Falerno è certamente più dolce, tuttavia non penso che il tuo vino sia troppo aspro". Ma Cornelio dice con prudenza: "Sono entrambi egualmente buoni. Nessuno dei due mi sembra migliore".
Aggiunto 2 minuti più tardi:
Capitolo 31
Il discorrere dei convitati non riguarda solo il cibo e le bevande. Giulio interroga i suoi ospiti sui fatti della città: " Che c'è di nuovo in città? Manco da Roma già da otto giorni, e in questo periodo nessuno mi ha scritto una lettera da lì. Per tale motivo, nè presente nè assente, tramite lettera, non ho saputo nulla di quello che è accaduto di recente a Roma ". Emilia"Nessuno ti scriverà nulla sugli eventi cittadini, se non sarai tu a scrivere una lettera prima". Oronte "Non c'è alcun bisogno di aspettare lettere: infatti facilmente puoi avere nuove grazie a messaggeri. Perchè non mandi un servo a Roma?" Giulio "I servi sono cattivi messaggeri. Spesso riferiscono false voci. Mai spedisco a Roma miei schiavi" Cornelio "Come? Ieri vidi un tuo servo sulla via Latina. Ho riconosciuto il viso. Spesso l'ho visto qui" Giulio chiede a Cornelio quale sia il suo nome. Cornelio risponde "Un nome greco, credo. Mida, forse, ma non ne sono sicuro. Dimentico sempre i nomi; infatti ho una cattiva memoria" Oronte "Mida è il nome del re di cui parla questa favola: in una città asiatica una volta viveva un re avido, di nome Mida, che nulla desiderava più delle ricchezze". Giulio, che non vuole sentire la favola, interrompe Oronte dicendo "Non Mida, ma Medo è il nome di un certo mio servo, che ieri ... " Oronte, imperterrito, continua a raccontare "Allora il dio Bacco, che per un beneficio voleva bene al re fa "Ti darò qualsiasi cosa vorrai". Subito Mida "Allora dammi il potere di mutare in oro tutto quello che toccherò. Desidero solo questo per me" Bacco, pur ritenendo che l'avido re avesse desiderato un pessimo dono, tuttavia mantenne la promessa. Giulio impaziente "Taci, Oronte-dice- tutti conosciamo quella favola". Ma Emilia, che non conosce la favola, domanda ad Oronte per quale ragione il dono sia tanto cattivo. Oronte le risponde "La tua domanda è stupida. Infatti Mida, sebbene potesse mutare in oro, con il semplice tocco della mano, la terra, il legno, il ferro, moriva di fame e sete, dato che cibo e bevanda diventavano oro appena li avesse toccati il re. Alla fine il misero re pregò il dio di stornare da lui quel dono disgraziato.
Dunque Bacco lo esortò a lavarsi in un fiume; la cui acqua, appena fu sfiorata dal corpo del re, assunse un colore aureo." Giulio: "Questa è la fine della storia?". Oronte: "È una fine di questa favola, ma ho saputo un'altra storia sullo stesso re. Il dio Apollo aveva fatto sì che Mida avesse orecchie d'asino...". Giulio: "Ne ho abbastanza! Non vogliamo ascoltare le tue storie Greche. Torniamo al mio servo Medo, che ieri è scappato portando con sé un po' di denaro". Cornelio: "Quanto denaro ha rubato?". Giulio: "Circa cento sesterzi. E io che mi fidavo di quel servo più degli altri! D'ora in poi non mi fiderò di nessun servo Greco, infatti non sono degni della mia fiducia: sono tutti infidi e buoni a nulla! Nella mia famiglia credo ci sia solo un servo fedele". A questo punto Emilia interrompe il marito e dice: "Shh, Giulio! Non lodare il servo presente!". Giulio guardando Davo dice: "Ma quel servo è presente, non voglio lodarlo presente. Il Medo invece è assolutamente il più infido di tutti. Lo bastonerò senza dubbio e lo torturerò in tutti i modi, se lo troverò prima che avrà lasciato l'Italia. Se non mi restituirà il denaro, verrà crocifisso!". Cornelio: "Anche se si nasconde ancora a Roma sarà difficile trovare un servo fuggitivo in una città così grande. A Roma infatti ci sono tanti servi quanti uomini liberi". Emilia: "Forse se n'è andato da Roma per amore di una donna. Medo è giovane: cosa non fanno i giovani per amore? Credo si nasconda presso una donna Romana". Oronte: "Dunque non lo si troverà mai, infatti è vero ciò che scrisse Ovidio nell'opera che si intitola "Ars amandi": Quante stelle ha il cielo, tante ragazze ha la tua Roma". Giulio: "Darò subito una grande ricompensa a chi mi riporterà indietro il mio servo fuggitivo". Cornelio: "Quanto denaro darai? Bisogna stabilire una ricompensa". Giulio: "Tanto quanto quello ha rubato". Oronte: "Solo cento sesterzi? Non prometti certo una gran ricompensa!". Ma Emilia esorta suo marito ad essere clemente: "Non torturare Medo so lo trovi. Sii clemente, o mio Giulio! Cento sesterzi non è una gran somma di denaro, come dice Oronte, né qualsiasi altra cosa abbia rubato Medo". Giulio: "Pensi abbia meritato un premio perché ha tenuto lontana la mano dalle tue gemme? Le donne sono troppo clementi: come perdonano facilmente uomini malvagi! Ma la nostra memoria è migliore!". Emilia: "Non conosci questo detto: 'Il padrone severo ha tanti nemici quanti servi'? I servi infatti amano il padrone clemente, odiano quello severo". Giulio: "Senza dubbio i servi mi temono, ma non mi odiano. Infatti non ho mai punito un servo senza motivo. Sono un padrone giusto. Il servo odia un padrone ingiusto, teme quello giusto e severo senza odiarlo. Neanche a un servo conviene arrecare ingiuria, ma è necesario punire severamente gli schiavi malfidi e fuggitivi: infatti nulla, se non