RICERCA
MI FIGLIA DEVE FARE UNA RICERCA SU QUESTO ARGOMENTO "RITORNO DI AGAMENNONE, DIOMEDE E AIACE D'OILEO".
FREQUENTA LA QUARTA ELEMENTARE.
GRAZIE
FREQUENTA LA QUARTA ELEMENTARE.
GRAZIE
Miglior risposta
Si tratta di una ricerca che verte, evidentemente, sul tema dei "nostoi", ovvero, "dei ritorni degli eroi in patria"
Di seguito, tratti da una tesina pubblicata sul nostro sito, puoi trovare degli utili spunti di riflessione da integrare con la storia dei tre personaggi oggetto della tua ricerca, che puoi reperire agevolmente sul web
NOSTOI, i ritorni completano il viaggio
INTRODUZIONE
Per i greci i nòstoi sono i viaggi per tornare in patria dopo un'esperienza lunga e lacerante, in particolare al termine di una guerra sofferta e dolorosa. I nòstoi più famosi sono intrapresi dagli eroi greci al termine dell'impresa a Troia: il ritorno è da loro sentito come un sogno agognato, un miraggio che a volte appare irraggiungibile. Da una guerra, naturalmente, si torna diversi, segnati in profondità nell'io, con una percezione ormai modificata dell'esistenza e dei valori connessi, per gli orrori e le brutalità vissute. Non a caso Odisseo, quando alla corte dei Feaci sente il canto di Demodoco, che narra le imprese degli eroi a Troia, scoppia in lacrime, al ricordo di tanti dolori e sofferenze (Od.
8, vv. 521 e seguenti).
Già agli albori della letteratura occidentale, a completamento del patrimonio letterario dell'Iliade e dell'Odissea, si leva il canto dei Nostoi, un'opera letteraria per noi perduta, che gli antichi erroneamente attribuivano a Omero, ma che senz'altro appartiene all'apparato aedico arcaico. In essa erano trattati i ritorni degli eroi greci in patria dopo la vittoria su Priamo: risulta chiaro allora, in questa prospettiva, che l'Odissea è da considerarsi il nòstos per eccellenza, quello che ha ottenuto più fortuna per il suo intrinseco valore letterario.
Se guardassimo alla letteratura e all’arte moderna con il fuoco di questa lente, ovvero assumendo il tema del ritorno come chiave interpretativa, potremmo renderci facilmente conto che il nòstos rappresenta un topos attivissimo e molto produttivo.
Certo, nel romanzo moderno il nòstos va inteso in senso lato e assolutamente metaforico, non come mero viaggio di ritorno a casa dopo una guerra, ma come recupero delle origini ovvero come tentativo di rivisitazione o riconquista di valori prima ripudiati. Elemento discriminante, però, è in ogni caso il senso del "ritorno", il nòstos appunto, che risulta susseguente a una lunga vicissitudine, una pressoché infinita peripezia, in grado di segnare e di trasformare nel profondo dell'animo il protagonista.
Per sviluppare questa chiave di lettura, è possibile rintracciare nel romanzo moderno diversi stereotipi che andrebbero implicitamente ricondotti ai diversi nostoi degli antichi eroi omerici:
a. Paradigma di Nestore o Menelao: il ritorno alla normalità.
b. Paradigma di Odisseo: la peripezia e la vendetta.
c. Paradigma di Agamennone: il ritorno funesto o negato.
PARADIGMA DI AGAMENNONE
Il ritorno funesto o negato
L’OBBLIGO DELLA COLPA NEL RITORNO DI AGAMENNONE
Ai tipi di nostoi precedentemente illustrati, che consentono il raggiungimento, presto o tardi, di una pacata serenità, si contrappone il ritorno funesto o negato, quello per cui il rientro coincide con l'annientamento fisico o l'annichilimento spirituale dell'eroe: un ritorno, dunque, che in realtà è un non-ritorno. Il paradigma di Agamennone ben esprime questo concetto; in parte ricalcato anche dalla vicenda del cretese Diomede, che al suo rientro da Troia scampa alla morte solo con la fuga. Agamennone, capo della spedizione greca a Ilio, trova un'amara accoglienza al suo rientro a Micene, dove lo aspetta la moglie Clitennestra, decisa a vendicarsi dell'uccisione della figlia Ifigenia, a suo tempo impietosamente sacrificata dal padre per ottenere venti propizi nel porto di Aulide. Clitennestra, negli anni di lontananza del marito, aveva intrecciato una relazione con Egisto, figlio di Tieste, fratello e rivale di Atreo, padre di Agamennone. Anche Egisto voleva vendicarsi della famiglia di Agamennone, per i forti contrasti tra Atreo e Tieste. La diversa eppur concorde volontà di vendetta della coppia di amanti non lascerà scampo ad Agamennone, appena rientrato dalla guerra troiana.
