Analisi della poesia (61735)
tutte le figure retoriche con esempi :blowkiss :blowkiss
Risposte
ALLEGORIA. Dal greco allegoría (= "parlare diversamente"). Figura retorica mediante la quale un termine (denotazione) si riferisce a un significato più profondo e nascosto (connotazione). Ad es., il Veltro dantesco, a livello denotativo, significa "cane da caccia", ma è noto che questo termine allude a un "riformatore spirituale".
Tra le allegorie tradizionali è celeberrima quella della nave che attraversa un mare in tempesta, fra venti e scogli ecc.: rappresenta il destino umano, i pericoli, i contrasti ecc., mentre il porto è la salvezza.
Il problema della comprensione delle allegorie dipende dalla loro maggiore o minore codificazione (ad es., una donna bendata con una spada o una bilancia è ormai un'immagine codificata della Giustizia).
ALLITTERAZIONE. Figura retorica di tipo morfologico, consistente nella ripetizione di uno o più fonemi uguali in più parole consecutive o molto vicine. Come in Petrarca: "di me medesmo meco mi vergogno", o in Foscolo: "quello spirto guerrier ch'entro mi rugge". Casuale nella lingua comune (ad es. "Mia mamma mangia una mela"), l'allitterazione è frequente nei messaggi pubblicitari, dove ha la funzione di favorire la memorizzazione nell'ascoltatore. Ad es.: "Mangia le mele Melinda".
ANADIPLOSI. Dal greco anadíplosis = "raddoppiamento". Figura retorica consistente nella ripresa, all'inizio di un verso o di una frase, di una o più parole di chiusura del verso o della frase precedente. Come in Quasimodo: "Invano cerchi tra la polvere, / povera mano, la città è morta. / È morta...". Oppure in Fenoglio: "In lui tutto era lento, lento era il movimento delle labbra, lento era il roteare degli occhi". In quest'ultimo esempio possiamo notare la combinazione di anadiplosi e anafora.
ANAFORA. Figura retorica consistente nella ripetizione di una o più parole all'inizio di più versi o enunciati successivi. Ad es. in Dante: "Per me si va nella città dolente, / per me si va nell'etterno dolore, / per me si va tra la perduta gente".
Come l'allitterazione, anche l'anafora si presenta con frequenza nel linguaggio pubblicitario, per richiamare l'attenzione dell'ascoltatore. Ad es.: "Selenia, speciale formula Alfa Romeo... Selenia, il motore dei nuovi motori".
ANALOGIA. Rapporto di somiglianza tra imagini o parole, basato su libere associazioni di pensiero o di sensazioni piuttosto che su nessi logici o sintattici codificati. Come l'ungarettiana "balaustrata di brezza".
ANTIFRASI. Dal greco antíphrasis = "espressione contraria". Figura retorica consistente nell'usare un'espressione per significare l'opposto di ciò che in realtà si vuol dire. Si tratta di una figura molto usata anche nel linguaggio comune: ad es. "Bella giornata, oggi!" (per significare invece che c'è brutto tempo); "Hai fatto un bel lavoro!" (per dire invece che il lavoro è stato svolto male). Come si vede, l'antifrasi è per lo più utilizzata in senso ironico.
ANTONOMASIA. Dal greco antonomàzo = "chiamo con nome diverso". Figura retorica consistente nella sostituzione del nome di una persona o di una cosa con un nome più generico o comune, con un epìteto (aggettivo) o con una perifrasi. Alcuni esempi: "il segretario fiorentino" (Machiavelli), "il padre della lingua italiana" (Dante), "la città celeste" (il Paradiso), "il principe delle tenebre" (il diavolo), "l'eroe dei due mondi" (Garibaldi), "il sommo bene" (Dio).
ASSONANZA. Somiglianza di suono fra le ultime sillabe di due o più parole (sia poste in fine di versi successivi, sia al loro interno). Si usa distinguere in assonanza tonica quando sono uguali le vocali ma non le consonanti (es. "climi / mattini") e assonanza atona quando cambia soltanto la vocale tonica (es. "puro / giro"); si ha infine assonanza consonantica, o più semplicemente consonanza, quando vi è uguaglianza di suoni soltanto nelle consonanti (es. "colla / bello").