un castigo severo, può distogliere servi di tal fatta dal far del male e mantenerli nel dovere. Nessuno mi accuserà se torturerò o ucciderò il mio servo, questo è un diritto del padrone romano. Non è permesso uccidere uno schiavo altrui, come è scritto nelle leggi, ma nessuna legge vieta ad un padrone di uccidere il proprio schiavo mascalzone." Cornelia "E nessuna legge lo permette. Una cosa è permettere, un'altra non proibire. Solone, uomo saggio e giusto, che fu legislatore degli Ateniesi, non stabilì nessuna legge contro i parricidi. Quindi pensi che ad un Ateniese fosse permesso uccidere il proprio padre?" Giulio "Certo, non lo credo. Ma per quale motivo Solone non stabilì pena alcuna contro i parricidi? Perchè nessun Ateniese, a memoria d'uomo, aveva ucciso suo padre e quell'uomo saggissimo riteneva che nessuno, in seguito, si sarebbe macchiato di un crimine tanto disumano. Ma in verità altro è uccidere il proprio padre, altro punire con la morte un servo malvagio; infatti il primo è un delitto scelleratissimo, il secondo un giusto supplizio. Un tempo il padre di famiglia aveva il diritto di uccidere non solo gli schiavi, ma anche i suoi figli. Come esempio di questo viene ricordato T. Manlio Torquato, che fece giustiziare suo figlio in presenza dell'esercito, avendo egli attaccati egli battaglia con il nemico contro il consiglio paterno. Senz'altro Manlio fu un padre crudele, ma da quel supplizio severissimo gli altri soldati furono distolti dal venir meno al dovere." Emilia "é risaputo che gli antichi romani furono crudeli verso i loro figli, ma nessuno oggi prende esempio da quel padre crudelissimo" Oronte "Ma anche ora un padre può abbandonare fra i monti un suo neonato deforme." Emilia "Un padre che espone suo figlio, merita egli stesso d'essere ucciso a sua volta! Non ti sembra che un tale padre meriti d'essere crocifisso?"Certamente un padre tanto inumano va punito severamente: infatti esporre neonati deformi è un costume antico e crudele. Altri sono adesso i costumi. Non è costume dei romani crocifiggere un uomo di condizione libera; tale supplizio è stato deciso contro i servi" Emilia "Quindi, chi fa esporre alle fiere un suo neonato malfatto, dev'essere mandato ad incontrare le belve insieme con gli altri scellerati" Oronte "E insieme con questi i cristiani, che adorano un giudeo come nuovo dio, scherniscono le antiche divinità romane e nei loro banchetti sogliono bere sangue umano, a quanto si dice". Emilia "Non tutte le dicerie sui cristiani sono vere" Fabia "Nè tutti i neonati esposti muoiono. Alcuni sono nutriti nelle selve dalle stesse belve, altri sono trovati dai pastori, che li educano assieme ai loro figli" Oronte "Come Paride, figlio infermo del re Priamo, esposto da un servo fedele del re su un monte presso la città di Troia ..." Ma Cornelio "Non c'è bisogno-ribatte-di riportare un vecchio esempio greco, dato che molti miti narrano di fanciulli romani, che furono salvati in tale modo"Del resto, hai interpretato male il mito: infatti Paride non era malato, nè fu fedele il servo di Priamo; infatti il re gli aveva comandato di uccidere Paride e un servo deve eseguire qualsiasi ordine del padrone" Oronte "Quel servo non era da punire, ma piuttosto da lodare. Infatti così salvò Paride, quello che portò via al marito Menelao Elena, la donna più bella fra tutte" Paola " Tu credi una simile offesa degna di lode?" Oronte "Quello a cui Venere induce mai è un'ingiuria. Cretamente va lodato quel giovane, il quale non solo osò rapire quella donna bellissima, ma fu anche un soldato valorosissimo, che uccise molti altri nemici e lo stesso Achille". A questo punto Oronte alza la coppa esclamando "Viva tutti i più forti! Viva tutte le donne da amare! Gioiamo ed amiamo! Siamo giovani come Paride, non vecchi come Priamo, re dei Troiani, o Nestore, vecchio comandante dei Greci, che visse fino a novanta anni. Chiunque ami le donne, alzi la coppa e beva con me! Ora bisogna bere vino puro!". Cornelio: "Ora bisogna tacere, non bere! Hai già bevuto troppo. Penso che tu abbia bevuto tanto vino quanto tutti noi, o anche di più!". Oronte: "Dunque voi bevete poco. Non posso mai bere troppo di questo vino. Stia bene chiunque ami il buon vino! Viva Bacco, dio del vino! Viviamo tutti e beviamo! Vuotiamo del tutto le coppe!". Paola: "Sta zitto adesso! È abbastanza. Non ti vergogni di aver cianciato così dall'inizio alla fine? Devi davvero vergognarti!". Ma Oronte, non appena vuotò completamente la sua coppa, giratosi verso Emilia disse: "Tutti m-mi interpellano tranne t-te Emilia. Tu s-sei bella come Elena...". Emilia: "..e tu sei rozzo come Paride, che era stato educato tra i rozzi pastori! Non hai mai imparato le buone maniere, villano! Hai bevuto troppo, sei ubriaco. Non mi toccare!". Oronte alzando nuovamente la coppa canta questo: "Chiunque ami stia bene! Muoia chi non sa amare! Muoia due volte chi vieta di amare!". Emilia: "Non vogliamo sentire queste sciocchezze. Sei ubriaco!" Oronte dice 'di non essere ubriaco' e salendo sul letto inizia a cantare un'altra canzone su una donna falsa a infida, ma prima di finirla, cade vicino alla mensa! Due servi lo portarono via dal triclinio e lo mettono in stanza. Allora stendono una coperta sopra di lui che già dorme.
