Aiuto... perfavore...!!!?
Sapete mica elencarmi i motivi dell'urbanizzazione avvenuta in Europa nell' XI secolo???
Sapete dirmi le differenze tra i modelli di sviluppo dell'urbanizzazione nelle diverse aree europee???
Anche se sapete una sola delle risposte... perfavore aiutatemi...
Grazie 1000 in anticipo!!!!!!!!!!!!!!!!!!
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Risposte
Leggi un pò questo testo:
La città nella storia
Se l’importanza della funzione culturale operata dal milieu urbano è rimasta pressochè invariata nel corso dei secoli, così non è stato per lo sviluppo della città: ne è testimonianza tangibile il suo stesso aspetto. Girando per una città, similmente ai geologi, possiamo infatti osservare come questa sia composta da varie ‘stratificazioni’ risalenti a epoche diverse. A volte è facile distinguere il centro storico, con i suoi bastioni medioevali e i suoi antichi palazzi, dalla sterminata periferia di anonimi condomini, sorta negli anni Sessanta e Settanta. Altre volte, invece, come più spesso capita, questa ‘stratificazione’ non avviene per ‘fasce’ o per zone precise e ben discernibili tra loro, ma, al contrario, ha luogo in modo molto più frammentario, per cui troviamo ville in stile liberty, testimoni della tipica ricerca estetica di inizio secolo, circondate da freddi palazzi in cemento, spesso indistinguibili tra loro. Gli stucchi e i fregi delle prime e le linee rette degli altri vengono poi affiancate da nuove forme, quelle delle villette progettate negli anni Novanta che, se da una parte non rinunciano alla fredda precisione delle geometrie moderne, dall’altra cercano di mascherarle con particolari un po’ retrò (come lampioncini e ringhiere in ferro battuto), con varie decorazioni ‘saccheggiate’ ai più disparati stili architettonici, con l’utilizzo di materiali simil-mattone e vetrate a specchio.
Quella urbana è dunque una realtà estremamente complessa, per cui, secondo Knox e Marston (1998), “è molto importante inserire lo studio geografico delle città in un contesto storico. Dopotutto le città del mondo sono il prodotto di un lungo periodo di sviluppo. Possiamo capire una città, antica o recente, solo se conosciamo qualcosa circa le ragioni che stanno dietro al suo sviluppo, circa il suo tasso di crescita e i processi che hanno contribuito a tale sviluppo”.
Diacronicamente parlando, il fenomeno urbano affonda le sue radici in tempi remoti. Pensiamo, infatti, alle testimonianze mesopotamiche ed egiziane risalenti al 3500 a.C., alle antichissime città della Valle dell’Indo (2500 a.C.), e ancora a quelle del Nord della Cina (1800 a.C.). Secondo Knox e Marston (1998), “in termini generici, le prime forme di urbanizzazione si sono sviluppate indipendentemente nei vari punti della Terra in cui era avvenuta la prima rivoluzione agricola”.
A partire dall’ VIII secolo a.C., si sviluppa la civiltà greca e con essa la poliV ateniese, ossia la città-stato per antonomasia. “In essa troviamo le sedi degli organi di governo (rappresentativi e di democrazia diretta), il luogo delle attività economiche e di scambio (agorà), l’acropoli con gli edifici religiosi, il sistema delle difese con le ‘Lunghe Mura’ che raggiungevano il porto. Il territorio di riferimento di Atene è la sua regione, cioè l’Attica; la città-stato è tale appunto perché, come struttura di governo, assorbe di fatto il territorio di riferimento. ‘Ateniesi’ sono tutti gli abitanti dell’Attica che si riconoscono nel governo di Atene. La polis può anche non esistere come struttura fisica. Sparta, che appare ancora più monolitica di Atene come organismo politico, non esiste come città. Ancora sul finire del V secolo a.C., come ricorda lo storico Tucidide, non aveva mura, non aveva edifici emergenti, non aveva compattezza urbana perché le case degli Spartani erano sparse per la regione di riferimento (la Laconia). Eppure a questa ‘non-città’ Licurgo aveva dato una costituzione di ferro e una struttura sociopolitica compatta e immodificabile” (Pierotti 1998).