BALLATA. Componimento poetico d'origine provenzale, che compare in Italia attorno alla metà del XIII secolo. Originariamente non aveva una struttura metrica fissa (salvo un ritornello di due o più versi) e i versi erano vari (dal settenario all'endecasillabo). Con gli stilnovisti la ballata assunse una forma più definita, preferibilmnete con soli endecasillabi o settenari oppure con endecasillabi e settenari.
La ballata classica è generalmente introdotta da una strofetta di tre versi (ballata mezzana), di quattro versi (ballata grande) o di due versi (ballata minore). La strofa introduttiva è detta "ritornello" o "ripresa". Alla ripresa segue generalmente una sola stanza (oppure due o tre: ballata replicata), divisa in due "piedi" e una "volta".
IPALLAGE. Dal greco hypallagé, che significa "scambio, commutazione". Figura retorica consistente nello scambio del normale rapporto sintattico o semantico fra due parole. In pratica si attribuisce a una parola ciò che, nella stessa frase, andrebbe attribuito ad un'altra parola. Ad es.: "Il magro profilo del suo volto". In Montale: "e gli alberi discorrono col trito / mormorio della rena".
IPERBOLE. Dal greco hyperbàllo (= "lancio oltre"). Figura retorica consistente nell'esagerare (amplificandolo o riducendolo) l'espressione di un concetto. Ad es.: "È un secolo che non lo vedo"; "Scendo tra un minuto"; "Sono in un mare di guai"; "Mi piace da morire"; "Non ha un briciolo di cervello". A livello letterario: "Lo scudo in mezzo alla donzella colse: / ma parve urtasse un monte di metallo" (Ariosto). Dalla storia, il detto proverbiale di Carlo V: "Sui miei dominii non tramonta mai il sole
CESURA. Pausa ritmica all'interno del verso, in corrispondenza dell'accento ritmico più importante dopo quello fisso alla fine del verso (cioè sulla penultima posizione). La cesura ha un particolare rilievo nell'endecasillabo, dove il verso risulta diviso in due parti dette emistichi.
ONOMATOPEA. Dal greco onomatopoiìa = "formazione di parole". Riproduzione linguistica di suoni o rumori esistenti in natura. Ad es. in Pascoli: "un breve gre-gre di ranelle"; verso in cui si rileva anche un'allitterazione in r. Fenomeno diffuso anche nella lingua quotidiana: "tic-tac", "din-don".
OSSIMORO. Dal greco oxýmoron, composto da oxýs (= "acuto") e moròs (= "ottuso, stolto"). Figura retorica consistente nell'accostamento di due termini i cui significati sembrano escludersi a vicenda. Ad es. in Giusti: "Sentia nel canto la dolcezza amara". O in Rebora: "Sinistro rumor di silenzio".
OTTONARIO. Verso di otto sillabe metriche o posizioni, molto usato ad esempio nelle canzoni a ballo quattrocentesche e nella canzonetta del Sei-Settecento.
PARONOMASIA. Figura morfologica consistente nell'avvicinare in un breve spazio sintattico due o più parole fonicamente simili ma dal significato diverso. Ad es. in Dante: "ch'i' fui per ritornar più volte volto"; oppure in Montale: "Trema un ricordo nel ricolmo secchio".
PERSONIFICAZIONE. Figura retorica consistente nel rappresentare un concetto o un oggetto come se fosse un essere animato. Ad es. in Leopardi, che si rivolge così alla luna: "Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, / silenziosa luna?". La tendenza alla personificazione, spesso inconscia, è rintracciabile anche nel linguaggio comune. Ad es.: "Quest'inverno il sole non ha proprio voglia di farsi vedere".
D - F
DIALEFE. Dal greco dialeìpho (= "separo"). Figura metrica consistente nel tenere distinte, in due diverse posizioni, due vocali contigue ma appartenenti a due parole diverse. Ad es. in Cavalcanti: "Di ciascuna vertù - alta e gentile". Non c'è una regola precisa per l'applicazione della dialefe, ma in genere si tende a rispettarla in casi come quello citato (cioè quando si incontrano due vocali entrambe toniche).