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Molte navi e molti marinai ogni anno periscono in mare. In fondo al mare giacciono molte navi affondate. E tuttavia i marinai non vengono distolti dal navigare da alcun pericolo. “Navigare è necessario“ affermano, e i mercanti, i quali proprio non osano affrontare i pericoli del mare aggiungono “ Vivere non è necessario!” I mercanti attribuiscono molto valore alle proprie merci, considerano la vita dei marinai di poco valore! Ma in realtà non tutti i mercanti tornano a casa, quando trasportano le loro merci con le navi. Alcuni viaggiano per mare in terre straniere perché non vogliono affidare merci preziose ai marinai, come quel famoso mercante romano che viaggia sulla stessa nave di Medo e Lidia. Egli partì contento da Ostia con merci preziose che aveva acquistato in Italia con tutto il suo denaro, con l’intenzione di venderle in Grecia ad un prezzo più alto. Così sperava di realizzare un grande guadagno. Ma subito tutto quella speranza svanì, infatti le merci, nelle quali aveva riposto ogni speranza, furono sommerse dai flutti. All’improvviso il mercante da ricchissimo divenne poverissimo. Non fa meraviglia che egli fosse triste. Il mercante, avvicinandosi al timoniere, tra molte lacrime, si lamenta: “ Oh, povero me! Tutte le cose che possedevo sono in fondo al mare, Che farò? Cosa spererò? In che modo manterrò la moglie e i figli? Non mi è rimasta neppure una moneta di rame: ho perduto tutto, Ohimè!” “Smetti di lamentarti! “ dice il pilota, “Infatti non hai perduto tutto dato che tua moglie e i tuoi figli sono salvi. Forse che non valuti i figli più di queste merci? E’ brutto perdere le ricchezze, ma molto più brutto perdere i figli.” Con tali parole l’uomo di mare tenta di confortare il triste mercante, ma invano, infatti quello subito “ Non stare a consolarmi tu “ dice” che proprio tu hai ordinato che le mie merci fossero gettate (in mare)!”Il pilota : “Con il lancio in mare delle merci la nave è stata salvata.” Il mercante: “Dici bene: le mie merci sono state gettate a mare perché la tua nave fosse salva!” Il pilota: “ Abbiamo gettato a mare le merci per essere tutti salvi. Con la perdita delle merci non solo la nave, ma anche la vita di noi tutti è stata salvata. Certo, le merci perirono, ma nessuno di noi perì. Dunque, stai di buon animo! Sii felice insieme a noi che tu non hai perso la vita insieme con le merci! Noi uomini siamo felici. ” Il mercante: “Certo voi siete felici, infatti nessuno di voi ha perduto un asse. Non fa meraviglia che siate felici. Ma non consigliatemi di essere felice, dopo che mi avete tolto tutto! La vostra gioia non mi influenza. “ Il pilota: “ E la tua tristezza non influenza nessuno di noi. Sono sempre contento quando penso ai miei figli, che sono presi dalla più grande gioia, quando vedono che il loro padre torna salvo da un viaggio per mare pericoloso”. Il mercante: “ Anche io amo i miei figli e non voglio infliggere loro un dolore. Ma in quale modo vivremo senza soldi? In quale modo comprerò cibo e vestiario per i miei piccoli? O dei immortali! Ridatemi le merci!”. Il pilota: “ A che serve implorare gli dei che ti vengano restituite le cose perdute? Invano implori questo.” Il mercante: “ Dunque che farò. Io stesso salterò dalla nave o rimarrò sulla stessa nave con voi?” L’uomo era così sconvolto che si chiedeva se saltare in mare o restare sulla nave. “ Salta subito!” dice il pilota, “ Nessuno di noi te lo impedisce. Ma certo non sarai tanto fortunato quanto Arione che fu salvato dal delfino.” Il mercante, che non sapeva di Arione, “ Chi mai è rione?” dice, “ Non conosco neppure il nome.” Il pilota: “ Sei proprio ignorante se non lo conosci. Arione, uomo nobile nato a Lesbo, suonava con la lira così bene da essere denominato un altro Orfeo. Forse che sei tanto ignorante che anche Orfeo ti è ignoto?” Il mercante “In verità un po’ (lo conosco). Orfeo invero è noto a tutti. Egli fu un famoso suonatore di lira che suonava tanto bene che le bestie feroci, dimentiche del loro istinto naturale, si avvicinavano per sentirlo cantare e i fiumi impetuosi rallentavano per non turbare con il rumore la sua musica. Orfeo poi discese agli inferi per riportare da lì sua moglie. Ma affrettati a raccontarmi di Arione.” Il pilota, quando vede tutti attenti, racconta questa leggenda: “ Mentre Arione, famosissimo suonatore di lira della sua epoca, navigava dall’Italia verso la Grecia e portava con sé grandi ricchezze, i marinai, persone indigenti, che invidiavano l’uomo ricco, decisero di ucciderlo. Ma quello, conosciuta la loro decisione, diede ai marinai il denaro e le altre sue cose, chiedendo solo questo, che lo risparmiassero. “Ecco” dice” tutte le cose che possiedo sono ormai vostre. Tenetevi le mie ricchezze, risparmiatemi la vita! Consentitemi di tornare in patria! Questo solo imploro!” I marinai furono tanto commessi dalle sue preghiere che rinunciarono alla violenza su di lui ma tuttavia gli ordinarono di gettarsi subito in mare! Allora l’uomo, atterrito, poiché ormai disperava di salvarsi la vita, chiede una sola cosa, che gli fosse consentito di indossare una veste elegante e prendere la lira e prima della morte cantare una canzone. I marinai, desiderosi di sentire il suo canto, glielo accordarono.