Questo tipo di sistema urbano, perpetuato in seguito anche dai Romani, vedrà il suo declino nel Medioevo, lasciando il posto a una nuova tipologia di città, quella feudale: “Durante questo periodo, il feudalismo diede vita a un frammentario paesaggio di imperi inflessibili e chiusi in se stessi. Il feudalesimo era una forma di organizzazione economica e sociale rigida orientata ruralmente e basata su potentati comunali di tribù germaniche che avevano invaso l’Impero Romano che si andava disintegrando. Da questo incerto inizio, comunque, si sviluppò un elaborato sistema urbano, i cui maggiori centri sarebbero poi divenuti i nodi di un sistema mondiale globale. L’Europa dell’Alto Medioevo, divisa in un’accozzaglia di regni e proprietà feudali, era per lo più agricola. Ogni feudo era più o meno autosufficiente in termini di approvvigionamenti alimentari, e ogni regno o principato era più o meno autosufficiente per quel che concerneva le materie prime necessarie per fabbricare semplici prodotti. La maggior parte delle regioni, comunque, sosteneva un certo numero di piccole città. L’esistenza di queste città era legata al loro ruolo di:
- Centri ecclesiastici o universitari, come St. Andrews in Scozia; Canterbury, Cambridge e Coventry in Inghilterra; Rheims e Chartres in Francia; Liegi in Belgio; Brema in Germania; Trondheim in Norvegia; e Lund in Svezia.
- Roccaforti, di cui molte città collinari dell’Italia centrale sono un esempio: pensiamo a Urbino, Foligno e Montecompatri e alle città fortificate della Francia sud-occidentale, come Aigues Mortes e Montauban.
- Centri amministrativi per gli strati superiori della gerarchia feudale, come Colonia, Mainz, Magdeburgo in Germania; Falkland in Scozia; Winchester in Inghilterra; e Tolosa in Francia.
Dall’XI secolo in poi, comunque, il sistema feudale cominciò a vacillare e a disintegrarsi con le successive crisi demografiche, economiche e politiche, causate da uno stabile incremento della popolazione, accompagnato da modesti miglioramenti tecnologici e limitate estensioni di terra coltivabile. Per mantenere gli introiti e schierare gli eserciti gli uni contro gli altri, la nobiltà feudale iniziò ad aumentare le tasse. I contadini furono di conseguenza costretti a vendere la maggior parte dei loro prodotti sul mercato, con il risultato che si sviluppò una più vasta economia monetaria, insieme al modello di commercio di prodotti agricoli primari e manufatti. Cominciò a svilupparsi anche un certo tipo di commercio a lunga distanza di beni di lusso, come spezie, pelli, sete, frutta e vino. Le città iniziarono a crescere di dimensione e vitalità, sulla base di questo commercio. Le specializzazioni regionali e i modelli di commercio che emersero fornirono le basi per una nuova fase dell’urbanizzazione, basata sul capitalismo mercantile” (Knox e Marston 1998, pp. 412-5).
Tra il XV e il XVII secolo assistiamo a una serie di cambiamenti che interessano le città non solo d’Europa, ma di tutto il mondo. Con lo sviluppo coloniale d’Oltremare, assistiamo infatti all’estensione del sistema urbano di matrice europea ad altri continenti. Nascono così le prime città coloniali di strategica importanza per il commercio: “l’aspetto più importante dell’urbanizzazione in questo periodo fu la fondazione di ‘città-gateway’ in tutto il mondo. Esse servivano da collegamento tra un Paese o una regione e altre, per via della loro posizione fisica. Costituivano i centri di controllo che regolavano le entrate e le uscite dal loro specifico Paese o dalla loro specifica regione. Le potenze coloniali europee fondarono migliaia di queste città, con l’espansione delle loro reti commerciali e delle loro colonie. La maggior parte di queste città erano porti. Protette dalle fortificazioni e dalle potenti flotte europee, iniziarono come posti di commercio e centri amministrativi coloniali. (…) I porti di queste città furono presto invasi da ondate di coloni europei. Rio de Janeiro (Brasile) dovette la sua crescita alle miniere d’oro; Accra (Ghana) al cacao; Buenos Aires (Argentina) alla carne di montone, alla lana e ai cereali; Calcutta (India) al cotone e ai tessuti; Sao Paulo (Brasile) al caffè; e così via” (Knox e Marston 1998). Allo stesso tempo, sulla scia del progresso tecnologico e delle nuove possibilità tecniche, assistiamo pure a una nuova concezione di città, sempre più ‘teorizzata’ e sbalorditiva, ora per la sua funzionalità, ora per la sua magnificenza, ma in entrambe i casi sempre specchio dell’egoismòs di principi, re e cardinali: “Un’idea forte piace ai governi forti. Cosimo I de’ Medici intese pienamente il significato del messaggio che Filarete gli mandava e se ne avvalse per costruire