PARAFRASI EPICA: Il Naufragio: Scilla e Cariddi
PARAFRASI EPICA: Il Naufragio: Scilla e Cariddi
Aiuto ragazzi mi serve urgentemente per domani 17 febbraio la parafrasi di "Il naufragio: Scilla e Cariddi"
di EPICA
Comincia con: Quando lasciammo quell'isola , e ormai non si vedeva altra terra, ma il cielo e il mare soltanto, ecco il Cronide rizzò sulla nave ben cava.....
Finisce con: Calipso dai riccioli belli, dea tremenda con voce umana, che m'accolse e nutrì.
Aiuto ragazzi mi serve urgentemente per domani 17 febbraio la parafrasi di "Il naufragio: Scilla e Cariddi"
di EPICA
Comincia con: Quando lasciammo quell'isola , e ormai non si vedeva altra terra, ma il cielo e il mare soltanto, ecco il Cronide rizzò sulla nave ben cava.....
Finisce con: Calipso dai riccioli belli, dea tremenda con voce umana, che m'accolse e nutrì.
Risposte
Scilla e Cariddi erano due mostri marini che vivevano nello stretto di Messina.
La leggenda narra che Scilla era una splendida ninfa, figlia di Forco e Crataide. Trascorreva i suoi giorni nel mare, giocando con le altre ninfe e rifiutava tutti i pretendenti.
Quando il dio del mare Glauco si innamorò di lei, andò dalla maga Circe a chiedere un filtro d’amore, ma Circe a sua volta si invaghì di lui.
Rifiutata da Glauco, rosa dalla gelosia, trasformò la rivale Scilla in un mostro con dodici piedi e sei teste, nelle cui bocche spuntavano tre file di denti. Secondo alcuni, intorno alla vita aveva appese teste di cani che abbaiavano e ringhiavano ferocemente. Scilla era immortale e l’unica maniera per difendersi da lei era quella di invocare l’aiuto di sua madre, la ninfa del mare Crataide.
Il mostro si nascose in una spelonca dello stretto di Messina, dal lato opposto a quello di Cariddi, e quando i naviganti si avvicinavano a lei, con le sue bocche li divorava.
Venne infine trasformata in roccia, e in questa forma la trovò Enea passando dallo stretto.
Cariddi è un mitico gorgo dell’estremità settentrionale dello stretto di Messina.
Descritto come un mostro figlio di Poseidone e di Gea, succhiava l’acqua del mare e la risputava tre volte al giorno con tale violenza da far naufragare le navi di passaggio.
Odisseo, dovendo passare necessariamente tra i due mostri, preferì avvicinarsi a Scilla poiché Cariddi avrebbe portato sicuramente la distruzione delle navi. Più tardi, dopo che i suoi uomini erano stati uccisi da Zeus per aver catturato gli armamenti di Elio, la nave di Odisseo venne attratta dal gorgo di Cariddi, e l’eroe sopravvisse soltanto perché riuscì ad aggrapparsi ad un fico che sbucava dall’acqua. Quando, ore dopo, ricomparve la nave, Odisseo s’aggrappò ad un albero riemerso, ed ebbe salva la vita.
La leggenda narra che Scilla era una splendida ninfa, figlia di Forco e Crataide. Trascorreva i suoi giorni nel mare, giocando con le altre ninfe e rifiutava tutti i pretendenti.
Quando il dio del mare Glauco si innamorò di lei, andò dalla maga Circe a chiedere un filtro d’amore, ma Circe a sua volta si invaghì di lui.
Rifiutata da Glauco, rosa dalla gelosia, trasformò la rivale Scilla in un mostro con dodici piedi e sei teste, nelle cui bocche spuntavano tre file di denti. Secondo alcuni, intorno alla vita aveva appese teste di cani che abbaiavano e ringhiavano ferocemente. Scilla era immortale e l’unica maniera per difendersi da lei era quella di invocare l’aiuto di sua madre, la ninfa del mare Crataide.
Il mostro si nascose in una spelonca dello stretto di Messina, dal lato opposto a quello di Cariddi, e quando i naviganti si avvicinavano a lei, con le sue bocche li divorava.
Venne infine trasformata in roccia, e in questa forma la trovò Enea passando dallo stretto.
Cariddi è un mitico gorgo dell’estremità settentrionale dello stretto di Messina.
Descritto come un mostro figlio di Poseidone e di Gea, succhiava l’acqua del mare e la risputava tre volte al giorno con tale violenza da far naufragare le navi di passaggio.
Odisseo, dovendo passare necessariamente tra i due mostri, preferì avvicinarsi a Scilla poiché Cariddi avrebbe portato sicuramente la distruzione delle navi. Più tardi, dopo che i suoi uomini erano stati uccisi da Zeus per aver catturato gli armamenti di Elio, la nave di Odisseo venne attratta dal gorgo di Cariddi, e l’eroe sopravvisse soltanto perché riuscì ad aggrapparsi ad un fico che sbucava dall’acqua. Quando, ore dopo, ricomparve la nave, Odisseo s’aggrappò ad un albero riemerso, ed ebbe salva la vita.