Allora quello, ben vestito e adornato, stando sull'alta poppa, cantò una canzone con voce a gran voce (accompagnandosi) con la lira. Come Orfeo con il suo canto attirava a sé le bestie feroci, così allora Arione, cantando, attirò i pesci verso la nave. Alla fine poi, con la lira e gli ornamenti, così come si trovava e cantava, si gettò in mare. “ Ma allora accadde una cosa straordinaria e meravigliosa: un delfino, attirato dal canto, subito andò sotto l’uomo che nuotava e lo trasportò seduto sul suo dorso e lo sbarcò salvo spiaggia della Grecia. Da lì Arione si diresse immediatamente a Corinto, dove si rivolse al re Periandro, suo amico, e raccontò il fatto così come era accaduto. Il re non credette queste cose e comandò che Arione venisse messo in carcere come uno che racconta cose false. Ma dopo che i marinai arrivarono a Corinto, il re chiese loro “ se sapessero dove fosse Arione e cosa facesse? Risposero che “ l’uomo, quando se ne erano andati da lì, si trovava nella terra d’Italia e viveva lì felicemente, allietava le orecchie e gli animi degli uomini con il suo canto e guadagnava molto.” Mentre raccontavano queste falsità, all’improvviso apparve Arione, con la lira e gli ornamenti con i quali si era gettato in mare. I marinai, stupefatti dato che vedevano apparire del tutto vivo colui che ritenevano che fosse stato fatto affogare, subito confessarono il loro delitto.” Lo stesso Medo “ Sebbene sia noto” disse” che alcuni uomini sono stati trasportati dai delfini, tuttavia dubito che questa storia sia realmente vera.” Il pilota: “ Sia vera o sia inventata, mi rallegra molto la storia della fortunata salvezza di Arione, infatti come egli fu salvato in modo straordinario, quando ormai disperava di salvarsi, così gli uomini talvolta vengono strappati imprevedibilmente da pericoli grandissimi Da questa storia siamo esortati a stare sempre di buon animo e a non disperare mai di salvarci. Fin che c’è vita, s’è speranza.” Alla fine queste parola sembrarono confortare in qualche modo il mercante sconvolto. Ma allora Lidia, rivolta a Medo “ Poco fa ti ho chiesto “ dice “ se fosse tuo il denaro con il quale hai comprato questo anello. Perché non mi hai ancora risposto?” Interrogato così all’improvviso Medo confessa ‘di avere sottratto il denaro dal borsellino del padrone’. “ O Medo” esclama Lidia, “ Sei un ladro! Ora mi vergogno di avere amato te, perfido ladro!” Ma Medo “ non chiamarmi ladro,” dice” mia Lidia! Infatti il padrone mi doveva qualcosa del peculio. Prendere il peculio che ti è dovuto non è furto.” Ma Lidia continua ad accusarlo di furto: “Hai commesso un furto, Medo, Inutilmente cerchi di scusarti.” Medo: “ Se ho commesso un furto, l’ho fatto per causa tua. Infatti ho sottratto i soldi per comprare un regalo prezioso per te. Non ti sembra questo un beneficio, piuttosto che un misfatto?” Lidia: “ E’ facile comprare doni preziosi con il denaro altrui. Questo dono non mi piace. Ora non voglio portare su di me questo anello : lo getterò in mare!” Così dicendo Lidia si toglie l’anello dal dito, ma il pilota subito le prende il braccio. Allo stesso tempo Medo toglie dalla mano di Lidia l’anello tolto. Lidia, adirata, esclama: “ Togli la mano, marinaio!” ma quello “ Non comportarti stupidamente!" dice, “ Nessuno ti restituirà l’anello così gettato via – a meno che, per caso, tu non sia così fortunata quanto Policrate, tiranno di Samo, il cui anello, che egli stesso aveva gettato in mare, fu trovato in modo straordinario non in fondo al mare, ma nel ventre di un pesce!” Lidia: “ perché quel famoso tiranno gettò via il suo anello?” Il pilota: “Gettò via l’anello perché riteneva di essere troppo felice. Non gli era mai accaduto niente di male e aveva tanto potere, tanta gloria e tante ricchezze, che non solo gli altri tiranni, ma anche gli dei immortali lo invidiavano. Allora un suo amico, re dell’Egitto, vedendo la sua enorme felicità e gloria, convinse il tiranno a fare rinunzia di quella cosa che gli piaceva più di tutte: così sperava di poter allontanare l’invidia degli dei. Allora Policrate, si imbarcò su una nave e gettò in mare l’anello più prezioso che aveva. “ Dopo pochi giorni un certo pescatore prese nello stesso tratto di mare un pesce che era talmente bello che il pescatore non lo vendette, ma lo regalò al tiranno. In realtà prima che il pesce fosse portato alla tavola del tiranno, un servo che tagliava il pesce portò a lui l’anello ‘ che era stato trovato nel ventre del pesce’, disse. Policrate, avendo riconosciuto il suo anello, fu preso da grandissima gioia. Medo: “ Mai nessuno fu più felice di quel tiranno!” Il pilota: “ Non chiamare mai felice qualcuno prima che muoia. Questo ci insegna la sorte di quel tiranno. Policrate, infatti, poco