il suo prototipo di città fortificata: Portoferraio (1547). (…) Riuscì a fortificare la città elbana in poco più di un mese: quanto bastava però perché la flotta francese, mossasi per impulso dei franchi che gli erano ostili, si trovasse di fronte ai bastioni già funzionanti quando raggiunse l’isola. Egli la chiamò Cosmopolis, con un’ambiguità voluta (‘città del kosmos’ o ‘città di cosmus’) e la propagandò in Europa come modello di città e fortezza insieme. (…) L’Europa gli rispose. Non ci fu monarca che si sottraesse all’idea di progettare nuove città fortificate o di rifortificare le città esistenti. (…) Nel giro di due secoli, per effetto di questi interventi l’intera geografia europea ne uscì ridisegnata. (…) In alcuni casi la città stessa ha il compito di rappresentare le ambizioni del fondatore. Possiamo ricordare Richelieu, fatta costruire nel 1630-40 dal cardinale omonimo presso il preesistente castello di famiglia. Convinto (a ragione) di essere più potente del re, il cardinale chiamò l’architetto reale Nicolas Lemercier e gli fece costruire una città completa di tutte le funzioni urbane, con l’intento di organizzarvi le riunioni di governo. In questo non riuscì e la città rimase testimonianza materiale della sua presunzione. Gli fece però eco poco dopo (1661) Luigi XIV, monarca assoluto di forte tempra, che edificò poco distante da Parigi la città regia di Versailles: nell’architettura, nei giardini, negli arredi, nello sfarzo dei costumi essa fu immagine effettiva del lusso e delle capacità di spreco della corte francese” (Pierotti 1998, pp. 30-1).
Sia nella città medioevale che in quella rinascimentale possiamo distinguere un centro storico (spesso di grande valore artistico) attorno al quale in epoca successiva al Rinascimento si è sviluppata una periferia più povera, abitata dalle classi sociali più basse. “Ma con la rivoluzione industriale (iniziata in Gran Bretagna alla fine del secolo XVIII) le modalità dello sviluppo della struttura urbana si sono modificate rapidamente. Ovviamente non tutte le città europee hanno avuto una evoluzione dell’attività produttiva secondo le nuove linee consentite dalla tecnologia industriale, ma quelle di esse che si trovavano in una posizione particolarmente favorevole, o che erano situate in vicinanza di risorse minerarie consistenti, hanno assunto caratteristiche del tutto nuove in tempi molto brevi. La risorsa mineraria che più ha contribuito a questo fenomeno, nel secolo scorso, è stato il carbone, che, essenziale allo sviluppo della siderurgia e trasportabile solo a costi elevati, ha attirato gli opifici nelle aree minerarie: Essen, all’inizio dell’Ottocento era un piccolo villaggio noto per un convento di carmelitane, sul fiume Ruhrort, affluente del Reno, ma in pochi decenni, quando nel suo sottosuolo venne scoperto uno dei giacimenti carboniferi più ricchi d’Europa, divenne una delle città più importanti per l’industria carbosiderurgica d’Europa. La forma della città industriale è sostanzialmente differente da quella della città medioevale e rinascimentale: in essa il nucleo centrale di sviluppo è stata la fabbrica, e attorno ad essa, molto compatti (gli operai non possedevano mezzi individuali di trasporto) sorgevano i quartieri operai, monotoni, poveri e privi di qualsiasi attrattiva e comfort. Soprattutto nel periodo vittoriano, in Gran Bretagna, i quartieri operai (slum), risultato di un capitalismo gretto e incolto, hanno rappresentato un esempio veramente degradante di edilizia socialmente arretrata e sono stati il focolaio di un diffuso disagio sociale e morale. Successivamente, la diffusione dei mezzi di trasporto collettivo (tramvai) e delle ferrovie periurbane ha permesso alla fine del secolo scorso uno sviluppo dell’edilizia borghese e operaia anche lungo nuovi assi viari, con allargamento della struttura urbana a tentacoli nella campagna circostante (ribbon development) e la conquista dei vecchi villaggi rurali, che si sono trovati così inseriti nella città. Più tardi ancora, con l’ulteriore miglioramento dei servizi pubblici, la fascia di espansione della città si è ulteriormente compattata, dando luogo alla formazione di nuove aree periferiche, dotate di quartieri residenziali di vario livello sociale. La crescita urbana ha avuto un impulso molto netto, in Europa, all’inizio del XX secolo, quando buona parte delle vecchie città storiche hanno visto i nuovi quartieri di espansione uscire dalle vecchie cinte murarie (che per gran parte dei casi sono state abbattute perché ‘ingombranti’) e invadere la campagna, e, soprattutto, dopo gli anni Venti, quando hanno cominciato a essere sempre più diffusi i mezzi di trasporto individuali.