Il tragediografo Eschilo eredita la storia di Agamennone nella trilogia dell’Orestea. La vicenda si sviluppa in tre drammi che affrontano ciascuno un momento della saga degli Atridi: l’arrivo di Agamennone da Troia e il suo assassinio; il ritorno in patria del figlio Oreste per ordine di Apollo, per vendicare il padre; la fuga di Oreste, assalito dalle Erinni, ad Atene, dove, sottoposto a un processo presieduto da Atena e Apollo, viene assolto.
Il motivo fondamentale della trilogia è la vendetta, che nella civiltà tribale costituiva un atto obbligatorio per compensare il sangue versato di un parente. Nell’Orestea la vendetta si realizza all’interno dello stesso clan: Atreo, padre di Agamennone, uccise i figli di Tieste; Agamennone immolò la figlia Ifigenia; Clitennestra e l’amante Egisto, figlio di Tieste, si vendicano su Agamennone; infine Oreste diventa a sua volta matricida. La tragedia, esaminando il fosco mito dinastico della casata reale di Micene – eppure Eschilo ambienta il dramma ad Argo - , mostra l’inceppamento del meccanismo: qualunque atto di riparazione, infatti, si trasforma in una nuova contaminazione che costringe chi la compie in una rete inestricabile di sangue e di colpa. Le radici di questa colpa, che si trasmette di padre in figlio come una malattia ereditaria, sono antiche e nessuno è veramente innocente.
Dal grandioso progetto dell’Orestea emerge una giustizia che non è nelle mani di chi la compie, ma è garantita da un ordine superiore. Stabilire i limiti tra vendetta e giustizia, tra espiazione e colpa, spezzare i legami di morte e di sangue sembra far parte della giustizia imperiosa degli dei. Sono gli dei ad imporre una legge dura ma giusta: si impara attraverso la sofferenza, Πατει μαθος. Solo chi soffre può riscattarsi: come avviene infine a Oreste.
Di seguito, tratti da una tesina pubblicata sul nostro sito, puoi trovare degli utili spunti di riflessione da integrare con la storia dei tre personaggi oggetto della tua ricerca, che puoi reperire agevolmente sul web
NOSTOI, i ritorni completano il viaggio
INTRODUZIONE
Per i greci i nòstoi sono i viaggi per tornare in patria dopo un'esperienza lunga e lacerante, in particolare al termine di una guerra sofferta e dolorosa. I nòstoi più famosi sono intrapresi dagli eroi greci al termine dell'impresa a Troia: il ritorno è da loro sentito come un sogno agognato, un miraggio che a volte appare irraggiungibile. Da una guerra, naturalmente, si torna diversi, segnati in profondità nell'io, con una percezione ormai modificata dell'esistenza e dei valori connessi, per gli orrori e le brutalità vissute. Non a caso Odisseo, quando alla corte dei Feaci sente il canto di Demodoco, che narra le imprese degli eroi a Troia, scoppia in lacrime, al ricordo di tanti dolori e sofferenze (Od.
8, vv. 521 e seguenti).
Già agli albori della letteratura occidentale, a completamento del patrimonio letterario dell'Iliade e dell'Odissea, si leva il canto dei Nostoi, un'opera letteraria per noi perduta, che gli antichi erroneamente attribuivano a Omero, ma che senz'altro appartiene all'apparato aedico arcaico. In essa erano trattati i ritorni degli eroi greci in patria dopo la vittoria su Priamo: risulta chiaro allora, in questa prospettiva, che l'Odissea è da considerarsi il nòstos per eccellenza, quello che ha ottenuto più fortuna per il suo intrinseco valore letterario.
Se guardassimo alla letteratura e all’arte moderna con il fuoco di questa lente, ovvero assumendo il tema del ritorno come chiave interpretativa, potremmo renderci facilmente conto che il nòstos rappresenta un topos attivissimo e molto produttivo.
