E' URGENTISSIMISSIMO..........

patata87
ciao a tutti per favore.. vi chiedo un favore immenso e non è per me.. ma per una persona molto speciale per me! io ho fatto tutt'altro tipo di studi e non sono competente come voi in materia..sto cercando disperatamente da tanto tempo la parafrasi dell'odissea con il canto di polifemo e i versi sono dall'1 al 180

Risposte
ippo94
contenta tu...

patata87
Di nulla, sono tutti meritati..siete stati molto bravi e veloci.. non è un problema che non era tutta.. apprezzo molto quanto vi siete dati da fare.. grazie ancora.. ciao e buon lavoro a tutti!!!

ippo94
Oh....ma quanti complimenti...ke ci voleva...poi nemmeno tutta l'abbiamo trovata!!!

patata87
Volevo ringraziare molto sia ippo94 che rikivik perchè mi avete entrambi aiutata molto...
grazie ragazzi...siete stati super!!! sapete? era il mio primo ingresso in un forum e sono molto felice di aver trovato questo!!
grazie mille...
se vi serve un'aiuto basta che chiedete...

non finirò mai di ringraziarvi...

Francesca

ippo94
io ho trovato dal verso 74 al 197...

Giovinetta dormìa, che le immortali
D'indole somigliava e di fattezze,
Nausica, del re figlia; ed alla porta,
Che rinchiusa era, e risplendea nel buio.
Giacean due, l'una quinci e l'altra quindi,
Pudìche ancelle, cui le Grazie istesse
Di non vulgar beltà la faccia ornâro.
La dea, che gli occhi in azzurrino tinge,
Quasi fiato leggier di picciol vento,
S'avvicinò della fanciulla al letto,
E sul capo le stette, e, preso il volto
Della figlia del prode in mar Dimante
Molto a lei cara, e ugual d'etade a lei,
Cotali le drizzò voci nel sonno:
“Deh, Nausica, perché te così lenta
La genitrice partorì? Neglette
Lasci giacerti le leggiadre vesti.
Benché delle tue nozze il dì s'appressi,
Quando le membra tue cinger dovrai
Delle vesti leggiadre, e a quelli offrirne,
Che scorgeranti dello sposo ai tetti.
Così fama s'acquista, e ne gioisce

La mular biga dalle lievi ruote
Trasser fuori, e allestîro, e i forti muli
Vi miser sotto, e gli accoppiâro. Intanto
Venìa Nausica con le belle vesti,
Che sulla biga lucida depose.
Cibi graditi e di sapor diversi
La madre collocava in gran paniere
E nel capace sen d'otre caprigno
Vino infondea soave: indi alla figlia,
Ch'era sul cocchio, perché dopo il bagno
Sé con le ancelle, che seguìanla, ungesse,
Porse in ampolla d'or liquida oliva.
Nausica in man le rilucenti briglie
Prese, prese la sferza, e diè di questa
Sovra il tergo ai quadrupedi robusti,
Che si moveano strepitando, e i passi
Senza posa allungavano, portando
Le vesti, e la fanciulla, e non lei sola,
Quando ai fianchi di lei sedean le ancelle.
Tosto che fur dell'argentino fiume
Alla pura corrente, ed ai lavacri
Di viva ridondanti acqua perenne,
Da cui macchia non è che non si terga,
Sciolsero i muli, e al vorticoso fiume
Il verde a morsecchiar cibo soave
Del mele al pari, li mandaro in riva.
Poscia dal cocchio su le braccia i drappi
Recavanli, e gittavanli nell'onda,
Che nereggiava tutta; e in larghe fosse
Gìanli con presto piè pestando a prova.
Purgati e netti d'ogni lor bruttura,
L'uno appo l'altro gli stendean sul lido,
Là dove le pietruzze il mar poliva.
Ciò fatto, si bagnò ciascuna, e s'unse,
E poi del fiume pasteggiâr sul margo:
Mentre d'alto co' raggi aureolucenti
Gli stesi drappi rasciugava il Sole.
Ma, spento della mensa ogni desìo,
Una palla godean trattar per gioco,
Deposti prima dalla testa i veli;
Ed il canto intonava alle compagne
Nausica bella dalle bianche braccia.
Come Dïana per gli eccelsi monti
O del Taigeto muove, o d'Erimanto,
Con la faretra agli omeri, prendendo
De' ratti cervi e de' cinghiai diletto:
Scherzan, prole di Giove, a lei d'intorno
Le boscherecce Ninfe onde a Latona
Serpe nel cor tacita gioia; ed ella
Va del capo sovrana, e della fronte
Visibilmente a tutte l'altre, e vaga
Tra loro è più qual da lei meno è vinta:
Così spiccava tra le ancelle questa
Da giogo marital vergine intatta.
Nella stagion che al suo paterno tetto
I muli aggiunti e ripiegati i manti
Ritornar disponea, nacque un novello
Consiglio in mente all'occhiglauca diva,
Perché Ulisse dissonnisi, e gli appaia