dopo fu ucciso in maniera terribile da un certo uomo menzognero che, con false promesse, lo aveva attirato da Samo in Asia. Così talvolta una vita felice è conclusa dalla morte più miseranda. In verità la fortuna dell’uomo incostante, ma l’uomo saggio sopporta di buon grado la buona e la cattiva sorte e non invidia la fortuna altrui.” Mentre il pilota parla, un’altra nave appare lontano in mare. Medo lo raggiunge e “Smetti di parlare!” dice “Pensa ai tuoi affari! Perché non guardi lontano? Non vedi quella nave veloce che si avvicina a noi da settentrione?” “Per gli dei immortali!” dice il pilota appena vide la nave che si avvicinava, “Quella nave ci insegue veloce. Sicuramente è una nave dei pirati. Spiegate tutte le vele, marinai!” Ma la nave con le sole vele non naviga tanto velocemente quanto prima della bufera, infatti le vele furono lacerate dal vento impetuoso. Così il pilota ordina che la nave venga spinta a remi. Subito la nave viene mossa con ogni mezzo il più rapidamente possibile, ma tuttavia l’altra nave, i remi della quale vengono mossi su e giù come ali, si avvicina sempre più. Il pilota, terrorizzato, esclama : “ Bontà divina! Che faremo? tra poco i pirati saranno qui.” Allora il mercante, quando vede il pilota bianco in volto “Stai di buon animo!” dice “ Non disperarti! Finché c’è vita c’è speranza.”
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Capitolo 30
Tornato dai campi Giulio va subito nella stanza da bagno, e prima si lava con l'acqua calda, poi fredda. Mentre egli dopo il bagno indossa la veste nuova, Cornelio e Oronte, amici e suoi ospiti, giungono con le loro mogli Fabia e Paola. (Gli ospiti sono amici dei quali l'uno riceve sempre l'altro con piacere, anche se inaspettato). Ma oggi gli ospiti di Giulio giungono attesi, infatti Giulio li ha invitati a cena. (La cena è il cibo che i Romani prendono all'ora sesta o nona circa). Emilia entrando nell'atrio saluta gli ospiti e scusa suo marito in ritardo: "Giulio oggi è tornato tardi dai campi, poiché ha passeggiato troppo a lungo. Perciò non è ancora uscito dal bagno. Ma a breve sarà pronto". Dopo Giulio, pulito e con la veste nuova, entra e saluta gli amici: "Salve amici! Sono felice che ci siate già tutti. Per quale motivo ti vedo così raramente, mio Cornelio?". Cornelio: "Talvolta ho voluto farti visita, ma non ho potuto lasciare prima la città a causa dei miei molti e grandi impegni. Ora finalmente, dopo esser tornato ieri nella villa di Tuscolo, posso risposarmi un po' e visitare gli amici. Dopo tanti impegni approfitto più che mai del tempo libero". Giulio: "Anche tu vieni da Roma, Oronte?". Oronte: "Di recente ho fatto un lungo viaggio in Grecia. Alle idi di Maggio sono finalmente tornato dal viaggio a Roma, da dove vengo". Giulio: "Perciò mi racconterete qualcosa dei recentissimi avvenimenti urbani". Cornelio: "E tu ci parlerai delle faccende rustiche, da contadino operoso e diligente". Giulio aggrotta la fronte e dice: "Non sono un contadino, ma sono a capo di molti contadini e bado con attenzione che i coloni coltivino bene i miei campi". Oronte, a cui non piace la vita rustica, dice: "Fai bene, dal momento che non coltivi tu stesso i campi. Se è necessario lavorare nei campi, la vita rustica non è piacevole, ma opprimente. Io non uso mai un attrezzo rustico". Giulio: "Parleremo delle faccende rustiche e urbane durante la cena. Prima di tutto mangeremo. Sono ormai sei ore che non ho toccato cibo. Il mio stomaco si contrae per la fame". Cornelio: "Sei ore non è niente. Un uomo può stare senza cibo per sei giorni ma non muore di fame". Giulio: "Dubito che io potrei mai sopportare la fame tanto a lungo. È già fastidioso essere rimasti digiuni per sei ore. La fame è un grande male". Cornelio: "Non lo nego, ma è molto più fastidiosa la sete. Senza vino possiamo vivere a lungo, senza acqua solo per poco". Oronte ridendo dice: "Certamente posso vivere piacevolmente senza acqua, ma non allo stesso modo senza vino! Il vino è un gran bene". Cornelio: "Nessuno nega che il vino sia più buono dell'acqua, ma preferisco bere acqua che soffrire la sete. Forse tu preferisci sopportare la sete che bere acqua?". Oronte: "È senza dubbio meglio bere acqua che morire di sete. Bisogna scegliere il minore dei mali. Ma non vivo gioiosamente se non godo ogni giorno di un buon vino. il vino è vita". Cornelio: "Non viviamo per bere, ma beviamo per vivere". A questo punto Emilia dice: "Bisogna sopportare un po' la fame e la sete mentre il cibo cuoce e il triclinio viene preparato". (il servo il cui compito è cuocere il cibo e preparare la cena in cucina è chiamato cuoco. Gli altri servi, che sono chiamati domestici, portano il cibo preparato dalla cucina al triclinio. Nel triclinio ci sono tre