Ab urbe condita(223447)
Momento temporis deiectis ex muro undique armatis patefactisque portis cum alii agmine inruerent, alii desertos scanderent muros, urbs hostibus impletur; omnibus locis pugnatur.deinde multa iam edita caede senescit pugna, et dictator praecones edicere iubet ut ab inermi abstineatur.Is finis sanguinis fuit.Dedi inde inermes coepti et ad praedam miles permissu dictatoris discurrit.Quae cum ante oculos eius aliquantum spe atque opinione maior maiorisque pretii rerum ferretur, dicitur manus ad caelum tollens precatus esse ut si cui deorum hominumque nimia sua fortuna populique Romani uideretur, ut eam inuidiam lenire quam minimo suo priuato incommodo publicoque populi Romani liceret.Conuertentem se inter hanc uenerationem traditur memoriae prolapsum cecidisse.idque omen pertinuisse postea euentu rem coniectantibus uisum ad damnationem ipsius Camilli, captae deinde urbis Romanae, quod post paucos accidit annos, cladem.
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In un attimo tutti gli uomini armati vennero scaraventati giù dai vari punti delle mura e le porte si spalancarono, permettendo così a parte dei Romani di riversarsi all'interno in formazione compatta e ad altri di scalare le mura ormai prive di difesa. La città straripava di nemici. Si combatteva dovunque. Poi, quando il massacro era già arrivato all'estremo, la battaglia cominciò a perdere d'intensità e il dittatore attraverso gli araldi ordinò agli uomini di risparmiare chi non era armato. Questa mossa pose fine alla carneficina. Quanti non portavano armi iniziarono allora a consegnarsi spontaneamente, mentre i soldati romani ottennero dal dittatore via libera al saccheggio. Poiché gli oggetti accatastati di fronte ai suoi occhi si rivelarono più numerosi e preziosi di quanto non fosse dato sperare o supporre, si racconta che il dittatore innalzò questa preghiera con le mani levate al cielo: se la fortuna sua e del popolo romano sembrava eccessiva a qualcuno tra gli dèi e tra gli uomini, che almeno quella gelosia potesse venir placata con il minor danno per sé e per il popolo romano. Pare che mentre si girava nel corso della preghiera agli dèi Camillo scivolasse e perdesse l'equilibrio finendo a terra. Quando a fatti compiuti si cominciò a congetturare sull'episodio, sembrò che quel sinistro presagio dovesse esser messo in relazione tanto alla condanna inflitta in séguito a Camillo, quanto alla catastrofica caduta di Roma avvenuta pochi anni dopo.
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