Help filosofia(aiutatemi sono disperato)
mi aiutate su questi punti
la vitu x socrate
l'idea del bene in platone il mondo delle idee di platone
funzione allegorica e divulgativa dei miti come la biga e la caverna in platone
grazie a tutti
la vitu x socrate
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grazie a tutti
Risposte
Virtù per Socrate è agire secondo il Bene ma nn il bene di qualcuno ma il Bene in senso vero e proprio virtù è ricercare il bene sempre e cmq e sapere di nn sapere
Platone a differenza di Socrate colloca il Bene in un posto fisico che chiama mondo delle idee in cui vi sono le idee che sono la vera essenza delle cose di cui noi facciamo esperienza. Le cose del nostro mondo osno solo copie imperfette delle idee
Mito della Biga Alata:
Mito: Per spiegare il rapporto tra l’uomo e il mondo delle idee Platone ricorre al mito della Biga Alata: Platone paragona l’anima dell’uomo ad una biga trainata da due cavalli gestiti da un auriga.
Un cavallo è nero ed uno è bianco, la biga sta nel mondo delle idee e ruota in senso circolare attorno ad esse. Il cavallo bianco tende a rimanere nel mondo delle idee, mentre quello nero spinge la biga verso il mondo sensibile. L’auriga cerca di tenere l’equilibrio, ma dopo un po’ cede al cavallo nero e la biga si incarna in un corpo. A secondo di quanto la biga è rimasta nel mondo delle Idee avrà visto una quantità maggiore o minore di Idee,. Nel momento dell’incarnazione l’anima dimentica la sua vita passata, ciò che ha visto nel mondo delle idee, ma tali ricordi non sono cancellati del tutto: nella vita empirica l’uomo deve sforzarsi di ricordare ciò che era prima di nascere e ciò che si aveva visto nel mondo delle idee.
Analisi del mito:
* Cavallo Nero: è la parte dell’anima che tende al mondo empirico, senza la quale però l’uomo non potrebbe nascere, ma se avesse solo il cavallo nero non avrebbe il senso della realtà.
* Cavallo Bianco: Parte che eleva l’uomo al mondo delle idee., se l’uomo fosse solo il cavallo bianco non nascerebbe mai e quindi non sarebbe mai un uomo.
Mito della Caverna:
Il mito segue due vie:
1. ontologica, dell’essere
2. gnoseologica, della conoscenza
Nel mito della Caverna coincidono l’aspetto sensibile, quello intellettuale e quello matematico. La caverna ha un percorso fatto di tappe precise e non meditative:
* inizio: l’uomo è legato nella caverna e davanti a se, proiettate su un muro, vede le ombre delle statuette che sono dietro alle sue spalle. Egli scambia quelle ombre con la realtà.
* momento della dòxa: prevede una conoscenza prima dei sensi e poi una conoscenza intellettiva. L’uomo sempre dentro la caverna riesce a slegarsi e si accorge che quello che pensava fosse la realtà altro non è che l’ombra delle statuette poste alle sue spalle a questo punto l’uomo prende forza e decide di uscire dalla caverna.
* momento della verità: l’uomo progressivamente conosce la realtà, dapprima allontanandosi dalle false credenze, ma ancora, seppur fuori dalla caverna, il sole che tutto illumina e tutto fa essere lo acceca e quindi ancora non vede la realtà direttamente, ma la osserva proiettata nell’acqua. Piano piano i suoi occhi si abituano al sole.
* il bene: l’uomo alla fine si abitua e può vedere grazie al sole e alla sua luce che tutto illumina e tutto fa essere
Il bene si identifica qui con il sole, entrambi fanno essere tutte le cose che a loro tendono e che è bene che siano. Quest’uomo che si è liberato dalla Caverna e che ha visto il bene ora ha come missione, per Platone, quella di tornare dentro la Caverna e di dire agli altri uomini che sono ancora legati ciò che ha visto, di illuminarli al bene e alla realtà. Naturalmente egli sarà schernito, ma questa è la sua missione, egli è il filosofo.
Platone a differenza di Socrate colloca il Bene in un posto fisico che chiama mondo delle idee in cui vi sono le idee che sono la vera essenza delle cose di cui noi facciamo esperienza. Le cose del nostro mondo osno solo copie imperfette delle idee
Mito della Biga Alata:
Mito: Per spiegare il rapporto tra l’uomo e il mondo delle idee Platone ricorre al mito della Biga Alata: Platone paragona l’anima dell’uomo ad una biga trainata da due cavalli gestiti da un auriga.
