Riassunto su svevo capito 4 per piacereee
Il Balli capitò dall’Acquedotto al braccio di una donna grande come lui. - Com’é lunga! - disse Angiolina emettendo subito su quella donna l’unico giudizio che a quella distanza se ne poteva fare.
Avvicinatosi, il Balli presentò: - Margherita! Ange! - Tentò nell’oscurità di vedere Angiolina e s’avvicinò con la faccia tanto che allungando le labbra avrebbe potuto baciarla. - Veramente Ange? - Non ancora soddisfatto, accese un cerino e illuminò con esso la rosea faccia che, seria, seria, si prestò all’operazione. Illuminata, essa aveva nell’oscurità delle trasparenze adorabili; gli occhi chiari, in cui il giallo della fiamma penetrava come nell’acqua più limpida, brillavano dolci, lieti, grandi. Senza scomporsi, il Balli illuminò col cerino la faccia di Margherita, una faccia pallida, pura, due occhioni turchini, grandi e vivaci, che toglievano la possibilità di guardare altrove, un naso aquilino e, sulla piccola testa, una grande quantità di capelli castagni. Strideva su quella faccia la contradizione fra quegli occhi arditi di monella e la serietà dei tratti di madonna sofferente. Oltre che per farsi vedere, ella approfittò della luce del cerino per guardare con curiosità Emilio; poi, visto che la fiammella non voleva ancora spegnersi, vi soffiò sopra.
- Adesso vi conoscete tutti. Quel coso lì - disse il Balli accennando ad Emilio - lo vedrai al chiaro. - Precedette la compagnia con Margherita che già s’era attaccata al suo braccio. La figura di Margherita così alta e magra, non doveva esser bella; s’accompagnava ad entrambe le espressioni della faccia di vivacità e di sofferenza. Il suo passo era malsicuro, piccolo in proporzione alla figura. Portava una giacchetta di un color rosso fiammante, ma sul suo dosso modesto, povero, un po’ curvo, perdeva ogni arditezza; pareva una uniforme vestita da un fanciullo; mentre addosso ad Angiolina il colore più smorto s’avvivava. - Peccato, - mormorò Angiolina con profondo rammarico, - quella bella testa infilzata su quella stanga.
Emilio volle dire qualche cosa. S’avvicinò al Balli e gli disse: - Soddisfattissimo degli occhi della tua signorina, vorrei sapere come ti sieno piaciuti quelli della mia.
- Gli occhi non son brutti - dichiarò il Balli - il naso però non é modellato perfettamente; la linea inferiore é poco fatta. Bisognerebbe darci ancora qualche colpo di pollice.
- Davvero! - esclamò Angiolina interdetta.
- Forse potrei ingannarmi - disse il Balli serio, serio. - E cosa che si vedrà subito, al chiaro.
Quando Angiolina si sentì abbastanza lontana dal suo terribile critico, disse con voce cattiva: - Come se la sua zoppa fosse perfetta.
Al ´Mondo Nuovoª entrarono in una stanza oblunga chiusa da una parte da un tramezzo, dall’altra, verso il vasto giardino della birreria, da una vetrata. Al loro arrivo accorse il cameriere, un giovanotto dal vestito e dal fare contadineschi. Montò in piedi su una seggiola e accese due fiammelle del gas, che rischiararono scarsamente la vasta stanza; restò poi lassù a stropicciarsi gli occhi assonnati, finché Stefano non accorse a trarlo giù gridando che non gli permetteva d’addormentarsi tanto in alto. Il contadinotto, appoggiatosi allo scultore, discese dalla sedia e s’allontanò desto del tutto e di buonissimo umore.
A Margherita doleva un piede e s’era subito seduta. Il Balli le si fece d’intorno abbastanza premuroso, e voleva non facesse complimenti, si levasse lo stivale. Ma ella non volle dichiarando: - Già qualche male ci dev’essere sempre. Questa sera lo sento appena, appena.
Come era differente da Angiolina quella donna. Faceva delle dichiarazioni d’amore senza dirle, senza tradirne il proposito, affettuosa e casta, mentre l’altra, quando voleva significare la sua sensibilità, si inarcava tutta, si caricava come una macchina che per mettersi in movimento ha bisogno di una preparazione.