DIERESI. Dal greco diairéo (= "disgiungo, separo"). Figura metrica consistente nel tenere distinte in due diverse posizioni due vocali contigue in corpo di parola. Ad es. in Foscolo: "Forse perché della fatal quï-ete". O in Leopardi: "Un mazzolin di rose e di vï-ole". Non vi sono regole veramente fisse per la sua applicazione; è comunque obbligatoria in due casi: 1) alla fine del verso; 2) quando una vocale aspra (a, e, o) è seguita da una qualunque vocale tonica.
DISTICO. La strofa più piccola, composta da soli due versi.
EMISTICHIO. Ciascuna delle due parti in cui un verso risulta diviso dalla cesura. Ad es. in Leopardi: "Sempre caro mi fu - quest'ermo colle"; o in Dante: "Lo giorno se n'andava - e l'aere bruno", dove peraltro notiamo che fra i due emistichi vi è sinalefe.
ENDECASILLABO. È il verso più armonioso e vario della poesia italiana, composto da undici sillabe metriche o posizioni. A parte l'ultimo (ch'è sempre sulla penultima sillaba), ha gli altri accenti in posizione libera, anche se i più ricorrenti cadono sulla sesta (ad es. in Leopardi: "Sempre caro mi fu' quest'ermo colle") oppure sulla quarta sillaba (ad es. in Dante: "Zefiro do'lce le novelle fronde"). Si distingue in endecasillabo "a maiore", se il primo emistichio è un settenario, e "a minore" se è un quinario. Un endecasillabo a maiore è il leopardiano "Vaghe stelle dell'Orsa, - io non credea", con sinalefe tra i due emistichi; un esempio a minore è ancora il leopardiano "Questa mia vita dolorosa e nuda". Vi sono però numerose varianti.
ENFASI. Figura retorica che consiste nel mettere in particolare rilievo un termine o una frase. Ad es.: "Lui, lui sa quello che voglio dire!". Il Lausberg ha notato come, soprattutto per l'oratore e per l'attore, l'enfasi semantica si identifica con "un aumento di intensità della voce (e dei gesti)" nel momento in cui si vuole sottolineare una parola o un concetto.
ENJAMBEMENT. Separazione metrica, tra la fine di un verso e l'inizio di quello successivo, di due elementi sintatticamente legati (sintagma). Ad es. in Leopardi: "Ma sedendo e mirando, interminati / spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi...". Qualcuno usa il termine "inarcatura" (ad es. Fubini) o "spezzatura" (ad es. Di Girolamo), ma il termine francese è quello più accettato.
FIGURE METRICHE. Fenomeni sillabici, tipici della poesia, che non comportano alterazioni grafiche, ma solo una diversa modalità di lettura, ai fini del computo sillabico del verso. Sono la sineresi, la sinalefe, la dieresi e la dialefe (vedi alle singole voci).
FIGURE RETORICHE. Particolari forme espressive della lingua, fondamentali in letteratura (e soprattutto in poesia), ma frequenti anche nella lingua comune. Vengono usate per dare maggiore incisività e una più profonda carica al senso complessivo del messaggio. Si distinguono tradizionalmente in figure di parola (o del significante) e figure di pensiero (o del significato).
METAFORA. Dal greco metaphéro, composto da metà (= "oltre, al di là") e phéro (= "porto").
Figura retorica consistente nel trasferire una parola dall'oggetto a cui normalmente la si riferisce ad un altro oggetto, mediante un paragone sottinteso. Così, dicendo: "Tizio è un coniglio", intendiamo dire che è pavido come un coniglio. Dicendo: "L'infanzia è l'alba della vita", intendiamo dire che è l'inizio della vita, come l'alba lo è del giorno. Possiamo quindi dire che la metafora è una similitudine abbreviata, cioè sottratta dell'avverbio di paragone.
Occorre sottolineare che nei testi letterari di grande valore la pretesa di trovare un'espressione letterale corrispondente a quella metaforica è illusoria. Ad es., quando Leopardi scrive nel Passero solitario: "Primavera d'intorno / brilla nell'aria...", ci dà un'immagine insostituibile. Il verbo "brillare", che il poeta usa appunto in senso metaforico, non ha nessun possibile sostituto letterale perché la figura non è limitata al predicato, ma si proietta sul suo soggetto. È dunque la primavera ad essere vista metaforicamente. Perciò questa metafora leopardiana si può parafrasare, si può spiegare e commentare, ma non si può assolutamente convertire in un'espressione propria, cioè non figurata.