Un cavallo è nero ed uno è bianco, la biga sta nel mondo delle idee e ruota in senso circolare attorno ad esse. Il cavallo bianco tende a rimanere nel mondo delle idee, mentre quello nero spinge la biga verso il mondo sensibile. L’auriga cerca di tenere l’equilibrio, ma dopo un po’ cede al cavallo nero e la biga si incarna in un corpo. A secondo di quanto la biga è rimasta nel mondo delle Idee avrà visto una quantità maggiore o minore di Idee,. Nel momento dell’incarnazione l’anima dimentica la sua vita passata, ciò che ha visto nel mondo delle idee, ma tali ricordi non sono cancellati del tutto: nella vita empirica l’uomo deve sforzarsi di ricordare ciò che era prima di nascere e ciò che si aveva visto nel mondo delle idee.
Analisi del mito:
* Cavallo Nero: è la parte dell’anima che tende al mondo empirico, senza la quale però l’uomo non potrebbe nascere, ma se avesse solo il cavallo nero non avrebbe il senso della realtà.
* Cavallo Bianco: Parte che eleva l’uomo al mondo delle idee., se l’uomo fosse solo il cavallo bianco non nascerebbe mai e quindi non sarebbe mai un uomo.
Mito della Caverna:
Il mito segue due vie:
1. ontologica, dell’essere
2. gnoseologica, della conoscenza
Nel mito della Caverna coincidono l’aspetto sensibile, quello intellettuale e quello matematico. La caverna ha un percorso fatto di tappe precise e non meditative:
* inizio: l’uomo è legato nella caverna e davanti a se, proiettate su un muro, vede le ombre delle statuette che sono dietro alle sue spalle. Egli scambia quelle ombre con la realtà.
* momento della dòxa: prevede una conoscenza prima dei sensi e poi una conoscenza intellettiva. L’uomo sempre dentro la caverna riesce a slegarsi e si accorge che quello che pensava fosse la realtà altro non è che l’ombra delle statuette poste alle sue spalle a questo punto l’uomo prende forza e decide di uscire dalla caverna.
* momento della verità: l’uomo progressivamente conosce la realtà, dapprima allontanandosi dalle false credenze, ma ancora, seppur fuori dalla caverna, il sole che tutto illumina e tutto fa essere lo acceca e quindi ancora non vede la realtà direttamente, ma la osserva proiettata nell’acqua. Piano piano i suoi occhi si abituano al sole.
* il bene: l’uomo alla fine si abitua e può vedere grazie al sole e alla sua luce che tutto illumina e tutto fa essere
Il bene si identifica qui con il sole, entrambi fanno essere tutte le cose che a loro tendono e che è bene che siano. Quest’uomo che si è liberato dalla Caverna e che ha visto il bene ora ha come missione, per Platone, quella di tornare dentro la Caverna e di dire agli altri uomini che sono ancora legati ciò che ha visto, di illuminarli al bene e alla realtà. Naturalmente egli sarà schernito, ma questa è la sua missione, egli è il filosofo.
VISTO KE NN HO CAPITO SPECIFICAM COSA VUOI, TI SCRIVO TUTTO.....
VITA
Socrate (Atene 469 - 399 a.C.), figlio di uno scultore e di una levatrice, si dedicò fin da giovanissimo alla filosofia, entrando in contatto con Anassagora e i maggiori sofisti. Visse nel periodo del lungo conflitto tra Atene e Sparta, che si concluse con la vittoria di quest'ultima. Più volte Socrate prese parte agli scontri militari, distinguendosi per valore e abnegazione e mostrando quella grande forza di carattere che lo caratterizzerà in seguito anche nella vita civile. La sua adesione all'ordinamento democratico di Atene non fu infatti incondizionata: da un lato avanzò critiche in nome della ragione e della giustizia, dall'altra riteneva che non tutti i cittadini fossero idonei a partecipare alle decisioni pubbliche, ma solo quelli che disponevano di un'adeguata preparazione. Anche sotto il regime oligarchico dei Trenta Tiranni egli non esitò ad opporsi all'opinione della maggioranza o del potere ogni volta che lo ritenne giusto, anche a rischio di gravi conseguenze (come quando si oppose a Crizia, disobbedendo all'ordine di uccidere un avversario politico del regime).
Per Socrate la ricerca filosofica era una pratica di vita a cui bisognava dedicarsi con coerenza totale e senza cedere a compromessi. Ma non tenne cattedra. Non si professò, come i Sofisti, maestro di sapere. Passava le sue giornate conversando dappertutto e con tutti, su qualsiasi argomento. Se la sua straordinaria personalità non mancò di lasciare il segno su tutti i suoi interlocutori, anticonformismo e autonomia dei giudizi morali lo misero in cattiva luce di fronte all'opinione democratica più conservatrice, che considerava il suo insegnamento nocivo per la difesa dei valori tradizionali della polis. Dopo la caduta dei Trenta, nel 399, venne processato per empietà e corruzione dei giovani. È probabile che gli accusatori mirassero soltanto al suo esilio, ma egli, come sempre, rifiutò i compromessi e, rinunciando all'opportunità della fuga, bevve la cicuta dopo l'estremo saluto ai suoi allievi più fedeli.