Già ci allontanavamo dall'isola (delle Sirene), ed ecco che appariva davanti a noi un fumo denso, e onde altissime; un gran rumore mi stordiva. I miei compagni si spaventarono e fecero cadere di mano i remi così la nave si fermò, privata dei suoi fidati remi. Ma io, andando avanti e indietro per la nave, e cercando di tranquillizzare prima uno poi l'altro mio compagno, dissi: "Siete arrivati con me fino a questo punto, superando molti ostacoli, di certo non ci può aspettare una sventura peggiore di quando Polifemo ci teneva rinchiusi nella sua caverna! Eppure vi portai via anche da quel luogo, con la mia forza e la mia intelligenza, e un giorno questo ricordò sarà piacevole per voi.
Quindi muoviamoci, fate ciò che vi ordino: voi riprendete a remare, evitando le secche, e che Giove ci conceda di salvarci dalle correnti.
E tu, timoniere, tiene questo a mente, non dimenticarlo: guida la nave fuori dalla nebbia e dalle onde grosse e tieni come riferimento la montagna, accosta ad essa, altrimenti ci getterai in quell'orribile vortice."
Tutti obbedirono velocemente alle mie parole, dato che non feci parola di Scilla, pericolo inevitabile, per paura che gli uomini, abbandonati i remi, si sarebbero accalcati uno sull'altro nel fondo della nave.
E in quel momento, disobbedendo all'amaro comando di Circe (che mi aveva vietato di usare armi) io presi le armi e andai a prua con le aste in mano, attendendo che saltasse fuori la terribile abitante dello scoglio per rapire i miei amici. Ma, seppur mi stancassi gli occhi a forza di guardare lo scoglio bruno, non la vidi da nessuna parte.
Intanto navigavamo preoccupati nello stretto sentiero: Scilla da un lato, dall'altro l'orribile Cariddi che inghiotte le onde e che, ogni volta che le rigetta, mormora ribollendo come una caldaia infuocata. E le onde, che salivano fino al cielo, ricadevano poi sulle cime di entrambi gli scogli.
Ma quando Cariddi inghiottiva i flutti salati, ribolliva dall'interno, completamente e tutt'intorno lo scoglio tremava terribilmente e, aprendosi il vortice, si scorgeva in fondo una sabbia azzurrina. Qui vidi le guance di tutti verdi di paura.
Mentre guardavamo tutti Cariddi, temendo una morte prossima, Scilla rapì dalla nave sei dei miei compagni, i più valorosi.
Io gira lo sguardo e li vidi che agitavano gambe e braccia, alzati in alto dal mostro, e invocavano Ulisse per l'ultima volta; miseri!
Come un pescatore che, da una rupe a precipizio sul mare, lancia un anello di corno di bue in mare, con una canna lunghissima, offrendo ai pesci un'esca insidiosa, e così li porta fuori dall'acqua e li butta sulla terra, a questo modo Scilla prendeva i compagni dalla nave e li divorava innanzi a me, mentre urlavano di dolore e mi tendevano le mani invano, durante la terribile sciagura.
Fra le tante e amare vicende che io sopportai solcando i mari, non mi si offrì mai la vista di uno spettacolo da far provare tanta pietà.
Quindi muoviamoci, fate ciò che vi ordino: voi riprendete a remare, evitando le secche, e che Giove ci conceda di salvarci dalle correnti.
E tu, timoniere, tiene questo a mente, non dimenticarlo: guida la nave fuori dalla nebbia e dalle onde grosse e tieni come riferimento la montagna, accosta ad essa, altrimenti ci getterai in quell'orribile vortice."
Tutti obbedirono velocemente alle mie parole, dato che non feci parola di Scilla, pericolo inevitabile, per paura che gli uomini, abbandonati i remi, si sarebbero accalcati uno sull'altro nel fondo della nave.
E in quel momento, disobbedendo all'amaro comando di Circe (che mi aveva vietato di usare armi) io presi le armi e andai a prua con le aste in mano, attendendo che saltasse fuori la terribile abitante dello scoglio per rapire i miei amici. Ma, seppur mi stancassi gli occhi a forza di guardare lo scoglio bruno, non la vidi da nessuna parte.
Intanto navigavamo preoccupati nello stretto sentiero: Scilla da un lato, dall'altro l'orribile Cariddi che inghiotte le onde e che, ogni volta che le rigetta, mormora ribollendo come una caldaia infuocata. E le onde, che salivano fino al cielo, ricadevano poi sulle cime di entrambi gli scogli.
Ma quando Cariddi inghiottiva i flutti salati, ribolliva dall'interno, completamente e tutt'intorno lo scoglio tremava terribilmente e, aprendosi il vortice, si scorgeva in fondo una sabbia azzurrina. Qui vidi le guance di tutti verdi di paura.
Mentre guardavamo tutti Cariddi, temendo una morte prossima, Scilla rapì dalla nave sei dei miei compagni, i più valorosi.
Io gira lo sguardo e li vidi che agitavano gambe e braccia, alzati in alto dal mostro, e invocavano Ulisse per l'ultima volta; miseri!
Come un pescatore che, da una rupe a precipizio sul mare, lancia un anello di corno di bue in mare, con una canna lunghissima, offrendo ai pesci un'esca insidiosa, e così li porta fuori dall'acqua e li butta sulla terra, a questo modo Scilla prendeva i compagni dalla nave e li divorava innanzi a me, mentre urlavano di dolore e mi tendevano le mani invano, durante la terribile sciagura.
Fra le tante e amare vicende che io sopportai solcando i mari, non mi si offrì mai la vista di uno spettacolo da far provare tanta pietà.
se vuoi la parafrasi, secondo il regolamento, devi scrivere tutto il testo...