Aiuto Dante?

skelly
Mi dite le figure retoriche che ci sn nel "ne li occhi la mia donna porta amore"??
Grazie 1000! :hi :hi

Risposte
Francy1982
Ricordati di citare la fonte, se prendi aiuti da internet

wade.97
guarda qua se trovi qualcsa in qst analisi...

Analisi del testo

Livello metrico
Sonetto con rime incrociate nelle quartine e invertite nelle terzine, secondo lo schema ABBA, ABBA, CDE, EDC. Questo schema metrico, che ricorre anche in altre rime della Vita nuova [G6b, G13b] presenta una serrata omofonia tra le rime delle quartine (qui rafforzata dal fatto che le rime in A e in B sono legate tra loro da consonanza). Nella prima terzina si succedono invece tre versi privi di rima, la cui disposizione simmetrica risalta solo dopo la lettura della seconda terzina; tra le due rime in C sono interposti ben quattro versi; l’effetto di rottura dell’omofonia è però temperato all’assonanza tra le rime in C e in E che ricalca quasi, all’interno di ogni singola terzina, uno schema di rima alternata.

Livello lessicale, sintattico e stilistico
Il sonetto è collocato subito dopo Amore e ’l cor gentil sono una cosa, rispetto a cui appare complementare. Rilevante, rispetto al testo precedente, è la rottura del rigoroso parallelismo tra ritmo e sintassi [G9]. Un unico periodo occupa i versi a cavallo tra prima e seconda quartina, imprimendo al testo un dinamismo estraneo all’impianto raziocinante e piuttosto schematico del precedente sonetto. La seconda quartina inizia con un «sì che», con cui viene accentuata la stretta dipendenza degli enunciati successivi da quelli che precedono. Il punto fermo non interviene alla fine della seconda quartina, ma dopo il settimo verso, lasciando spazio a un breve periodo orientato sul destinatario (v. 8), che fa da pausa nel discorso sugli effetti salvifici del passaggio di Beatrice. Lo stretto rapporto tra quartine e terzine è sottolineato dall’opposizione che, scavalcando appunto il v. 8, intercorre tra i vizi elencati al v. 7 («superbia e ira») e le contrapposte virtù di v. 9 («Ogne dolcezza, ogne pensero umile»); la connessione tra i vv. 7 e 9 è sottolineata dalla disposizione a chiasmo di vizi e virtù (a «superbia» si contrappone «pensero umile», mentre a «ira» si contrappone «dolcezza»); dopo l’enjambement di v. 9 il verbo «nasce», coniugato alla terza persona singolare ma riferito a una pluralità di soggetti, istituisce un nuovo rapporto con la quartina precedente (lo stesso costrutto presenta infatti il verbo «fugge» al v. 7); d’altra parte tra i due enunciati sussiste un altro chiasmo, dato che a v. 7 il verbo è prolettico rispetto al soggetto, mentre ai vv. 9-10 viene rispettato l’ordine consueto soggetto-verbo. A fronte dunque di una sintassi che tende all’asimmetria, proprio a metà del componimento la trama delle figure retoriche introduce una forza centripeta che ne sottolinea la serrata compattezza formale. Assai più lineare è la corrispondenza tra ritmo e sintassi nelle due terzine, occupate ciascuna da un periodo chiuso da un punto fermo. Qui è però lo schema metrico che, allentando come si è detto la trama delle omofonie, si incarica di evitare un eccesso di simmetria.

Livello tematico
Il rapporto di complementarità con il precedente sonetto è assai forte anche sul piano tematico. Si direbbe che, se nel sonetto Amore e ’l cor gentil sono una cosa il poeta ha voluto esprimere una concezione razionale dell’amore, costruita sul modello della canzone dottrinaria di Guinizzelli ed esclusivamente affidata alle categorie aristoteliche di potenza, atto e causa efficiente, in questo sonetto egli intenda, pur senza rinunciare a queste categorie filosofiche, concentrarsi sulla dimensione soprannaturale dell’azione della donna, capace di far nascere l’amore anche dove, secondo la dottrina esposta nella canzone-manifesto di Guinizzelli, ciò sarebbe stato impossibile. Un modello guinizzelliano è costituito ancora da Io voglio del ver la mia donna laudare [E2]). Dante però – e si può qui ripetere quanto detto a proposito di Donne ch’avete intelletto d’amore [G8b] – ha ormai approfondito la tematica della lode inquadrandola in un contesto di epifania sacra che era estraneo al primo Guido.
Ne fa fede, tra l’altro, l’uso di un termine come «miracolo» (che compare qui per la prima volta nella Vita nuova). Il «miracolo» consiste nella capacità, propria di Beatrice e di nessun’altra donna, di creare le condizioni della “gentilezza” anche là dove esse non sussistano per natura. La figura di Beatrice si presenta dunque (nella prospettiva del poeta e non più solo in quella del narratore) come dotata di attributi che sono propri di Cristo e capace di compiere azioni “miracolose” nel preciso senso che esse non sono spiegabili secondo leggi naturali. In questo contesto il poeta insiste, nella seconda terzina, sull’ineffabilità degli effetti prodotti dal sorriso di Beatrice: essi non sono dicibili e non possono neanche essere ricordati («mente», come del resto lo stesso Dante chiarisce nella “divisione” del sonetto che non abbiamo riportato, ha il consueto significato tecnico di “memoria”). Dante recupera qui temi più propriamente cavalcantiani (come l’ineffabilità della bellezza femm

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