letti, il letto sommo, il medio, l'infimo e la mensa al centro. Prima del banchetto il triclinio veniva ornato di fiori e veniva distesa una coperta di grande pregio sui letti. Infatti i Romani non cenavano sedendo, ma sdraiandosi sui letti. Quanti commensali si stendono su ogni letto? Su ogni letto sono soliti sdraiarsi uno, due o tre commensali. Quando dunque ci sono pochissimi commensali, sono sono più pochi di tre, quando ce ne sono parecchi, non più di nove - infatti tre volte tre sono nove). Giulio: "È l'ora decima. La cena doveva essere già pronta da un po'! Questo cuoco è troppo lento!". Emilia: "Questo è un compito tuo o mio? Chi di noi sovraintende alla cucina? Non è ancora l'ora decima. Aspetta pazientemente mentre i servi preparano i letti. Ceneremo non appena il cuoco avrà preparato la cena e i servi avranno adornato il triclinio. A breve la cena sarà pronta e il triclinio adornato". Finalmente un servo annuncia 'che la cena è pronta'. "Andiamo nel triclinio" dice Giulio e i convitati lieti entrano nel triclinio ornato di fiori e ricoperto di una coperta bellissima. Rose, gigli e altri fiori sono stati sparsi sulla menda tra vasi e coppe d'argento; niente infatti se non l'argento si confà alla mensa di un uomo nobile. (L'argento ha senza dubbio un valore minore dell'oro, ma nessuno cena con vasi d'oro se non gli uomini ricchissimi e gloriosi, come i re d'Oriente). Giulio, padrone di casa, si sdraia con Emilia sul letto medio; sugli altri due letti si sdraiano a due a due i commensali: Cornelio e Fabia sul letto sommo, alla sinistra di Giulio; Oronte e Paola alla destra di Emilia, sul letto infimo. Allora finalmente inizia la cena. Innanzitutto vengono servite ai convitati le uova; poi pesci con ortaggi; segue il piatto forte della cena: maiale che Giulio in persona ha scelto dal gregge; poi la seconda portata: noci, uva, vari tipi di mele. Il cibo è ottimo e piace ai commensali, ma viene soprattutto apprezzata la carne di maiale che il domestico taglia con un coltello appuntito mentre i commensali osservano: "Questa carne mi piace molto dice Fabia non appena ha assaggiato la carne, "Questo cuoco conosce il suo lavoro". "Io non lodo un cuoco" dice Oronte e cosparge la carne di sale, "che non usa il sale! Questa carne è ottima, ma manca di sale". Oronte è solito cospargere il cibo di sale per accrescere la sete! (Il sale è quella sostanza bianca che si trova in mare e sotto terra). I domestici già versano il vino e l'acqua calda nelle coppe. I Romani mischiano il vino con l'acqua e non sono soliti bere vino puro. Solo Oronte, a cui non piace il vino miscelato, lo beve puro, ma lui è Greco e liberto. (Il liberto è chi è stato servo ed è stato liberato; i liberti si sdraiano sul letto infimo). Giulio alzando la coppa dice: "Orsù beviamo! Questo vino è stato fatto dalle ottime uve delle mie vigne. Non mi sembra che il mio vino sia peggio di quel vino Falerno che viene considerato il vino più buono d'Italia" (Il Falerno è un vino proveniente dal territorio di Falerno, zona della Campania). Subito Cornelio dice: "il tuo vino è senza dubbio ottimo, anche meglio del Falerno" e lo stesso dice Fabia "È proprio così", infatti essa riguardo tutte le cose pensa lo stesso del marito. Ma Paola assaggiando il vino dice: "Questo vino è troppo aspro: mi si contrae la bocca. Io amo il vino dolce; mischio sempre il miele col vino". Subito il domestico porta il miele che Paola versa nella sua tazza. Il miele è ciò che le api ricavano dai fiori; niente è più dolce del miele. Giulio: "La stessa cosa non piace a tutti. Ma, Oronte, che ne pensi tu? Che vino ti sembra essere migliore, il Falerno o l'Albano?". Disse Oronte: "Non dirò certamente il mio parere prima di averli assaggiati entrambi". Giulio gli disse: "Giustamente mi ricordi che su una buona tavola un solo tipo di vino è poco. Senza dubbio assaggerai entrambi. Vai, ragazzo, porta il Falerno più buono che ho! Allora finalmente potremo confrontare questo vino con quello, quando li avremo assaggiati entrambi. Perciò vuotate le tazze, amici! Quanto prima berrete il mio vino, berrete il Falerno!". La tazza di Oronte viene riempita per prima con il Falerno, infatti egli l'ha svuotata già da un po'. Poi i servi versano il Falerno nelle altre tazze. Tutti, dopo aver assaggiato il vino, percepiscono la stessa cosa: il vino Falerno è molto meglio del vino Albano! Cornelio e Oronte si guardano tra loro. Nessuno dei due osa dire apertamente il proprio parere. Allora Oronte inizia così: "Non so davvero quale dei due sia migliore. Il Falerno è certamente più dolce, tuttavia non penso che il tuo vino sia troppo aspro". Ma Cornelio dice con prudenza: "Sono entrambi egualmente buoni. Nessuno dei due mi sembra migliore".