Oltre che con la metafora, uno spostamento di significato si attua anche con la metonimia e la sinèddoche.
METONIMIA. Dal greco metonymìa = "scambio di nome". Figura retorica consistente, come la metafora, nella possibilità di sostituire una parola con un'altra; ma la sostituzione metonimica avviene tra parole appartenenti allo stesso campo semantico (a differenza della sostituzione metaforica, che è più libera e tiene conto di somiglianze anche vaghe), e si basa fondamentalmente su un rapporto di contiguità logica fra le parole scambiate.
Si hanno vari casi di sostituzioni metonimiche, tra cui le più frequenti sono:
1. il contenente per il contenuto ("Bevo un bicchiere"; cioè il suo contenuto);
2. la causa per l'effetto ("Ha una bella mano"; cioè una bella scrittura);
3. l'effetto per la causa ("Una valle di lacrime"; cioè "un luogo di sofferenza"):
4. l'astratto per il concreto ("Le prepotenze della nobiltà"; cioè dei nobili);
5. il concreto per l'astratto ("È un uomo di buon cuore"; cioè di buoni sentimenti);
6. l'autore per l'opera ("Oggi leggiamo Montale"; cioè una sua poesia);
7. la regione o la città per gli abitanti ("La rivolta di Parigi"; cioè dei parigini);
8. la località di produzione per il prodotto ("Ho bevuto un buon Chianti").
METRICA. Termine che indica lo studio dei fenomeni che riguardano la versificazione, cioè le strutture formali specifiche del verso nella poesia (misura dei versi, figure metriche, cesura, ritmo, rime, strofe, ecc.).
SIMILITUDINE. Figura retorica fondamentale, da cui tradizionalmente deriva per abbreviazione la metafora. Consiste nell'esprimere un'idea mediante il suo accostamento a un'altra idea che abbia con la prima un rapporto di somiglianza esplicitamente descritto. Ad es. in Pascoli: "quando partisti, come son rimasta! / come l'aratro in mezzo alla maggese".
SINALEFE. Figura metrica consistente nella fusione in una posizione della vocale finale di una parola con la vocale iniziale della parola successiva, all'interno dello stesso verso. Ad es. in Leopardi: "dolce-e chiara-è la notte-e senza vento".
SINEDDOCHE. Figura retorica affine alla metonimia, dalla quale si distingue perché il rapporto fra il termine impiegato e quello sostituito non è di tipo qualitativo (logico) ma quantitativo. Si ha dunque sinèddoche quando si usa:
1. il tutto per la parte (ad es.: "scarpe di vitello" per "pelle di vitello"); 2. la parte per il tutto (ad es.: "son rimasti senza tetto" per "senza casa").
SINERESI. Figura metrica consistente nella fusione di due vocali grammaticalmente distinte (cioè in iato) in corpo di parola. Ad es. in Leopardi: "ed erra l'armonia per questa valle", dove -ia di "armonia" è grammaticalmente uno iato e andrebbe pertanto distinto, ma rientra nella stessa posizione. La sinèresi è di solito proibita in due casi: 1) alla fine del verso; 2) quando una vocale aspra (a, e, o) è seguita da una qualunque vocale accentata (vedi dieresi).
SINESTESIA. Dal greco synàisthesis = "percezione simultanea". Figura retorica consistente nell'accostamento di due termini relativi a sfere sensoriali diverse. Ad es. in Dante: "I' venni in luogo d'ogni luce muto" (dove luce riguarda la vista, e muto l'udito); oppure in Quasimodo: "... all'urlo nero / della madre" (dove urlo riguarda l'udito, e nero la vista).