E beati tre volte i tuoi germani,
Cui di conforto almo s'allarga e brilla
Di schietta gioia il cor, sempre che in danza
Veggiono entrar sì grazïoso germe.
Ma felice su tutti oltra ogni detto,
Chi potrà un dì nelle sue case addurti
D'illustri carca nuzïali doni.
Nulla di tal s'offerse unqua nel volto
O di femmina, o d'uomo, alle mie ciglia:
Stupor, mirando, e riverenza tiemmi.
Tal quello era bensì che un giorno in Delo,
Presso l'ara d'Apollo, ergersi io vidi
Nuovo rampollo di mirabil palma:
Ché a Delo ancora io mi condussi, e molta
Mi seguìa gente armata in quel viaggio
Che in danno rïuscir doveami al fine.
E com'io, fìssi nella palma gli occhi
Colmo restai di meraviglia, quando
Di terra mai non surse arbor sì bello;
Così te, donna, stupefatto ammiro,
E le ginocchia tue, benché m'opprima
Dolore immenso, io pur toccar non oso.
Me uscito dell'Ogigia isola dieci
Portava giorni e dieci il vento e il fiotto.
Scampai dall'onda ier soltanto, e un nume
Su queste piagge, a trovar forse nuovi
Disastri, mi gittò: poscia che stanchi
Di travagliarmi non cred'io gli eterni.
Pietà di me, Regina, a cui la prima
Dopo tante sventure innanzi io vegno,
Io, che degli abitanti, o la campagna
Tengali, o la città, nessun conobbi.
La cittade m'addita; e un panno dammi,
Che mi ricopra; dammi un sol, se panni
Qua recasti con te, di panni invoglio.
E a te gli dèi, quanto il tuo cor desìa,
Si compiaccian largir: consorte e figli,
E un sol volere in due, però ch'io vita,
Non so più invidïabile, che dove
La propria casa con un'alma sola
Veggonsi governar marito e donna.
Duol grande i tristi m'hanno, e gioia i buoni:
Ma quei ch'esultan più, sono i due sposi”.
“O forestier, tu non mi sembri punto
Dissennato e dappoco”, allor rispose
La verginetta dalle bianche braccia.
“L'Olimpio Giove, che sovente al tristo
Non men che al buon felicità dispensa,
Mandò a te la sciagura, e tu da forte
La sosterrai. Ma, poiché ai nostri lidi
Ti convenne approdar, di veste o d'altro,
Che ai supplici si debba ed ai meschini,
Non patirai disagio. Io la cittade
Mostrarti non ricuso, e il nome dirti
Degli abitanti. È de' Feaci albergo
Questa fortunata isola; ed io nacqui
Dal magnanimo Alcinoo, in cui la somma
Del poter si restringe, e dell'impero”.
Tal favellò Nausica, e alle compagne:

Vista m'avea da prima, ed or simìle
Sembrami a un dio che su l'Olimpo siede.
Oh colui fosse tal, che i numi a sposo
Mi destinâro! Ed oh piacesse a lui
Fermar qui la sua stanza! Orsù, di cibo
Sovvenitelo, amiche, e di bevanda”.
Quelle ascoltaro con orecchio teso,
E il comando seguîr: cibo e bevanda
All'ospite imbandîro, e il paziente
Divino Ulisse con bramose fauci
L'uno e l'altra prendea, qual chi gran tempo
Bramò i ristori della mensa indarno.
Qui l'occhinera vergine novello
Partito immaginò. Sul vago carro
Le ripiegate vestimenta pose,
Aggiunse i muli di forte unghia, e salse.
Poi così Ulisse confortava: “Sorgi
Stranier, se alla cittade ir ti talenta
E il mio padre veder, nel cui palagio
S'accoglieran della Feacia i capi.
Ma, quando folle non mi sembri punto,
Cotal modo terrai. Finché moviamo
De' buoi tra le fatiche e de' coloni,
Tu con le ancelle dopo il carro vieni
Non lentamente: io ti sarò per guida.
Come da presso la cittade avremo,
Divideremci. È la città da un alto
Muro cerchiata, e due bei porti vanta
D'angusta foce, un quinci e l'altro quindi,
Su le cui rive tutti in lunga fila
Posan dal mare i naviganti legni.
Tra un porto e l'altro si distende il foro
Di pietre quadre, e da vicina cava
Condotte, lastricato; e al fôro in mezzo
L'antico tempio di Nettun si leva.
Colà gli arnesi delle negre navi,
Gomene e vele, a racconciar s'intende,
E i remi a ripulir: ché de' Feaci
Non lusingano il core archi e faretre,
Ma veleggianti e remiganti navi,
Su cui passano allegri il mar spumante.
Di cotestoro a mio potere io sfuggo
Le voci amare, non alcun da tergo
Mi morda, e tal, che s'abbattesse a noi
Della feccia più vil: "Chi è", non dica,
"Quel forestiero che Nausica siegue,
Bello d'aspetto e grande? Ove trovollo?
Certo è lo sposo. Forse alcun di quelli,
Che da noi parte il mar, ramingo giunse,
Ed ella il ricevé, che uscìa di nave:
O da lunghi chiamato ardenti voti
Scese di cielo, e le comparve un nume,
Che seco riterrà tutti i suoi giorni.
Più bello ancor, se andò ella stessa in traccia
D'uom d'altronde venuto, e a lui donossi,
Dappoi che i molti, che l'ambìano, illustri
Feaci tanto avanti ebbe in dispetto".
Così dirìano; e crudelmente offesa
Ne sarìa la mia fama. Io stessa sdegno
Bersaglio eterno il pari ai numi Ulisse.