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Capitolo 31
Il discorrere dei convitati non riguarda solo il cibo e le bevande. Giulio interroga i suoi ospiti sui fatti della città: " Che c'è di nuovo in città? Manco da Roma già da otto giorni, e in questo periodo nessuno mi ha scritto una lettera da lì. Per tale motivo, nè presente nè assente, tramite lettera, non ho saputo nulla di quello che è accaduto di recente a Roma ". Emilia"Nessuno ti scriverà nulla sugli eventi cittadini, se non sarai tu a scrivere una lettera prima". Oronte "Non c'è alcun bisogno di aspettare lettere: infatti facilmente puoi avere nuove grazie a messaggeri. Perchè non mandi un servo a Roma?" Giulio "I servi sono cattivi messaggeri. Spesso riferiscono false voci. Mai spedisco a Roma miei schiavi" Cornelio "Come? Ieri vidi un tuo servo sulla via Latina. Ho riconosciuto il viso. Spesso l'ho visto qui" Giulio chiede a Cornelio quale sia il suo nome. Cornelio risponde "Un nome greco, credo. Mida, forse, ma non ne sono sicuro. Dimentico sempre i nomi; infatti ho una cattiva memoria" Oronte "Mida è il nome del re di cui parla questa favola: in una città asiatica una volta viveva un re avido, di nome Mida, che nulla desiderava più delle ricchezze". Giulio, che non vuole sentire la favola, interrompe Oronte dicendo "Non Mida, ma Medo è il nome di un certo mio servo, che ieri ... " Oronte, imperterrito, continua a raccontare "Allora il dio Bacco, che per un beneficio voleva bene al re fa "Ti darò qualsiasi cosa vorrai". Subito Mida "Allora dammi il potere di mutare in oro tutto quello che toccherò. Desidero solo questo per me" Bacco, pur ritenendo che l'avido re avesse desiderato un pessimo dono, tuttavia mantenne la promessa. Giulio impaziente "Taci, Oronte-dice- tutti conosciamo quella favola". Ma Emilia, che non conosce la favola, domanda ad Oronte per quale ragione il dono sia tanto cattivo. Oronte le risponde "La tua domanda è stupida. Infatti Mida, sebbene potesse mutare in oro, con il semplice tocco della mano, la terra, il legno, il ferro, moriva di fame e sete, dato che cibo e bevanda diventavano oro appena li avesse toccati il re. Alla fine il misero re pregò il dio di stornare da lui quel dono disgraziato.
Dunque Bacco lo esortò a lavarsi in un fiume; la cui acqua, appena fu sfiorata dal corpo del re, assunse un colore aureo." Giulio: "Questa è la fine della storia?". Oronte: "È una fine di questa favola, ma ho saputo un'altra storia sullo stesso re. Il dio Apollo aveva fatto sì che Mida avesse orecchie d'asino...". Giulio: "Ne ho abbastanza! Non vogliamo ascoltare le tue storie Greche. Torniamo al mio servo Medo, che ieri è scappato portando con sé un po' di denaro". Cornelio: "Quanto denaro ha rubato?". Giulio: "Circa cento sesterzi. E io che mi fidavo di quel servo più degli altri! D'ora in poi non mi fiderò di nessun servo Greco, infatti non sono degni della mia fiducia: sono tutti infidi e buoni a nulla! Nella mia famiglia credo ci sia solo un servo fedele". A questo punto Emilia interrompe il marito e dice: "Shh, Giulio! Non lodare il servo presente!". Giulio guardando Davo dice: "Ma quel servo è presente, non voglio lodarlo presente. Il Medo invece è assolutamente il più infido di tutti. Lo bastonerò senza dubbio e lo torturerò in tutti i modi, se lo troverò prima che avrà lasciato l'Italia. Se non mi restituirà il denaro, verrà crocifisso!". Cornelio: "Anche se si nasconde ancora a Roma sarà difficile trovare un servo fuggitivo in una città così grande. A Roma infatti ci sono tanti servi quanti uomini liberi". Emilia: "Forse se n'è andato da Roma per amore di una donna. Medo è giovane: cosa non fanno i giovani per amore? Credo si nasconda presso una donna Romana". Oronte: "Dunque non lo si troverà mai, infatti è vero ciò che scrisse Ovidio nell'opera che si intitola "Ars amandi": Quante stelle ha il cielo, tante ragazze ha la tua Roma". Giulio: "Darò subito una grande ricompensa a chi mi riporterà indietro il mio servo fuggitivo". Cornelio: "Quanto denaro darai? Bisogna stabilire una ricompensa". Giulio: "Tanto quanto quello ha rubato". Oronte: "Solo cento sesterzi? Non prometti certo una gran ricompensa!". Ma Emilia esorta suo marito ad essere clemente: "Non torturare Medo so lo trovi. Sii clemente, o mio Giulio! Cento sesterzi non è una gran somma di denaro, come dice Oronte, né qualsiasi altra cosa abbia rubato Medo". Giulio: "Pensi abbia meritato un premio perché ha tenuto lontana la mano dalle tue gemme? Le donne sono troppo clementi: come perdonano facilmente uomini malvagi! Ma la nostra memoria è migliore!". Emilia: "Non conosci questo detto: 'Il padrone severo ha tanti nemici quanti servi'? I servi infatti amano il padrone clemente, odiano quello severo". Giulio: "Senza dubbio i servi mi temono, ma non mi odiano. Infatti non ho mai punito un servo senza motivo. Sono un padrone giusto. Il servo odia un padrone ingiusto, teme quello giusto e severo senza odiarlo. Neanche a un servo conviene arrecare ingiuria, ma è necesario punire severamente gli schiavi malfidi e fuggitivi: infatti nulla, se non un castigo severo, può distogliere servi di tal fatta dal far del male e mantenerli nel dovere. Nessuno mi