Ma al Balli non bastava. Aveva detto ch’ella doveva levarsi lo stivale e insistette per essere ubbidito finché ella non dichiarò che sarebbe stata pronta a levarsi anche tutt’e due gli stivali se egli avesse ordinato, ma che non le sarebbe servito a nulla non essendo quella la causa del male. Durante la serata ella fu obbligata parecchie volte a dare dei segni di sommissione perché il Balli voleva esporre il sistema che seguiva con le donne. Margherita si prestava magnificamente a quella parte; rideva molto, ma ubbidiva. Si sentiva nella sua parola una certa attitudine a pensare; ciò rendeva la sua soggezione appropriatissima quale esempio.
In principio ella cercò d’annodare il discorso con Angiolina che si provava di stare sulle punte dei piedi per vedersi in uno specchio lontano e correggersi i ricci. Le aveva raccontato dei mali che l’affliggevano al petto ed alle gambe; non si rammentava di un’epoca in cui non avesse sentito dei dolori. Sempre con gli occhi rivolti allo specchio, Angiolina disse: - Davvero? Poveretta! - Poi subito, con grande semplicità: - Io sto sempre bene. - Emilio che la conosceva, trattenne un sorriso avendo sentito in quelle parole l’indifferenza più piena per le malattie di Margherita e, immediata, intera, la soddisfazione della propria salute. La sventura altrui le faceva sentir meglio la propria fortuna.
Margherita si pose fra Stefano e Emilio; Angiolina sedette l’ultima in faccia a lei e, ancora in piedi, rivolse un’occhiata strana al Balli. Ad Emilio parve di sfida, ma lo scultore l’interpretò meglio: - Cara Angiolina, - le disse senza complimenti, - ella mi guarda così sperando ch’io trovi bello anche il suo naso, ma non serve. Il suo naso dovrebbe essere fatto così. - Segnò sul tavolo, col dito bagnato nella birra, la curva che egli voleva, una linea grossa che sarebbe stato difficile figurarsi su un naso.
Angiolina guardò quella linea come se avesse voluto apprenderla, e si toccò il naso: - Sta meglio così - disse a mezza voce come se non le fosse più importato di convincere nessuno.
- Che cattivo gusto! - esclamò il Balli non potendo però tenersi dal ridere. Si capì che da quel momento Angiolina lo divertì molto. Continuò a dirle delle cose sgradevoli ma pareva lo facesse per provocarla a difendersi. Ella stessa ci si divertiva. Nel suo occhio c’era per lo scultore la medesima benevolenza che brillava in quello di Margherita; una donna copiava l’altra, ed Emilio, dopo aver cercato invano di cacciare qualche parola nella conversazione generale, era ora intento a domandarsi perché avesse organizzata quella adunanza.
Ma il Balli non lo aveva dimenticato. Seguì il suo sistema, che pareva dovesse essere la brutalità, persino col cameriere. Lo sgridò perché non gli offriva di cena altro che vitello in tutte le salse; rassegnatosi a prenderne, gli diede i suoi ordini e quando il cameriere stava già per uscire dalla stanza, gli gridò dietro in un nuovo comico accesso d’ira ingiustificata: - Bastardo, cane! - Il cameriere si divertì a esser sgridato da lui ed eseguì tutti i suoi ordini con una premura straordinaria. Così, avendo domato tutti intorno a sé, al Balli parve d’aver dato ad Emilio una lezione in piena regola.
Ma a costui non riuscì d’applicare quei sistemi neppure nelle cose più piccole. Margherita non voleva mangiare: - Bada, disse il Balli, - é l’ultima sera che passiamo insieme; non posso soffrire le smorfie io! - Ella acconsentì che si facesse da cena anche per lei; tanto presto le venne l’appetito che ad Emilio sembrò di non avere avuto giammai da Angiolina un tale segno di affetto. Intanto anche questa, dopo lunga esitazione, aveva dichiarato di non volerne sapere di vitello
- Hai inteso, - le disse Emilio, - Stefano non può soffrire le smorfie. - Ella si strinse nelle spalle; non le importava di piacere a nessuno, e ad Emilio parve che il disprezzo fosse diretto piuttosto a lui che al Balli
- Questa cena di vitelli - disse il Balli con la bocca piena guardando in faccia gli altri tre - non é precisamente una cosa molto armonica. Voi due stonate insieme; tu nero come il carbone, ella bionda come una spiga alla fine di Giugno, sembrate messi insieme da un pittore accademico. Noi due poi si potrebbe metterci sulla tela col titolo: Granatiere con moglie ferita.