PENSIERO
Socrate non lasciò scritti, perché pensava, dice Platone, che i discorsi scritti sono come le figure dipinte: se le si interroga non rispondono. Invece filosofare è colloquio vivo, perenne tensione verso la verità, che non può essere fissata una volta per tutte nella parola scritta. Quel che sappiamo di lui e del suo insegnamento lo dobbiamo soprattutto a Platone, che ne fece il protagonista della maggior parte dei suoi dialoghi, e che, specialmente nei primi di essi (i cosiddetti dialoghi socratici), ritrasse nella maniera più fedele il suo pensiero. Altre testimonianze ci vengono da Senofonte, Aristofane e Aristotele.
Socrate, al pari dei sofisti, è incurante delle ricerche scientifiche sulla natura: anche a lui non interessa che l'uomo e il suo mondo. Come i sofisti, egli è critico implacabile di qualsiasi specie di conformismo sociale e morale, accettato passivamente e acriticamente. Ma mentre la sofistica si limita a una critica delle norme sociali o statali in quanto le ritiene puramente "convenzionali", Socrate mira a ricostruire la morale sulla base dell'autorità interna della coscienza, guidata dalla ragione e dalla riflessione costante dell'uomo su se stesso e sul suo fare. Il motto dell'oracolo di Delfi, conosci te stesso, diventa per Socrate l'indicazione della ricerca filosofica. Socrate stesso si ritiene ignorante e non si fa perciò portatore di un qualche sapere compiuto sull'uomo: egli si pone il compito di liberare gli altri da questa fatale illusione di sapere per porre la condizione essenziale alla costruzione di una vera conoscenza. Il metodo della ricerca socratica non può dunque essere che il dialogo. Tutti parlano con sicurezza di virtù, di giustizia, di coraggio, di bellezza, ma enumerandone i casi particolari collettivamente condivisi. Socrate invece vuole sapere, non quali siano le cose belle, giuste, ma che cosa sia il bello, il giusto ecc., che è comune a tutte le cose che diciamo belle e giuste. La domanda socratica sul che cosa mira infatti alla definizione dell'essenza, all'universalità del concetto. È per questo che Aristotele attribuisce a Socrate la scoperta del ragionamento induttivo (inteso qui come un processo che da un certo numero di casi particolari risale all'universale).
Se il dialogo si conclude in genere senza la proposta di una precisa definizione, l'interlocutore di Socrate ne esce sempre turbato e in preda al dubbio, ovvero disposto ad ammettere la propria ignoranza e ad impegnarsi nella ricerca del sapere. Suscitando con l'ironia la messa in discussione di se stessi, Socrate, con l'arte della maieutica (del far partorire) aiuta l'interlocutore a esprimere da sé quel tanto di verità che la sua anima possiede: è nel travaglio interno della propria anima che ciascuno deve cercare, e cercare per sempre, la verità che guida la nostra vita. Se il sapere filosofico s'identifica con la conoscenza che l'uomo ha di se stesso, esso è tutt'uno con il sapere pratico, ovvero, la coscienza morale. Solo essa consente all'uomo di realizzare la sua umanità sottraendosi agli impulsi e alle passioni e diventando padrone di sé (in questo consiste la libertà umana). La virtù è conoscenza, il male è frutto dell'ignoranza. La conoscenza del bene è tutt'uno con la sua pratica: solo nella realizzazione razionale della virtù l'uomo è felice. Insieme al concetto di anima, intesa come interiorità spirituale individuale, l'altro fondamentale contributo di Socrate all'etica è la tesi dell'importanza della cura di sé, come scopo autentico della vita umana.
MONDO DELLE IDEE DI PLATONE
Fondamento della filosofia di Platone è la dottrina delle idee, cui è strettamente connessa la sua teoria della conoscenza. Come Socrate, Platone era convinto che la conoscenza fosse possibile, ma che essa dovesse possedere un fondamento certo: mentre Socrate partiva dalla possibilità di formare giudizi etici validi, Platone estese la riflessione socratica a una ricerca generale sulla possibilità di una conoscenza certa, sia pure mutuata da un mondo materiale popolato di apparenze mutevoli. In opposizione ai soggetti sensibili del mondo dell’esperienza, contingenti e corruttibili, elaborando le dottrine socratiche sulla natura dei concetti Platone concepì le “forme”, o idee, che rappresentano gli elementi permanenti e stabili del pensiero, gli archetipi che permettono di nominare, distinguere e pensare gli esseri e gli oggetti del mondo fisico. Le idee sono inoltre i modelli delle creature e delle cose fisicamente esistenti, che di esse sono invece copie imperfette e corruttibili; la realtà metafisica degli archetipi, pur invisibile all’uomo comune, è dunque il fondamento dell’esistenza delle “copie” che popolano il mondo visibile.