Nella seconda metà del nostro secolo l’allargamento dello spazio edificato è sembrato non avere più limiti di crescita, ma in sostanza il modello dominante che ne è derivato, almeno per la moltitudine delle città di medie piccole dimensioni delle regioni europee, è costituto da: a) un centro storico ricco di pregi artistici e ambientali, oggi difficile da gestire e sempre più alle prese con il fenomeno del traffico urbano (chi costruiva le strade nel Medioevo o nel Rinascimento non pensava certamente alla circolazione delle auto!); b) un anello periferico ottocentesco con quartieri di povera qualità, scarsità di servizi e con vecchie aree industriali ormai inservibili e dimesse e da recuperare in qualche modo; c) la nuova periferia residenziale, di qualità pregiata ma spesso priva di servizi adeguati. La gestione di queste tre differenti aree, ciascuna con i suoi particolari problemi, non è stata facile per l’urbanista e per l’amministratore degli ultimi decenni e, per lo più, non è stata ancora risolta in modo corretto. Al di fuori della nuova periferia, a distanza ravvicinata dalla struttura urbana, si sono sviluppati autonomamente, o approfittando come nuclei di sviluppo dei piccoli centri agricoli ormai deruralizzati, nuovi quartieri residenziali di modello urbano come tipo di edilizia e come disposizione professionale della popolazione” (Barbina 2001, pp. 158-161).
estratto dal sito: http://www.univirtual.it/corsi/fino2001_I/minca/m05/05_02.htm
La città nella storia
Se l’importanza della funzione culturale operata dal milieu urbano è rimasta pressochè invariata nel corso dei secoli, così non è stato per lo sviluppo della città: ne è testimonianza tangibile il suo stesso aspetto. Girando per una città, similmente ai geologi, possiamo infatti osservare come questa sia composta da varie ‘stratificazioni’ risalenti a epoche diverse. A volte è facile distinguere il centro storico, con i suoi bastioni medioevali e i suoi antichi palazzi, dalla sterminata periferia di anonimi condomini, sorta negli anni Sessanta e Settanta. Altre volte, invece, come più spesso capita, questa ‘stratificazione’ non avviene per ‘fasce’ o per zone precise e ben discernibili tra loro, ma, al contrario, ha luogo in modo molto più frammentario, per cui troviamo ville in stile liberty, testimoni della tipica ricerca estetica di inizio secolo, circondate da freddi palazzi in cemento, spesso indistinguibili tra loro. Gli stucchi e i fregi delle prime e le linee rette degli altri vengono poi affiancate da nuove forme, quelle delle villette progettate negli anni Novanta che, se da una parte non rinunciano alla fredda precisione delle geometrie moderne, dall’altra cercano di mascherarle con particolari un po’ retrò (come lampioncini e ringhiere in ferro battuto), con varie decorazioni ‘saccheggiate’ ai più disparati stili architettonici, con l’utilizzo di materiali simil-mattone e vetrate a specchio.
Quella urbana è dunque una realtà estremamente complessa, per cui, secondo Knox e Marston (1998), “è molto importante inserire lo studio geografico delle città in un contesto storico. Dopotutto le città del mondo sono il prodotto di un lungo periodo di sviluppo. Possiamo capire una città, antica o recente, solo se conosciamo qualcosa circa le ragioni che stanno dietro al suo sviluppo, circa il suo tasso di crescita e i processi che hanno contribuito a tale sviluppo”.