Con sentimento molto giusto, Margherita disse: - Non si va mica insieme per farsi vedere dagli altri. - Il Balli, serio e brusco anche in quell’atto affettuoso, le diede in premio un bacio sulla fronte.
Angiolina, con un pudore nuovo, s’era messa a contemplare il soffitto. - Non faccia la schizzinosa, - le disse il Balli corrucciato. - Come se voi due non faceste di peggio.
- Chi lo dice? - chiese Angiolina subito minacciosa verso Emilio
- Io no - protestò poco felicemente il Brentani.
- E che cosa fate insieme tutte le sere? Io non lo vedo mai dunque é con lei ch’egli passa le sue serate. Ha da capitargli anche l’amore, in quella verde età! Addio bigliardo, addio passeggiate. Io resto lì solo ad aspettarlo o bisogna m’accontenti del primo imbecille che mi viene per i versi. Ci eravamo trovati tanto bene insieme! Io, la persona più intelligente della città e lui la quinta, perché dopo di me vi sono tre posti vuoti e subito al prossimo c’é lui.
Margherita, che in seguito a quel bacio aveva riacquistata tutta la sua serenità, ebbe per Emilio un’occhiata affettuosa - Davvero! Mi parla continuamente di lei. Le vuole molto bene
Invece ad Angiolina parve che la quinta intelligenza della città fosse poca cosa, e conservò tutta la sua ammirazione per chi ne era la prima. - Emilio mi ha raccontato ch’ella canta tanto bene. Canti un po’. L’udrei tanto volentieri.
- Non mi mancherebbe altro. Dopo di cena io riposo. Ho la digestione difficile come quella di un serpente.
Margherita sola intuì lo stato d’animo di Emilio. I suoi occhi, posandosi su Angiolina, divennero serii; poi si rivolse ad Emilio, si dedicò a lui, ma per parlargli di Stefano: - Talvolta é brusco, certo, ma non sempre, e anche quando lo é non incute spavento. Si fa quello che vuole lui, perché gli si vuol bene. Poi, sempre a voce bassa, modulata dolcemente, ella disse: Un uomo che pensa é tutt’altra cosa di quelli che non pensano. - Si capiva che parlando di quegli altri, pensava a gente in cui s’era imbattuta ed egli, distratto per un istante dal suo doloroso imbarazzo, la guardò con compassione. Ella aveva ragione d’amare negli altri le qualità che le giovavano; da sola, così dolce e debole, non si sarebbe potuta difendere.
Ma il Balli si ricordò di nuovo di lui: - Come sei ammutolito! - Poi, rivolto ad Angiolina, chiese: - E sempre così nelle lunghe sere che passate insieme?
Ella che pareva dimentica dei suoi inni d’amore, disse con malumore: - E un uomo serio.
Il Balli ebbe la buona intenzione di risollevarlo: ne tessé la biografia caricandola: - Come bontà é lui il primo ed io il quinto. E il solo maschio col quale io abbia saputo andar d’accordo. E il mio alter ego, il mio altro io, pensa come me, e... é sempre del mio parere quando io subito non so essere del suo. - All’ultima frase aveva dimenticato il proposito col quale aveva cominciato a parlare e, di buon umore, schiacciava Emilio sotto il peso della propria superiorità. Quest’ultimo non seppe far altro che comporre la bocca ad un sorriso.