ZEUGMA. Figura grammaticale consistente nel far dipendere da un solo verbo più termini o espressioni che richiederebbero ciascuno un verbo proprio. Ad es. in Dante: "parlare e lagrimar vedrai insieme" (dove vedrai si adatta in realtà soltanto a lagrimar); oppure in Leopardi: "Porgea gli orecchi al suon della tua voce / ed alla man veloce / che percorrea la faticosa tela" (in cui ovviamente la man veloce non può produrre sulla tela un gran frastuono).
fonte:http://www.giuseppecirigliano.it/poesiaglossario.html
:hi
Tra le allegorie tradizionali è celeberrima quella della nave che attraversa un mare in tempesta, fra venti e scogli ecc.: rappresenta il destino umano, i pericoli, i contrasti ecc., mentre il porto è la salvezza.
Il problema della comprensione delle allegorie dipende dalla loro maggiore o minore codificazione (ad es., una donna bendata con una spada o una bilancia è ormai un'immagine codificata della Giustizia).
ALLITTERAZIONE. Figura retorica di tipo morfologico, consistente nella ripetizione di uno o più fonemi uguali in più parole consecutive o molto vicine. Come in Petrarca: "di me medesmo meco mi vergogno", o in Foscolo: "quello spirto guerrier ch'entro mi rugge". Casuale nella lingua comune (ad es. "Mia mamma mangia una mela"), l'allitterazione è frequente nei messaggi pubblicitari, dove ha la funzione di favorire la memorizzazione nell'ascoltatore. Ad es.: "Mangia le mele Melinda".
ANADIPLOSI. Dal greco anadíplosis = "raddoppiamento". Figura retorica consistente nella ripresa, all'inizio di un verso o di una frase, di una o più parole di chiusura del verso o della frase precedente. Come in Quasimodo: "Invano cerchi tra la polvere, / povera mano, la città è morta. / È morta...". Oppure in Fenoglio: "In lui tutto era lento, lento era il movimento delle labbra, lento era il roteare degli occhi". In quest'ultimo esempio possiamo notare la combinazione di anadiplosi e anafora.
ANAFORA. Figura retorica consistente nella ripetizione di una o più parole all'inizio di più versi o enunciati successivi. Ad es. in Dante: "Per me si va nella città dolente, / per me si va nell'etterno dolore, / per me si va tra la perduta gente".
Come l'allitterazione, anche l'anafora si presenta con frequenza nel linguaggio pubblicitario, per richiamare l'attenzione dell'ascoltatore. Ad es.: "Selenia, speciale formula Alfa Romeo... Selenia, il motore dei nuovi motori".
ANALOGIA. Rapporto di somiglianza tra imagini o parole, basato su libere associazioni di pensiero o di sensazioni piuttosto che su nessi logici o sintattici codificati. Come l'ungarettiana "balaustrata di brezza".
ANTIFRASI. Dal greco antíphrasis = "espressione contraria". Figura retorica consistente nell'usare un'espressione per significare l'opposto di ciò che in realtà si vuol dire. Si tratta di una figura molto usata anche nel linguaggio comune: ad es. "Bella giornata, oggi!" (per significare invece che c'è brutto tempo); "Hai fatto un bel lavoro!" (per dire invece che il lavoro è stato svolto male). Come si vede, l'antifrasi è per lo più utilizzata in senso ironico.
ANTONOMASIA. Dal greco antonomàzo = "chiamo con nome diverso". Figura retorica consistente nella sostituzione del nome di una persona o di una cosa con un nome più generico o comune, con un epìteto (aggettivo) o con una perifrasi. Alcuni esempi: "il segretario fiorentino" (Machiavelli), "il padre della lingua italiana" (Dante), "la città celeste" (il Paradiso), "il principe delle tenebre" (il diavolo), "l'eroe dei due mondi" (Garibaldi), "il sommo bene" (Dio).
ASSONANZA. Somiglianza di suono fra le ultime sillabe di due o più parole (sia poste in fine di versi successivi, sia al loro interno). Si usa distinguere in assonanza tonica quando sono uguali le vocali ma non le consonanti (es. "climi / mattini") e assonanza atona quando cambia soltanto la vocale tonica (es. "puro / giro"); si ha infine assonanza consonantica, o più semplicemente consonanza, quando vi è uguaglianza di suoni soltanto nelle consonanti (es. "colla / bello").
BALLATA. Componimento poetico d'origine provenzale, che compare in Italia attorno alla metà del XIII secolo. Originariamente non aveva una struttura metrica fissa (salvo un ritornello di due o più versi) e i versi erano vari (dal settenario all'endecasillabo). Con gli stilnovisti la ballata assunse una forma più definita, preferibilmnete con soli endecasillabi o settenari oppure con endecasillabi e settenari.