Diacronicamente parlando, il fenomeno urbano affonda le sue radici in tempi remoti. Pensiamo, infatti, alle testimonianze mesopotamiche ed egiziane risalenti al 3500 a.C., alle antichissime città della Valle dell’Indo (2500 a.C.), e ancora a quelle del Nord della Cina (1800 a.C.). Secondo Knox e Marston (1998), “in termini generici, le prime forme di urbanizzazione si sono sviluppate indipendentemente nei vari punti della Terra in cui era avvenuta la prima rivoluzione agricola”.
A partire dall’ VIII secolo a.C., si sviluppa la civiltà greca e con essa la poliV ateniese, ossia la città-stato per antonomasia. “In essa troviamo le sedi degli organi di governo (rappresentativi e di democrazia diretta), il luogo delle attività economiche e di scambio (agorà), l’acropoli con gli edifici religiosi, il sistema delle difese con le ‘Lunghe Mura’ che raggiungevano il porto. Il territorio di riferimento di Atene è la sua regione, cioè l’Attica; la città-stato è tale appunto perché, come struttura di governo, assorbe di fatto il territorio di riferimento. ‘Ateniesi’ sono tutti gli abitanti dell’Attica che si riconoscono nel governo di Atene. La polis può anche non esistere come struttura fisica. Sparta, che appare ancora più monolitica di Atene come organismo politico, non esiste come città. Ancora sul finire del V secolo a.C., come ricorda lo storico Tucidide, non aveva mura, non aveva edifici emergenti, non aveva compattezza urbana perché le case degli Spartani erano sparse per la regione di riferimento (la Laconia). Eppure a questa ‘non-città’ Licurgo aveva dato una costituzione di ferro e una struttura sociopolitica compatta e immodificabile” (Pierotti 1998).
Questo tipo di sistema urbano, perpetuato in seguito anche dai Romani, vedrà il suo declino nel Medioevo, lasciando il posto a una nuova tipologia di città, quella feudale: “Durante questo periodo, il feudalismo diede vita a un frammentario paesaggio di imperi inflessibili e chiusi in se stessi. Il feudalesimo era una forma di organizzazione economica e sociale rigida orientata ruralmente e basata su potentati comunali di tribù germaniche che avevano invaso l’Impero Romano che si andava disintegrando. Da questo incerto inizio, comunque, si sviluppò un elaborato sistema urbano, i cui maggiori centri sarebbero poi divenuti i nodi di un sistema mondiale globale. L’Europa dell’Alto Medioevo, divisa in un’accozzaglia di regni e proprietà feudali, era per lo più agricola. Ogni feudo era più o meno autosufficiente in termini di approvvigionamenti alimentari, e ogni regno o principato era più o meno autosufficiente per quel che concerneva le materie prime necessarie per fabbricare semplici prodotti. La maggior parte delle regioni, comunque, sosteneva un certo numero di piccole città. L’esistenza di queste città era legata al loro ruolo di:
- Centri ecclesiastici o universitari, come St. Andrews in Scozia; Canterbury, Cambridge e Coventry in Inghilterra; Rheims e Chartres in Francia; Liegi in Belgio; Brema in Germania; Trondheim in Norvegia; e Lund in Svezia.
- Roccaforti, di cui molte città collinari dell’Italia centrale sono un esempio: pensiamo a Urbino, Foligno e Montecompatri e alle città fortificate della Francia sud-occidentale, come Aigues Mortes e Montauban.
- Centri amministrativi per gli strati superiori della gerarchia feudale, come Colonia, Mainz, Magdeburgo in Germania; Falkland in Scozia; Winchester in Inghilterra; e Tolosa in Francia.
Dall’XI secolo in poi, comunque, il sistema feudale cominciò a vacillare e a disintegrarsi con le successive crisi demografiche, economiche e politiche, causate da uno stabile incremento della popolazione, accompagnato da modesti miglioramenti tecnologici e limitate estensioni di terra coltivabile. Per mantenere gli introiti e schierare gli eserciti gli uni contro gli altri, la nobiltà feudale iniziò ad aumentare le tasse. I contadini furono di conseguenza costretti a vendere la maggior parte dei loro prodotti sul mercato, con il risultato che si sviluppò una più vasta economia monetaria, insieme al modello di commercio di prodotti agricoli primari e manufatti. Cominciò a svilupparsi anche un certo tipo di commercio a lunga distanza di beni di lusso, come spezie, pelli, sete, frutta e vino. Le città iniziarono a crescere di dimensione e vitalità, sulla base di questo commercio. Le specializzazioni regionali e i modelli di commercio che emersero fornirono le basi per una nuova fase dell’urbanizzazione, basata sul capitalismo mercantile” (Knox e Marston 1998, pp. 412-5).