Poi sentì che sotto quel sorriso doveva essere ben facile d’indovinare uno sforzo e, per simulare meglio disinvoltura, volle parlare. S’era discorso, - egli non sapeva neppure da chi, - di far posare Angiolina per una figura che il Balli ideava. Egli era d’accordo: - Si tratta già di copiare la sola testa - disse ad Angiolina come se non avesse saputo che ella avrebbe accordato anche di più. Ma ella, senza interpellarlo, mentre egli era stato distratto dai discorsi di Margherita, aveva già accettato, e, bruscamente, interruppe le parole di Emilio, che, per nulla spontanee, s’erano disposte in una perorazione fuori di luogo, esclamando: - Ma se ho già accettato.
Il Balli ringraziò e disse che ne avrebbe sicuramente approfittato, ma soltanto di là a qualche mese, perché, per il momento, era troppo occupato con altri lavori. La guardò lungamente sognando la posa in cui l’avrebbe ritratta e Angiolina divenne rossa dal piacere. Almeno Emilio avesse avuto un compagno di sofferenza. Ma no! Margherita non era affatto gelosa, e guardava Angiolina anche lei con l’occhio d’artista. Stefano ne avrebbe fatta una cosa bella, disse, e parlò con entusiasmo delle sorprese che le aveva date l’arte, quando dall’argilla docile usciva una faccia, un’espressione, la vita.
Il Balli presto si rifece brusco. - Lei si chiama Angiolina? Un vezzeggiativo con codesta statura da granatiere? Angiolona la chiamerò io, anzi Giolona. - E da allora la chiamò sempre così con quelle vocali larghe, larghe, il disprezzo stesso fatto suono. Emilio si sorprese che il nome non dispiacesse ad Angiolina; ella non se ne adirò mai e quando il Balli glielo urlava nelle orecchie, rideva come se qualcuno le avesse fatto il solletico.
Al ritorno il Balli cantò. Aveva una voce uguale, di gran volume, ch’egli mitigava modulandola con ottimo gusto, immeritato dalle canzoncine volgari ch’egli prediligeva. Quella sera ne cantò una di cui, per la presenza delle due donne, non poteva pronunziare tutte le parole, ma seppe farle intendere lo stesso con la malizia e la sensualità della voce e dell’occhio. Angiolina ne fu incantata.
Quando si divisero, Emilio ed Angiolina stettero per un istante fermi a guardare l’altra coppia che s’allontanava. - Cieco! - disse ella. - Come fa ad amare una trave affumicata che si regge a stento?
La sera appresso ella non lasciò ad Emilio il tempo di farle i rimproveri ch’egli aveva meditati nella giornata. Aveva di nuovo da raccontargli delle cose sorprendenti. Il sarto Volpini le scriveva - ella aveva dimenticato di portar seco la lettera, - che egli non avrebbe potuto sposarla che di là ad un anno. Un suo socio glielo impediva con la minaccia di disdire la società e di lasciarlo senza capitali. - Pare che il socio voglia dargli in moglie una propria figliuola, una gobbetta che starebbe veramente bene accanto al mio futuro. Però il Volpini assicura che entro un anno egli potrà far senza del socio e del suo denaro e allora sposerà me. Capisci? - Egli non aveva capito. - C’é dell’altro - disse ella dolcemente e confusa. - Il Volpini non vuole vivere con quel desiderio per tutto un anno.
Ora egli capì. Protestò. Come si poteva sperare d’ottenere da lui un simile consenso? E d’altronde che cosa poteva obiettare? - Quali garanzie avrai della sua onestà?
- Quelle che vorrò. Egli é pronto a fare un contratto da un notaio.
Dopo una breve pausa egli chiese: - Quando?
Ella rise: - La prossima domenica non può venire. Vuole disporre tutto per il contratto che si farà di qui a quindici giorni e poi... - S’interruppe ridendo e lo abbracciò.
Sarebbe stata sua! Non era così ch’egli aveva sognato il possesso, ma l’abbracciò anche lui con effusione e volle convincersi d’essere perfettamente felice. Senza dubbio, doveva esserle grato! Ella gli voleva bene, o meglio voleva bene anche a lui. Di che si sarebbe potuto lagnare?
D’altronde era forse quella la guarigione ch’egli sperava. Insozzata dal sarto, posseduta da lui, Ange sarebbe morta , e si sarebbe divertito anche lui con Giolona, lieto com’ella voleva tutti gli uomini, indifferente e sprezzante come il Balli.