Certo, nel romanzo moderno il nòstos va inteso in senso lato e assolutamente metaforico, non come mero viaggio di ritorno a casa dopo una guerra, ma come recupero delle origini ovvero come tentativo di rivisitazione o riconquista di valori prima ripudiati. Elemento discriminante, però, è in ogni caso il senso del "ritorno", il nòstos appunto, che risulta susseguente a una lunga vicissitudine, una pressoché infinita peripezia, in grado di segnare e di trasformare nel profondo dell'animo il protagonista.
Per sviluppare questa chiave di lettura, è possibile rintracciare nel romanzo moderno diversi stereotipi che andrebbero implicitamente ricondotti ai diversi nostoi degli antichi eroi omerici:
a. Paradigma di Nestore o Menelao: il ritorno alla normalità.
b. Paradigma di Odisseo: la peripezia e la vendetta.
c. Paradigma di Agamennone: il ritorno funesto o negato.
PARADIGMA DI AGAMENNONE
Il ritorno funesto o negato
L’OBBLIGO DELLA COLPA NEL RITORNO DI AGAMENNONE
Ai tipi di nostoi precedentemente illustrati, che consentono il raggiungimento, presto o tardi, di una pacata serenità, si contrappone il ritorno funesto o negato, quello per cui il rientro coincide con l'annientamento fisico o l'annichilimento spirituale dell'eroe: un ritorno, dunque, che in realtà è un non-ritorno. Il paradigma di Agamennone ben esprime questo concetto; in parte ricalcato anche dalla vicenda del cretese Diomede, che al suo rientro da Troia scampa alla morte solo con la fuga. Agamennone, capo della spedizione greca a Ilio, trova un'amara accoglienza al suo rientro a Micene, dove lo aspetta la moglie Clitennestra, decisa a vendicarsi dell'uccisione della figlia Ifigenia, a suo tempo impietosamente sacrificata dal padre per ottenere venti propizi nel porto di Aulide. Clitennestra, negli anni di lontananza del marito, aveva intrecciato una relazione con Egisto, figlio di Tieste, fratello e rivale di Atreo, padre di Agamennone. Anche Egisto voleva vendicarsi della famiglia di Agamennone, per i forti contrasti tra Atreo e Tieste. La diversa eppur concorde volontà di vendetta della coppia di amanti non lascerà scampo ad Agamennone, appena rientrato dalla guerra troiana.
Il tragediografo Eschilo eredita la storia di Agamennone nella trilogia dell’Orestea. La vicenda si sviluppa in tre drammi che affrontano ciascuno un momento della saga degli Atridi: l’arrivo di Agamennone da Troia e il suo assassinio; il ritorno in patria del figlio Oreste per ordine di Apollo, per vendicare il padre; la fuga di Oreste, assalito dalle Erinni, ad Atene, dove, sottoposto a un processo presieduto da Atena e Apollo, viene assolto.
Il motivo fondamentale della trilogia è la vendetta, che nella civiltà tribale costituiva un atto obbligatorio per compensare il sangue versato di un parente. Nell’Orestea la vendetta si realizza all’interno dello stesso clan: Atreo, padre di Agamennone, uccise i figli di Tieste; Agamennone immolò la figlia Ifigenia; Clitennestra e l’amante Egisto, figlio di Tieste, si vendicano su Agamennone; infine Oreste diventa a sua volta matricida. La tragedia, esaminando il fosco mito dinastico della casata reale di Micene – eppure Eschilo ambienta il dramma ad Argo - , mostra l’inceppamento del meccanismo: qualunque atto di riparazione, infatti, si trasforma in una nuova contaminazione che costringe chi la compie in una rete inestricabile di sangue e di colpa. Le radici di questa colpa, che si trasmette di padre in figlio come una malattia ereditaria, sono antiche e nessuno è veramente innocente.
Dal grandioso progetto dell’Orestea emerge una giustizia che non è nelle mani di chi la compie, ma è garantita da un ordine superiore. Stabilire i limiti tra vendetta e giustizia, tra espiazione e colpa, spezzare i legami di morte e di sangue sembra far parte della giustizia imperiosa degli dei. Sono gli dei ad imporre una legge dura ma giusta: si impara attraverso la sofferenza, Πατει μαθος. Solo chi soffre può riscattarsi: come avviene infine a Oreste.
Miglior risposta