Tra il XV e il XVII secolo assistiamo a una serie di cambiamenti che interessano le città non solo d’Europa, ma di tutto il mondo. Con lo sviluppo coloniale d’Oltremare, assistiamo infatti all’estensione del sistema urbano di matrice europea ad altri continenti. Nascono così le prime città coloniali di strategica importanza per il commercio: “l’aspetto più importante dell’urbanizzazione in questo periodo fu la fondazione di ‘città-gateway’ in tutto il mondo. Esse servivano da collegamento tra un Paese o una regione e altre, per via della loro posizione fisica. Costituivano i centri di controllo che regolavano le entrate e le uscite dal loro specifico Paese o dalla loro specifica regione. Le potenze coloniali europee fondarono migliaia di queste città, con l’espansione delle loro reti commerciali e delle loro colonie. La maggior parte di queste città erano porti. Protette dalle fortificazioni e dalle potenti flotte europee, iniziarono come posti di commercio e centri amministrativi coloniali. (…) I porti di queste città furono presto invasi da ondate di coloni europei. Rio de Janeiro (Brasile) dovette la sua crescita alle miniere d’oro; Accra (Ghana) al cacao; Buenos Aires (Argentina) alla carne di montone, alla lana e ai cereali; Calcutta (India) al cotone e ai tessuti; Sao Paulo (Brasile) al caffè; e così via” (Knox e Marston 1998). Allo stesso tempo, sulla scia del progresso tecnologico e delle nuove possibilità tecniche, assistiamo pure a una nuova concezione di città, sempre più ‘teorizzata’ e sbalorditiva, ora per la sua funzionalità, ora per la sua magnificenza, ma in entrambe i casi sempre specchio dell’egoismòs di principi, re e cardinali: “Un’idea forte piace ai governi forti. Cosimo I de’ Medici intese pienamente il significato del messaggio che Filarete gli mandava e se ne avvalse per costruire il suo prototipo di città fortificata: Portoferraio (1547). (…) Riuscì a fortificare la città elbana in poco più di un mese: quanto bastava però perché la flotta francese, mossasi per impulso dei franchi che gli erano ostili, si trovasse di fronte ai bastioni già funzionanti quando raggiunse l’isola. Egli la chiamò Cosmopolis, con un’ambiguità voluta (‘città del kosmos’ o ‘città di cosmus’) e la propagandò in Europa come modello di città e fortezza insieme. (…) L’Europa gli rispose. Non ci fu monarca che si sottraesse all’idea di progettare nuove città fortificate o di rifortificare le città esistenti. (…) Nel giro di due secoli, per effetto di questi interventi l’intera geografia europea ne uscì ridisegnata. (…) In alcuni casi la città stessa ha il compito di rappresentare le ambizioni del fondatore. Possiamo ricordare Richelieu, fatta costruire nel 1630-40 dal cardinale omonimo presso il preesistente castello di famiglia. Convinto (a ragione) di essere più potente del re, il cardinale chiamò l’architetto reale Nicolas Lemercier e gli fece costruire una città completa di tutte le funzioni urbane, con l’intento di organizzarvi le riunioni di governo. In questo non riuscì e la città rimase testimonianza materiale della sua presunzione. Gli fece però eco poco dopo (1661) Luigi XIV, monarca assoluto di forte tempra, che edificò poco distante da Parigi la città regia di Versailles: nell’architettura, nei giardini, negli arredi, nello sfarzo dei costumi essa fu immagine effettiva del lusso e delle capacità di spreco della corte francese” (Pierotti 1998, pp. 30-1).