Avvicinatosi, il Balli presentò: - Margherita! Ange! - Tentò nell’oscurità di vedere Angiolina e s’avvicinò con la faccia tanto che allungando le labbra avrebbe potuto baciarla. - Veramente Ange? - Non ancora soddisfatto, accese un cerino e illuminò con esso la rosea faccia che, seria, seria, si prestò all’operazione. Illuminata, essa aveva nell’oscurità delle trasparenze adorabili; gli occhi chiari, in cui il giallo della fiamma penetrava come nell’acqua più limpida, brillavano dolci, lieti, grandi. Senza scomporsi, il Balli illuminò col cerino la faccia di Margherita, una faccia pallida, pura, due occhioni turchini, grandi e vivaci, che toglievano la possibilità di guardare altrove, un naso aquilino e, sulla piccola testa, una grande quantità di capelli castagni. Strideva su quella faccia la contradizione fra quegli occhi arditi di monella e la serietà dei tratti di madonna sofferente. Oltre che per farsi vedere, ella approfittò della luce del cerino per guardare con curiosità Emilio; poi, visto che la fiammella non voleva ancora spegnersi, vi soffiò sopra.
- Adesso vi conoscete tutti. Quel coso lì - disse il Balli accennando ad Emilio - lo vedrai al chiaro. - Precedette la compagnia con Margherita che già s’era attaccata al suo braccio. La figura di Margherita così alta e magra, non doveva esser bella; s’accompagnava ad entrambe le espressioni della faccia di vivacità e di sofferenza. Il suo passo era malsicuro, piccolo in proporzione alla figura. Portava una giacchetta di un color rosso fiammante, ma sul suo dosso modesto, povero, un po’ curvo, perdeva ogni arditezza; pareva una uniforme vestita da un fanciullo; mentre addosso ad Angiolina il colore più smorto s’avvivava. - Peccato, - mormorò Angiolina con profondo rammarico, - quella bella testa infilzata su quella stanga.
Emilio volle dire qualche cosa. S’avvicinò al Balli e gli disse: - Soddisfattissimo degli occhi della tua signorina, vorrei sapere come ti sieno piaciuti quelli della mia.
- Gli occhi non son brutti - dichiarò il Balli - il naso però non é modellato perfettamente; la linea inferiore é poco fatta. Bisognerebbe darci ancora qualche colpo di pollice.
- Davvero! - esclamò Angiolina interdetta.
- Forse potrei ingannarmi - disse il Balli serio, serio. - E cosa che si vedrà subito, al chiaro.
Quando Angiolina si sentì abbastanza lontana dal suo terribile critico, disse con voce cattiva: - Come se la sua zoppa fosse perfetta.
Al ´Mondo Nuovoª entrarono in una stanza oblunga chiusa da una parte da un tramezzo, dall’altra, verso il vasto giardino della birreria, da una vetrata. Al loro arrivo accorse il cameriere, un giovanotto dal vestito e dal fare contadineschi. Montò in piedi su una seggiola e accese due fiammelle del gas, che rischiararono scarsamente la vasta stanza; restò poi lassù a stropicciarsi gli occhi assonnati, finché Stefano non accorse a trarlo giù gridando che non gli permetteva d’addormentarsi tanto in alto. Il contadinotto, appoggiatosi allo scultore, discese dalla sedia e s’allontanò desto del tutto e di buonissimo umore.
A Margherita doleva un piede e s’era subito seduta. Il Balli le si fece d’intorno abbastanza premuroso, e voleva non facesse complimenti, si levasse lo stivale. Ma ella non volle dichiarando: - Già qualche male ci dev’essere sempre. Questa sera lo sento appena, appena.
Come era differente da Angiolina quella donna. Faceva delle dichiarazioni d’amore senza dirle, senza tradirne il proposito, affettuosa e casta, mentre l’altra, quando voleva significare la sua sensibilità, si inarcava tutta, si caricava come una macchina che per mettersi in movimento ha bisogno di una preparazione.