accuserà se torturerò o ucciderò il mio servo, questo è un diritto del padrone romano. Non è permesso uccidere uno schiavo altrui, come è scritto nelle leggi, ma nessuna legge vieta ad un padrone di uccidere il proprio schiavo mascalzone." Cornelia "E nessuna legge lo permette. Una cosa è permettere, un'altra non proibire. Solone, uomo saggio e giusto, che fu legislatore degli Ateniesi, non stabilì nessuna legge contro i parricidi. Quindi pensi che ad un Ateniese fosse permesso uccidere il proprio padre?" Giulio "Certo, non lo credo. Ma per quale motivo Solone non stabilì pena alcuna contro i parricidi? Perchè nessun Ateniese, a memoria d'uomo, aveva ucciso suo padre e quell'uomo saggissimo riteneva che nessuno, in seguito, si sarebbe macchiato di un crimine tanto disumano. Ma in verità altro è uccidere il proprio padre, altro punire con la morte un servo malvagio; infatti il primo è un delitto scelleratissimo, il secondo un giusto supplizio. Un tempo il padre di famiglia aveva il diritto di uccidere non solo gli schiavi, ma anche i suoi figli. Come esempio di questo viene ricordato T. Manlio Torquato, che fece giustiziare suo figlio in presenza dell'esercito, avendo egli attaccati egli battaglia con il nemico contro il consiglio paterno. Senz'altro Manlio fu un padre crudele, ma da quel supplizio severissimo gli altri soldati furono distolti dal venir meno al dovere." Emilia "é risaputo che gli antichi romani furono crudeli verso i loro figli, ma nessuno oggi prende esempio da quel padre crudelissimo" Oronte "Ma anche ora un padre può abbandonare fra i monti un suo neonato deforme." Emilia "Un padre che espone suo figlio, merita egli stesso d'essere ucciso a sua volta! Non ti sembra che un tale padre meriti d'essere crocifisso?"Certamente un padre tanto inumano va punito severamente: infatti esporre neonati deformi è un costume antico e crudele. Altri sono adesso i costumi. Non è costume dei romani crocifiggere un uomo di condizione libera; tale supplizio è stato deciso contro i servi" Emilia "Quindi, chi fa esporre alle fiere un suo neonato malfatto, dev'essere mandato ad incontrare le belve insieme con gli altri scellerati" Oronte "E insieme con questi i cristiani, che adorano un giudeo come nuovo dio, scherniscono le antiche divinità romane e nei loro banchetti sogliono bere sangue umano, a quanto si dice". Emilia "Non tutte le dicerie sui cristiani sono vere" Fabia "Nè tutti i neonati esposti muoiono. Alcuni sono nutriti nelle selve dalle stesse belve, altri sono trovati dai pastori, che li educano assieme ai loro figli" Oronte "Come Paride, figlio infermo del re Priamo, esposto da un servo fedele del re su un monte presso la città di Troia ..." Ma Cornelio "Non c'è bisogno-ribatte-di riportare un vecchio esempio greco, dato che molti miti narrano di fanciulli romani, che furono salvati in tale modo"Del resto, hai interpretato male il mito: infatti Paride non era malato, nè fu fedele il servo di Priamo; infatti il re gli aveva comandato di uccidere Paride e un servo deve eseguire qualsiasi ordine del padrone" Oronte "Quel servo non era da punire, ma piuttosto da lodare. Infatti così salvò Paride, quello che portò via al marito Menelao Elena, la donna più bella fra tutte" Paola " Tu credi una simile offesa degna di lode?" Oronte "Quello a cui Venere induce mai è un'ingiuria. Cretamente va lodato quel giovane, il quale non solo osò rapire quella donna bellissima, ma fu anche un soldato valorosissimo, che uccise molti altri nemici e lo stesso Achille". A questo punto Oronte alza la coppa esclamando "Viva tutti i più forti! Viva tutte le donne da amare! Gioiamo ed amiamo! Siamo giovani come Paride, non vecchi come Priamo, re dei Troiani, o Nestore, vecchio comandante dei Greci, che visse fino a novanta anni. Chiunque ami le donne, alzi la coppa e beva con me! Ora bisogna bere vino puro!". Cornelio: "Ora bisogna tacere, non bere! Hai già bevuto troppo. Penso che tu abbia bevuto tanto vino quanto tutti noi, o anche di più!". Oronte: "Dunque voi bevete poco. Non posso mai bere troppo di questo vino. Stia bene chiunque ami il buon vino! Viva Bacco, dio del vino! Viviamo tutti e beviamo! Vuotiamo del tutto le coppe!". Paola: "Sta zitto adesso! È abbastanza. Non ti vergogni di aver cianciato così dall'inizio alla fine? Devi davvero vergognarti!". Ma Oronte, non appena vuotò completamente la sua coppa, giratosi verso Emilia disse: "Tutti m-mi interpellano tranne t-te Emilia. Tu s-sei bella come Elena...". Emilia: "..e tu sei rozzo come Paride, che era stato educato tra i rozzi pastori! Non hai mai imparato le buone maniere, villano! Hai bevuto troppo, sei ubriaco. Non mi toccare!". Oronte alzando nuovamente la coppa canta questo: "Chiunque ami stia bene! Muoia chi non sa amare! Muoia due volte chi vieta di amare!". Emilia: "Non vogliamo sentire queste sciocchezze. Sei ubriaco!" Oronte dice 'di non essere ubriaco' e salendo sul letto inizia a cantare un'altra canzone su una donna falsa a infida, ma prima di finirla, cade vicino alla mensa! Due servi lo portarono via dal triclinio e lo mettono in stanza. Allora stendono una coperta sopra di lui che già dorme.
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