Sia nella città medioevale che in quella rinascimentale possiamo distinguere un centro storico (spesso di grande valore artistico) attorno al quale in epoca successiva al Rinascimento si è sviluppata una periferia più povera, abitata dalle classi sociali più basse. “Ma con la rivoluzione industriale (iniziata in Gran Bretagna alla fine del secolo XVIII) le modalità dello sviluppo della struttura urbana si sono modificate rapidamente. Ovviamente non tutte le città europee hanno avuto una evoluzione dell’attività produttiva secondo le nuove linee consentite dalla tecnologia industriale, ma quelle di esse che si trovavano in una posizione particolarmente favorevole, o che erano situate in vicinanza di risorse minerarie consistenti, hanno assunto caratteristiche del tutto nuove in tempi molto brevi. La risorsa mineraria che più ha contribuito a questo fenomeno, nel secolo scorso, è stato il carbone, che, essenziale allo sviluppo della siderurgia e trasportabile solo a costi elevati, ha attirato gli opifici nelle aree minerarie: Essen, all’inizio dell’Ottocento era un piccolo villaggio noto per un convento di carmelitane, sul fiume Ruhrort, affluente del Reno, ma in pochi decenni, quando nel suo sottosuolo venne scoperto uno dei giacimenti carboniferi più ricchi d’Europa, divenne una delle città più importanti per l’industria carbosiderurgica d’Europa. La forma della città industriale è sostanzialmente differente da quella della città medioevale e rinascimentale: in essa il nucleo centrale di sviluppo è stata la fabbrica, e attorno ad essa, molto compatti (gli operai non possedevano mezzi individuali di trasporto) sorgevano i quartieri operai, monotoni, poveri e privi di qualsiasi attrattiva e comfort. Soprattutto nel periodo vittoriano, in Gran Bretagna, i quartieri operai (slum), risultato di un capitalismo gretto e incolto, hanno rappresentato un esempio veramente degradante di edilizia socialmente arretrata e sono stati il focolaio di un diffuso disagio sociale e morale. Successivamente, la diffusione dei mezzi di trasporto collettivo (tramvai) e delle ferrovie periurbane ha permesso alla fine del secolo scorso uno sviluppo dell’edilizia borghese e operaia anche lungo nuovi assi viari, con allargamento della struttura urbana a tentacoli nella campagna circostante (ribbon development) e la conquista dei vecchi villaggi rurali, che si sono trovati così inseriti nella città. Più tardi ancora, con l’ulteriore miglioramento dei servizi pubblici, la fascia di espansione della città si è ulteriormente compattata, dando luogo alla formazione di nuove aree periferiche, dotate di quartieri residenziali di vario livello sociale. La crescita urbana ha avuto un impulso molto netto, in Europa, all’inizio del XX secolo, quando buona parte delle vecchie città storiche hanno visto i nuovi quartieri di espansione uscire dalle vecchie cinte murarie (che per gran parte dei casi sono state abbattute perché ‘ingombranti’) e invadere la campagna, e, soprattutto, dopo gli anni Venti, quando hanno cominciato a essere sempre più diffusi i mezzi di trasporto individuali.
Nella seconda metà del nostro secolo l’allargamento dello spazio edificato è sembrato non avere più limiti di crescita, ma in sostanza il modello dominante che ne è derivato, almeno per la moltitudine delle città di medie piccole dimensioni delle regioni europee, è costituto da: a) un centro storico ricco di pregi artistici e ambientali, oggi difficile da gestire e sempre più alle prese con il fenomeno del traffico urbano (chi costruiva le strade nel Medioevo o nel Rinascimento non pensava certamente alla circolazione delle auto!); b) un anello periferico ottocentesco con quartieri di povera qualità, scarsità di servizi e con vecchie aree industriali ormai inservibili e dimesse e da recuperare in qualche modo; c) la nuova periferia residenziale, di qualità pregiata ma spesso priva di servizi adeguati. La gestione di queste tre differenti aree, ciascuna con i suoi particolari problemi, non è stata facile per l’urbanista e per l’amministratore degli ultimi decenni e, per lo più, non è stata ancora risolta in modo corretto. Al di fuori della nuova periferia, a distanza ravvicinata dalla struttura urbana, si sono sviluppati autonomamente, o approfittando come nuclei di sviluppo dei piccoli centri agricoli ormai deruralizzati, nuovi quartieri residenziali di modello urbano come tipo di edilizia e come disposizione professionale della popolazione” (Barbina 2001, pp. 158-161).
estratto dal sito: http://www.univirtual.it/corsi/fino2001_I/minca/m05/05_02.htm
Se riesci a darmi qualche info sei gentilissima!!!!
Le risposte che sono state cancellate non centravno niente...
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ah ok :lol
ciaooooo!! ma ti srve ancora un aiuto??
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SONO STATE CANCELLATE LE ALTRE RISPOSTE OPPURE TI SEI RISPOSTO DA SOLO???? :!!!
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