Ma al Balli non bastava. Aveva detto ch’ella doveva levarsi lo stivale e insistette per essere ubbidito finché ella non dichiarò che sarebbe stata pronta a levarsi anche tutt’e due gli stivali se egli avesse ordinato, ma che non le sarebbe servito a nulla non essendo quella la causa del male. Durante la serata ella fu obbligata parecchie volte a dare dei segni di sommissione perché il Balli voleva esporre il sistema che seguiva con le donne. Margherita si prestava magnificamente a quella parte; rideva molto, ma ubbidiva. Si sentiva nella sua parola una certa attitudine a pensare; ciò rendeva la sua soggezione appropriatissima quale esempio.
In principio ella cercò d’annodare il discorso con Angiolina che si provava di stare sulle punte dei piedi per vedersi in uno specchio lontano e correggersi i ricci. Le aveva raccontato dei mali che l’affliggevano al petto ed alle gambe; non si rammentava di un’epoca in cui non avesse sentito dei dolori. Sempre con gli occhi rivolti allo specchio, Angiolina disse: - Davvero? Poveretta! - Poi subito, con grande semplicità: - Io sto sempre bene. - Emilio che la conosceva, trattenne un sorriso avendo sentito in quelle parole l’indifferenza più piena per le malattie di Margherita e, immediata, intera, la soddisfazione della propria salute. La sventura altrui le faceva sentir meglio la propria fortuna.
Margherita si pose fra Stefano e Emilio; Angiolina sedette l’ultima in faccia a lei e, ancora in piedi, rivolse un’occhiata strana al Balli. Ad Emilio parve di sfida, ma lo scultore l’interpretò meglio: - Cara Angiolina, - le disse senza complimenti, - ella mi guarda così sperando ch’io trovi bello anche il suo naso, ma non serve. Il suo naso dovrebbe essere fatto così. - Segnò sul tavolo, col dito bagnato nella birra, la curva che egli voleva, una linea grossa che sarebbe stato difficile figurarsi su un naso.
Angiolina guardò quella linea come se avesse voluto apprenderla, e si toccò il naso: - Sta meglio così - disse a mezza voce come se non le fosse più importato di convincere nessuno.
- Che cattivo gusto! - esclamò il Balli non potendo però tenersi dal ridere. Si capì che da quel momento Angiolina lo divertì molto. Continuò a dirle delle cose sgradevoli ma pareva lo facesse per provocarla a difendersi. Ella stessa ci si divertiva. Nel suo occhio c’era per lo scultore la medesima benevolenza che brillava in quello di Margherita; una donna copiava l’altra, ed Emilio, dopo aver cercato invano di cacciare qualche parola nella conversazione generale, era ora intento a domandarsi perché avesse organizzata quella adunanza.
Ma il Balli non lo aveva dimenticato. Seguì il suo sistema, che pareva dovesse essere la brutalità, persino col cameriere. Lo sgridò perché non gli offriva di cena altro che vitello in tutte le salse; rassegnatosi a prenderne, gli diede i suoi ordini e quando il cameriere stava già per uscire dalla stanza, gli gridò dietro in un nuovo comico accesso d’ira ingiustificata: - Bastardo, cane! - Il cameriere si divertì a esser sgridato da lui ed eseguì tutti i suoi ordini con una premura straordinaria. Così, avendo domato tutti intorno a sé, al Balli parve d’aver dato ad Emilio una lezione in piena regola.
Ma a costui non riuscì d’applicare quei sistemi neppure nelle cose più piccole. Margherita non voleva mangiare: - Bada, disse il Balli, - é l’ultima sera che passiamo insieme; non posso soffrire le smorfie io! - Ella acconsentì che si facesse da cena anche per lei; tanto presto le venne l’appetito che ad Emilio sembrò di non avere avuto giammai da Angiolina un tale segno di affetto. Intanto anche questa, dopo lunga esitazione, aveva dichiarato di non volerne sapere di vitello
- Hai inteso, - le disse Emilio, - Stefano non può soffrire le smorfie. - Ella si strinse nelle spalle; non le importava di piacere a nessuno, e ad Emilio parve che il disprezzo fosse diretto piuttosto a lui che al Balli
- Questa cena di vitelli - disse il Balli con la bocca piena guardando in faccia gli altri tre - non é precisamente una cosa molto armonica. Voi due stonate insieme; tu nero come il carbone, ella bionda come una spiga alla fine di Giugno, sembrate messi insieme da un pittore accademico. Noi due poi si potrebbe metterci sulla tela col titolo: Granatiere con moglie ferita.