La ballata classica è generalmente introdotta da una strofetta di tre versi (ballata mezzana), di quattro versi (ballata grande) o di due versi (ballata minore). La strofa introduttiva è detta "ritornello" o "ripresa". Alla ripresa segue generalmente una sola stanza (oppure due o tre: ballata replicata), divisa in due "piedi" e una "volta".
IPALLAGE. Dal greco hypallagé, che significa "scambio, commutazione". Figura retorica consistente nello scambio del normale rapporto sintattico o semantico fra due parole. In pratica si attribuisce a una parola ciò che, nella stessa frase, andrebbe attribuito ad un'altra parola. Ad es.: "Il magro profilo del suo volto". In Montale: "e gli alberi discorrono col trito / mormorio della rena".
IPERBOLE. Dal greco hyperbàllo (= "lancio oltre"). Figura retorica consistente nell'esagerare (amplificandolo o riducendolo) l'espressione di un concetto. Ad es.: "È un secolo che non lo vedo"; "Scendo tra un minuto"; "Sono in un mare di guai"; "Mi piace da morire"; "Non ha un briciolo di cervello". A livello letterario: "Lo scudo in mezzo alla donzella colse: / ma parve urtasse un monte di metallo" (Ariosto). Dalla storia, il detto proverbiale di Carlo V: "Sui miei dominii non tramonta mai il sole
CESURA. Pausa ritmica all'interno del verso, in corrispondenza dell'accento ritmico più importante dopo quello fisso alla fine del verso (cioè sulla penultima posizione). La cesura ha un particolare rilievo nell'endecasillabo, dove il verso risulta diviso in due parti dette emistichi.
ONOMATOPEA. Dal greco onomatopoiìa = "formazione di parole". Riproduzione linguistica di suoni o rumori esistenti in natura. Ad es. in Pascoli: "un breve gre-gre di ranelle"; verso in cui si rileva anche un'allitterazione in r. Fenomeno diffuso anche nella lingua quotidiana: "tic-tac", "din-don".
OSSIMORO. Dal greco oxýmoron, composto da oxýs (= "acuto") e moròs (= "ottuso, stolto"). Figura retorica consistente nell'accostamento di due termini i cui significati sembrano escludersi a vicenda. Ad es. in Giusti: "Sentia nel canto la dolcezza amara". O in Rebora: "Sinistro rumor di silenzio".
OTTONARIO. Verso di otto sillabe metriche o posizioni, molto usato ad esempio nelle canzoni a ballo quattrocentesche e nella canzonetta del Sei-Settecento.
PARONOMASIA. Figura morfologica consistente nell'avvicinare in un breve spazio sintattico due o più parole fonicamente simili ma dal significato diverso. Ad es. in Dante: "ch'i' fui per ritornar più volte volto"; oppure in Montale: "Trema un ricordo nel ricolmo secchio".
PERSONIFICAZIONE. Figura retorica consistente nel rappresentare un concetto o un oggetto come se fosse un essere animato. Ad es. in Leopardi, che si rivolge così alla luna: "Che fai tu, luna, in ciel? dimmi, che fai, / silenziosa luna?". La tendenza alla personificazione, spesso inconscia, è rintracciabile anche nel linguaggio comune. Ad es.: "Quest'inverno il sole non ha proprio voglia di farsi vedere".
D - F
DIALEFE. Dal greco dialeìpho (= "separo"). Figura metrica consistente nel tenere distinte, in due diverse posizioni, due vocali contigue ma appartenenti a due parole diverse. Ad es. in Cavalcanti: "Di ciascuna vertù - alta e gentile". Non c'è una regola precisa per l'applicazione della dialefe, ma in genere si tende a rispettarla in casi come quello citato (cioè quando si incontrano due vocali entrambe toniche).
DIERESI. Dal greco diairéo (= "disgiungo, separo"). Figura metrica consistente nel tenere distinte in due diverse posizioni due vocali contigue in corpo di parola. Ad es. in Foscolo: "Forse perché della fatal quï-ete". O in Leopardi: "Un mazzolin di rose e di vï-ole". Non vi sono regole veramente fisse per la sua applicazione; è comunque obbligatoria in due casi: 1) alla fine del verso; 2) quando una vocale aspra (a, e, o) è seguita da una qualunque vocale tonica.