Solo questo ho trovato...ho girato in lungo e in largo....mi dispiace....però mancano pochi versi....gli puoi dire ke solo questi hai trovato...se ci dice ke libri sono forse ti potremo aiutare di più...ciao...

rikivik
patata purtroppo io non la trova dal 31 in poi dovresti chiedere a Francy lei è bravissima in queste cose!!!

patata87
Ti ringrazio :-)
Sei stato infinitamente gentile...volevo chiederti un altro favore se posso...
la parafrasi dal verso 31 in poi? Mi servirebbe fino al 180.. Non vorrei sembrare insistente o ripetitiva ma non è per me ed è molto urgente... sarò molto contenta di ricambiare il favore qualora ti servirà aiuto o consulto su materie economiche, matematiche e giuridiche!!!! Come avrai già capito non è il mio campo la letteratura, per questo confido in tutti voi!!!!!!!!!!
grazie mille

rikivik
Così dicevo: nulla rispose nel suo cuore spietato,
cosi dicevo: ma il uo cuore cattivo non rispose
ma con un balzo sui miei compagni le mani gettava
e si getto con un balzo sui miei compagni per malmenarli
e afferrandone due, come cuccioli a terra
ne afferrò due, come si prendono i cuccioli da terra
li sbatteva, scorreva fuori il cervello e bagnava la terra.
li sbatteva per terra anto da farlgi uscire il cervello e bagnare la terra
E fattili a pezzi, si preparava la cena;
e dopo averli fatti a pezzi se li cucinava per la cena
li maciullava come leone montano; non lasciò indietro
li maciullava come si fa con il leone di montagna; e nn gli tolse
nè interiora, nè carni, nè ossa o midollo.
ne interiora, ne carne, ne ossa ne midollo
E noi piangendo a Zeus tendevamo le braccia
e noi piangevamo e pregavamo Zeus
vedendo cose terribili: così ci sentivamo imponenti.
mentre vedevamo queste cose terribili: così ci sentivamo senza potere
Quando il Ciclope ebbe riempito il gran ventre,
Quando il Ciclope fu sazio
carne umana mangiando e latte pure bevendo,
dopo aver mangiato carne umana e bevuto latte
si distese nell'antro, sdraiato in mezzo alle pecore.
si distese nell'antro e dopo essersi sdraiato in mezzo alle pecore
E io pensai nel mio cuore magnanimo
io nel mio grande cuore pensai
d'avvicinarmi e la spada puntuta dalla coscia sguainando,
di avvicinarmi per sguainare la mia spada appuntita dalla coscia
piantarla nel petto, dove il fegato s'attacca al diaframma,
e piantargliela nel petto, li dove il fegato e il diaframma si incontrano
cercando a tastoni; ma mi trattenne un altro pensiero.
cercano a tastoni, ma fui fermato da un altro pensiero
Infatti noi pure là perivamo di morte terribile:
che pure noi la rischiavmao la morte improvvisa
non potevamo certo dall'alta apertura
non potevamo infatti andare dall'altra uscita
a forza d braccia spostare l'enorme roccia, che vi aveva addossata.
e spostare la grande roccia con le mani che il ciclope aveva spostato nell'apertura
Così allora gemendo aspettammo l'Aurora lucente.
così allora gemendo aspettammo il giorno dopo
Come, figlia di luce, brillò l'Aurora dita rosate,
Aurora, figlia della luce, brillo e accese
accese il fuoco di nuovo, munse le pecore belle,
di nuovo il fuoco, munse le pecore
tutte per ordine, e cacciò sotto a tutte il lattonzolo.
le munse tutte in ordine mise sotto ad ognuna di loro il lattonzolo
Poi, quando rapidamente i suoi lavori ebbe fatto,
poi quando ebbe finito i suoi lavori
ancora afferrando due uomini, si preparò il pasto.
prese altri due uomini per preparare il pasto
Mangiato, spinse fuori dall'antro le pecore pingui,
spinse fuori dall'antro le pecore più grasse
senza fatica togliendo l'enorme masso: ma subito
senza fatica spostando l'enorme masso dell'apertura: ma subito rimise il masso davanti ad essa
ve lo rimise, come se alla feretra rimettesse il coperchio,
come si rimette il coperchio nella feretra
e con un lungo fischio al monte volse le pecore pingui
e il Ciclope porto le pecore con un fischio verso il monte
il Ciclope; e io rimasi a meditar vendetta in cuore,
e o rimasi li a pensare come potevo vendicarmi
se avessi potuto punirlo, m'avesse dato Atena quel vanto.
volevo punirlo e chiedevo alla dea Atena di potemri vantare di questo



questo è dal verso 1 al 31!!!

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