Con sentimento molto giusto, Margherita disse: - Non si va mica insieme per farsi vedere dagli altri. - Il Balli, serio e brusco anche in quell’atto affettuoso, le diede in premio un bacio sulla fronte.
Angiolina, con un pudore nuovo, s’era messa a contemplare il soffitto. - Non faccia la schizzinosa, - le disse il Balli corrucciato. - Come se voi due non faceste di peggio.
- Chi lo dice? - chiese Angiolina subito minacciosa verso Emilio
- Io no - protestò poco felicemente il Brentani.
- E che cosa fate insieme tutte le sere? Io non lo vedo mai dunque é con lei ch’egli passa le sue serate. Ha da capitargli anche l’amore, in quella verde età! Addio bigliardo, addio passeggiate. Io resto lì solo ad aspettarlo o bisogna m’accontenti del primo imbecille che mi viene per i versi. Ci eravamo trovati tanto bene insieme! Io, la persona più intelligente della città e lui la quinta, perché dopo di me vi sono tre posti vuoti e subito al prossimo c’é lui.
Margherita, che in seguito a quel bacio aveva riacquistata tutta la sua serenità, ebbe per Emilio un’occhiata affettuosa - Davvero! Mi parla continuamente di lei. Le vuole molto bene
Invece ad Angiolina parve che la quinta intelligenza della città fosse poca cosa, e conservò tutta la sua ammirazione per chi ne era la prima. - Emilio mi ha raccontato ch’ella canta tanto bene. Canti un po’. L’udrei tanto volentieri.
- Non mi mancherebbe altro. Dopo di cena io riposo. Ho la digestione difficile come quella di un serpente.
Margherita sola intuì lo stato d’animo di Emilio. I suoi occhi, posandosi su Angiolina, divennero serii; poi si rivolse ad Emilio, si dedicò a lui, ma per parlargli di Stefano: - Talvolta é brusco, certo, ma non sempre, e anche quando lo é non incute spavento. Si fa quello che vuole lui, perché gli si vuol bene. Poi, sempre a voce bassa, modulata dolcemente, ella disse: Un uomo che pensa é tutt’altra cosa di quelli che non pensano. - Si capiva che parlando di quegli altri, pensava a gente in cui s’era imbattuta ed egli, distratto per un istante dal suo doloroso imbarazzo, la guardò con compassione. Ella aveva ragione d’amare negli altri le qualità che le giovavano; da sola, così dolce e debole, non si sarebbe potuta difendere.
Ma il Balli si ricordò di nuovo di lui: - Come sei ammutolito! - Poi, rivolto ad Angiolina, chiese: - E sempre così nelle lunghe sere che passate insieme?
Ella che pareva dimentica dei suoi inni d’amore, disse con malumore: - E un uomo serio.
Il Balli ebbe la buona intenzione di risollevarlo: ne tessé la biografia caricandola: - Come bontà é lui il primo ed io il quinto. E il solo maschio col quale io abbia saputo andar d’accordo. E il mio alter ego, il mio altro io, pensa come me, e... é sempre del mio parere quando io subito non so essere del suo. - All’ultima frase aveva dimenticato il proposito col quale aveva cominciato a parlare e, di buon umore, schiacciava Emilio sotto il peso della propria superiorità. Quest’ultimo non seppe far altro che comporre la bocca ad un sorriso.
Poi sentì che sotto quel sorriso doveva essere ben facile d’indovinare uno sforzo e, per simulare meglio disinvoltura, volle parlare. S’era discorso, - egli non sapeva neppure da chi, - di far posare Angiolina per una figura che il Balli ideava. Egli era d’accordo: - Si tratta già di copiare la sola testa - disse ad Angiolina come se non avesse saputo che ella avrebbe accordato anche di più. Ma ella, senza interpellarlo, mentre egli era stato distratto dai discorsi di Margherita, aveva già accettato, e, bruscamente, interruppe le parole di Emilio, che, per nulla spontanee, s’erano disposte in una perorazione fuori di luogo, esclamando: - Ma se ho già accettato.