DISTICO. La strofa più piccola, composta da soli due versi.
EMISTICHIO. Ciascuna delle due parti in cui un verso risulta diviso dalla cesura. Ad es. in Leopardi: "Sempre caro mi fu - quest'ermo colle"; o in Dante: "Lo giorno se n'andava - e l'aere bruno", dove peraltro notiamo che fra i due emistichi vi è sinalefe.
ENDECASILLABO. È il verso più armonioso e vario della poesia italiana, composto da undici sillabe metriche o posizioni. A parte l'ultimo (ch'è sempre sulla penultima sillaba), ha gli altri accenti in posizione libera, anche se i più ricorrenti cadono sulla sesta (ad es. in Leopardi: "Sempre caro mi fu' quest'ermo colle") oppure sulla quarta sillaba (ad es. in Dante: "Zefiro do'lce le novelle fronde"). Si distingue in endecasillabo "a maiore", se il primo emistichio è un settenario, e "a minore" se è un quinario. Un endecasillabo a maiore è il leopardiano "Vaghe stelle dell'Orsa, - io non credea", con sinalefe tra i due emistichi; un esempio a minore è ancora il leopardiano "Questa mia vita dolorosa e nuda". Vi sono però numerose varianti.
ENFASI. Figura retorica che consiste nel mettere in particolare rilievo un termine o una frase. Ad es.: "Lui, lui sa quello che voglio dire!". Il Lausberg ha notato come, soprattutto per l'oratore e per l'attore, l'enfasi semantica si identifica con "un aumento di intensità della voce (e dei gesti)" nel momento in cui si vuole sottolineare una parola o un concetto.
ENJAMBEMENT. Separazione metrica, tra la fine di un verso e l'inizio di quello successivo, di due elementi sintatticamente legati (sintagma). Ad es. in Leopardi: "Ma sedendo e mirando, interminati / spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi...". Qualcuno usa il termine "inarcatura" (ad es. Fubini) o "spezzatura" (ad es. Di Girolamo), ma il termine francese è quello più accettato.
FIGURE METRICHE. Fenomeni sillabici, tipici della poesia, che non comportano alterazioni grafiche, ma solo una diversa modalità di lettura, ai fini del computo sillabico del verso. Sono la sineresi, la sinalefe, la dieresi e la dialefe (vedi alle singole voci).
FIGURE RETORICHE. Particolari forme espressive della lingua, fondamentali in letteratura (e soprattutto in poesia), ma frequenti anche nella lingua comune. Vengono usate per dare maggiore incisività e una più profonda carica al senso complessivo del messaggio. Si distinguono tradizionalmente in figure di parola (o del significante) e figure di pensiero (o del significato).
METAFORA. Dal greco metaphéro, composto da metà (= "oltre, al di là") e phéro (= "porto").
Figura retorica consistente nel trasferire una parola dall'oggetto a cui normalmente la si riferisce ad un altro oggetto, mediante un paragone sottinteso. Così, dicendo: "Tizio è un coniglio", intendiamo dire che è pavido come un coniglio. Dicendo: "L'infanzia è l'alba della vita", intendiamo dire che è l'inizio della vita, come l'alba lo è del giorno. Possiamo quindi dire che la metafora è una similitudine abbreviata, cioè sottratta dell'avverbio di paragone.
Occorre sottolineare che nei testi letterari di grande valore la pretesa di trovare un'espressione letterale corrispondente a quella metaforica è illusoria. Ad es., quando Leopardi scrive nel Passero solitario: "Primavera d'intorno / brilla nell'aria...", ci dà un'immagine insostituibile. Il verbo "brillare", che il poeta usa appunto in senso metaforico, non ha nessun possibile sostituto letterale perché la figura non è limitata al predicato, ma si proietta sul suo soggetto. È dunque la primavera ad essere vista metaforicamente. Perciò questa metafora leopardiana si può parafrasare, si può spiegare e commentare, ma non si può assolutamente convertire in un'espressione propria, cioè non figurata.
