Parafrasi odissea... tt postato aiutoooo!!!!!! x domani vi prego

snake2her
Cerchi il ritorno dolcezza di miele, splendido Odisseo,
ma faticoso lo farà un nume; non credo
che sfuggirai all'Ennosìgeo, tant'odio s'è messo nel cuore,
irato perché il figlio suo gli accecasti;
ma anche così, pur soffrendo dolori, potrete arrivare,
se vuoi frenare il tuo cuore e quello dei tuoi,
quando avvicinerai la solida nave
all'isola Trinachìa, scampato dal mare viola,
e pascolanti là troverete le vacche e le floride greggi
del Sole, che tutto vede e tutto ascolta dall'alto.

Se intatte le lascerai, se penserai al ritorno,
in Itaca, pur soffrendo dolori, potrete arrivare:
ma se le rapisci allora t'annuncio la fine
per la nave e i compagni. Quanto a te, se ti salvi,
tardi e male tornerai, perduti tutti i compagni,
su nave altrui; troverai pene in casa,
uomini tracotanti, che le ricchezze ti mangiano,
facendo la corte alla sposa divina e offrendole doni di nozze.
Ma la loro violenza punirai, ritornato.

E quando i pretendenti nel tuo palazzo avrai spento,
o con l'inganno, o apertamente col bronzo affilato,
allora parti, prendendo il maneggevole remo,
finché a genti tu arrivi che non conoscono il mare,
non mangiano cibi conditi con sale,
non sanno le navi dalle guance di minio,
né i maneggevoli remi che sono ali alle navi.

E il segno ti dirò, chiarissimo: non può sfuggirti.
Quando, incontrandoti, un altro viatore ti dica
che il ventilabro tu reggi sulla nobile spalla,
allora, in terra piantato il maneggevole remo,
offerti bei sacrifici a Poseidone sovrano
- ariete, toro e verro marito di scrofe -
torna a casa e celebra sacre ecatombi
ai numi immortali che il cielo vasto possiedono,
a tutti per ordine. Morte dal mare
ti verrà, molto dolce, a ucciderti vinto
da una serena vecchiezza. Intorno a te popoli
beati saranno. Questo con verità ti predico».

(...)

«Divino Laerziade, accorto Odisseo,né me sulle navi Poseidone travolse,movendo degli implacabili venti l'orrenda procella,né ci massacrarono a terra genti selvagge,ma Egisto, che mi tramava morte e rovina,m'uccise e la mia sposa funesta, chiamandomi in casa, a ban-chetto, come s'uccide un toro alla greppia.Cosi morii, della morte più triste; e intorno gli altri compagnieran scannati senza pietà, come cinghiali candida zannain casa d'un ricco principe molto potente,per nozze, o per cena in comune, o per lauto banchetto.Già ti trovasti alla strage di molti guerrieri,uccisi nel corpo a corpo, nella mischia violenta;ma a quel massacro avresti pianto di cuore,come intorno al cratere e alle tavole pienegiacevam per la sala, e il pavimento fumava tutto di sangue:straziante udii il grido della figlia di Priamo,Cassandra, che Clitemnestra uccideva, l'ipocrita,vicino a me; e io, già in terra, alzando le braccia,tentai di pararle, morente, contro il pugnale. La cagnase n'andò via, non ebbe cuore, mentre scendevo nell'Ade,di chiudermi gli occhi con le sue mani, e serrarmi la bocca.Ah! non c'è niente più odioso e più cane di donnache tali orrori nel cuore si metta,come colei pensò orrendo delitto,al legittimo sposo tramando la morte: e io credevoche per la gioia dei figli e dei servisarei tornato. Quel perfido mostrocoprì se stessa d'infamia e tutte in futurole donne, anche se ce ne fosse di buone ».

"Ulisse
Gli rispondea. “Perché agli dèi m'agguagli?
Tuo padre io son: quel per cui tante soffri
Nella tua fresca età sciagure ed onte”.
Così dicendo baciò il figlio, e al pianto,
Che dentro gli occhi avea costantemente
Ritenuto sin qui, l'uscita aperse.
Telemaco d'aver su gli occhi il padre
Credere ancor non sa. “No”, replicava,
“Ulisse tu, tu il genitor non sei,
Ma per maggior mia pena un dio m'inganna.
Tai cose oprar non vale uom da se stesso,
Ed è mestier che a suo talento il voglia
Ringiovanire, od invecchiarlo, un nume.
Bianco i capei testé, turpe le vesti
Eri, ed ora un Celicola pareggi”.
“Telemaco”, riprese il saggio eroe,
“Poco per veritade a te s'addice,
Mentre possiedi il caro padre, solo
Maraviglia da lui trarre e spavento:
Ché un altro Ulisse aspetteresti indarno.
Si, quello io son, che dopo tanti affanni
Durati e tanti, nel vigesim'anno
La mia patria rividi. Opra fu questa
Della Tritonia bellicosa diva,
Che qual più aggrada a lei, tale mi forma:
Ora un canuto mendicante, e quando
Giovane con bei panni al corpo intorno:
Però che alzare un de' mortali al cielo,
O negli abissi porlo, è lieve ai numi”.
Così detto, s'assise. Il figlio allora
Del genitor s'abbandonò sul collo,
In lagrime scoppiando ed in singhiozzi.
Ambi un vivo desir sentìan del pianto:
Né di voci sì flebili e stridenti
Risonar s'ode il saccheggiato nido
D'aquila o d'avoltoio, a cui pastore
Rubò i figliuoli non ancor pennuti,
Come de' pianti loro e delle grida
Miseramente il padiglion sonava.

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