Il Balli ringraziò e disse che ne avrebbe sicuramente approfittato, ma soltanto di là a qualche mese, perché, per il momento, era troppo occupato con altri lavori. La guardò lungamente sognando la posa in cui l’avrebbe ritratta e Angiolina divenne rossa dal piacere. Almeno Emilio avesse avuto un compagno di sofferenza. Ma no! Margherita non era affatto gelosa, e guardava Angiolina anche lei con l’occhio d’artista. Stefano ne avrebbe fatta una cosa bella, disse, e parlò con entusiasmo delle sorprese che le aveva date l’arte, quando dall’argilla docile usciva una faccia, un’espressione, la vita.
Il Balli presto si rifece brusco. - Lei si chiama Angiolina? Un vezzeggiativo con codesta statura da granatiere? Angiolona la chiamerò io, anzi Giolona. - E da allora la chiamò sempre così con quelle vocali larghe, larghe, il disprezzo stesso fatto suono. Emilio si sorprese che il nome non dispiacesse ad Angiolina; ella non se ne adirò mai e quando il Balli glielo urlava nelle orecchie, rideva come se qualcuno le avesse fatto il solletico.
Al ritorno il Balli cantò. Aveva una voce uguale, di gran volume, ch’egli mitigava modulandola con ottimo gusto, immeritato dalle canzoncine volgari ch’egli prediligeva. Quella sera ne cantò una di cui, per la presenza delle due donne, non poteva pronunziare tutte le parole, ma seppe farle intendere lo stesso con la malizia e la sensualità della voce e dell’occhio. Angiolina ne fu incantata.
Quando si divisero, Emilio ed Angiolina stettero per un istante fermi a guardare l’altra coppia che s’allontanava. - Cieco! - disse ella. - Come fa ad amare una trave affumicata che si regge a stento?
La sera appresso ella non lasciò ad Emilio il tempo di farle i rimproveri ch’egli aveva meditati nella giornata. Aveva di nuovo da raccontargli delle cose sorprendenti. Il sarto Volpini le scriveva - ella aveva dimenticato di portar seco la lettera, - che egli non avrebbe potuto sposarla che di là ad un anno. Un suo socio glielo impediva con la minaccia di disdire la società e di lasciarlo senza capitali. - Pare che il socio voglia dargli in moglie una propria figliuola, una gobbetta che starebbe veramente bene accanto al mio futuro. Però il Volpini assicura che entro un anno egli potrà far senza del socio e del suo denaro e allora sposerà me. Capisci? - Egli non aveva capito. - C’é dell’altro - disse ella dolcemente e confusa. - Il Volpini non vuole vivere con quel desiderio per tutto un anno.
Ora egli capì. Protestò. Come si poteva sperare d’ottenere da lui un simile consenso? E d’altronde che cosa poteva obiettare? - Quali garanzie avrai della sua onestà?
- Quelle che vorrò. Egli é pronto a fare un contratto da un notaio.
Dopo una breve pausa egli chiese: - Quando?
Ella rise: - La prossima domenica non può venire. Vuole disporre tutto per il contratto che si farà di qui a quindici giorni e poi... - S’interruppe ridendo e lo abbracciò.
Sarebbe stata sua! Non era così ch’egli aveva sognato il possesso, ma l’abbracciò anche lui con effusione e volle convincersi d’essere perfettamente felice. Senza dubbio, doveva esserle grato! Ella gli voleva bene, o meglio voleva bene anche a lui. Di che si sarebbe potuto lagnare?
D’altronde era forse quella la guarigione ch’egli sperava. Insozzata dal sarto, posseduta da lui, Ange sarebbe morta , e si sarebbe divertito anche lui con Giolona, lieto com’ella voleva tutti gli uomini, indifferente e sprezzante come il Balli.
Miglior risposta
Si tratta del libro Senilità giusto?
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