Oltre che con la metafora, uno spostamento di significato si attua anche con la metonimia e la sinèddoche.
METONIMIA. Dal greco metonymìa = "scambio di nome". Figura retorica consistente, come la metafora, nella possibilità di sostituire una parola con un'altra; ma la sostituzione metonimica avviene tra parole appartenenti allo stesso campo semantico (a differenza della sostituzione metaforica, che è più libera e tiene conto di somiglianze anche vaghe), e si basa fondamentalmente su un rapporto di contiguità logica fra le parole scambiate.
Si hanno vari casi di sostituzioni metonimiche, tra cui le più frequenti sono:
1. il contenente per il contenuto ("Bevo un bicchiere"; cioè il suo contenuto);
2. la causa per l'effetto ("Ha una bella mano"; cioè una bella scrittura);
3. l'effetto per la causa ("Una valle di lacrime"; cioè "un luogo di sofferenza"):
4. l'astratto per il concreto ("Le prepotenze della nobiltà"; cioè dei nobili);
5. il concreto per l'astratto ("È un uomo di buon cuore"; cioè di buoni sentimenti);
6. l'autore per l'opera ("Oggi leggiamo Montale"; cioè una sua poesia);
7. la regione o la città per gli abitanti ("La rivolta di Parigi"; cioè dei parigini);
8. la località di produzione per il prodotto ("Ho bevuto un buon Chianti").
METRICA. Termine che indica lo studio dei fenomeni che riguardano la versificazione, cioè le strutture formali specifiche del verso nella poesia (misura dei versi, figure metriche, cesura, ritmo, rime, strofe, ecc.).
SIMILITUDINE. Figura retorica fondamentale, da cui tradizionalmente deriva per abbreviazione la metafora. Consiste nell'esprimere un'idea mediante il suo accostamento a un'altra idea che abbia con la prima un rapporto di somiglianza esplicitamente descritto. Ad es. in Pascoli: "quando partisti, come son rimasta! / come l'aratro in mezzo alla maggese".
SINALEFE. Figura metrica consistente nella fusione in una posizione della vocale finale di una parola con la vocale iniziale della parola successiva, all'interno dello stesso verso. Ad es. in Leopardi: "dolce-e chiara-è la notte-e senza vento".
SINEDDOCHE. Figura retorica affine alla metonimia, dalla quale si distingue perché il rapporto fra il termine impiegato e quello sostituito non è di tipo qualitativo (logico) ma quantitativo. Si ha dunque sinèddoche quando si usa:
1. il tutto per la parte (ad es.: "scarpe di vitello" per "pelle di vitello"); 2. la parte per il tutto (ad es.: "son rimasti senza tetto" per "senza casa").
SINERESI. Figura metrica consistente nella fusione di due vocali grammaticalmente distinte (cioè in iato) in corpo di parola. Ad es. in Leopardi: "ed erra l'armonia per questa valle", dove -ia di "armonia" è grammaticalmente uno iato e andrebbe pertanto distinto, ma rientra nella stessa posizione. La sinèresi è di solito proibita in due casi: 1) alla fine del verso; 2) quando una vocale aspra (a, e, o) è seguita da una qualunque vocale accentata (vedi dieresi).
SINESTESIA. Dal greco synàisthesis = "percezione simultanea". Figura retorica consistente nell'accostamento di due termini relativi a sfere sensoriali diverse. Ad es. in Dante: "I' venni in luogo d'ogni luce muto" (dove luce riguarda la vista, e muto l'udito); oppure in Quasimodo: "... all'urlo nero / della madre" (dove urlo riguarda l'udito, e nero la vista).
ZEUGMA. Figura grammaticale consistente nel far dipendere da un solo verbo più termini o espressioni che richiederebbero ciascuno un verbo proprio. Ad es. in Dante: "parlare e lagrimar vedrai insieme" (dove vedrai si adatta in realtà soltanto a lagrimar); oppure in Leopardi: "Porgea gli orecchi al suon della tua voce / ed alla man veloce / che percorrea la faticosa tela" (in cui ovviamente la man veloce non può produrre sulla tela un gran frastuono).
fonte:http://www.giuseppecirigliano.it/poesiaglossario.html
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