Esiste un vero e proprio “mondo delle idee”, un regno dell’intelligibilità pura che si contrappone alla molteplicità dei fenomeni visibili; solo l’attività filosofica permette di dischiudere all’anima (e non ai sensi) il mondo delle idee, discernendo l’essenziale e il reale – le cose che realmente sono (óntos ónta) – da ciò che “si vede”, ma non è, se non in maniera imperfetta. Alle infinite, mutevoli opinioni sul mondo espresse dall’uomo comune e all’indifferenza etica e gnoseologica della dialettica dei sofisti, Platone oppone una dialettica concepita come sommo strumento di conoscenza: quella conoscenza delle idee favorita dal processo di apprendimento che egli cercherà di trasmettere nel programma pedagogico dell’Accademia.
Platone concepì le idee gerarchicamente: l’idea suprema è quella del Bene, che, esemplificato nell’immagine del sole nel celebre mito della caverna, illumina tutte le altre idee. In questo senso l’idea del Bene rappresenta e riassume la tensione della filosofia platonica verso il principio ultimo inteso come principio unificante, perché la dottrina delle idee mira a spiegare come si conosce e, contemporaneamente, per quali motivi gli enti possono essere come sono. Secondo la terminologia filosofica, la dottrina platonica delle idee è nel contempo epistemologica e ontologica (vedi Metafisica).
La teoria platonica della conoscenza viene presentata nella Repubblica, in particolare nella discussione sul Bene (libro VI) e nel mito della caverna (libro VII). Il mito della caverna esemplifica in un’immagine vivida la visione del mondo delle idee. Un individuo giace incatenato all’interno di una caverna; dietro di lui c’è un muro; dall’altra parte del muro alcune persone trasportano oggetti, dei quali una fiamma accesa nella caverna proietta le ombre sulla parete di fondo. L’incatenato vede dapprima le sole ombre, che egli reputa gli oggetti reali; riuscendo a liberarsi, riesce a scorgere la presenza di altri individui incatenati insieme con lui; egli vede finalmente gli oggetti che prima erano ombre, trova una via d’uscita dalla caverna ed esce alla luce del giorno, dove i raggi del sole gli permettono di contemplare per la prima volta il mondo reale. Torna allora nella caverna per riferire agli altri che gli oggetti che essi hanno visto fino ad allora sono solo ombre e apparenza e che li aspetta il mondo reale se riusciranno a liberarsi dalle catene.
L’incatenato simboleggia per Platone l’anima, che, se viene liberata, può conoscere le idee; gli oggetti che gli incatenati vedono sono la mera “opinione”, il grado più imperfetto della conoscenza; il mondo illuminato dal sole rinvia al mondo delle idee e il sole rappresenta l’idea somma, il Bene. L’intelletto umano può conoscere – o meglio, riconoscere – le idee in quanto l’anima, prima d’essere congiunta al corpo, risiede nel mondo imperituro e immutabile dell’Iperuranio, dove ha potuto contemplare le idee.
MITO DELLA BIGA
Il mito del carro e dell'auriga, o della biga alata, tratta dal Fedro di Platone, serve a spiegare la teoria platonica della reminiscenza dell'anima, un fenomeno che durante la reincarnazione produce ricordi legati alla vita precedente. Racconta di un'ipotetica biga trainata da due cavalli: uno bianco, raffigurante la parte dell'anima irascibile, e un cavallo nero, che rappresenta la parte dell'anima con pensieri più infimi (la concupiscenza); i due cavalli trainano un'auriga, che rappresenta la ragione. La biga è diretta verso l'Iperuranio, un luogo metafisico a forma di anfiteatro dove risiedono le "Idee".
Lo scopo dell'anima è contemplare il più possibile l'Iperuranio e assorbirne la sapienza delle idee, quindi deve riuscire a mantenere i cavalli verso l'alto, tenendo a bada quello nero e spronando quello bianco, per "precipitare" il più tardi possibile nella reincarnazione. Chi è precipitato subito rinascerà come una persona ignorante o comunque lontana dalla saggezza filosofica, mentre coloro che sono riusciti a contemplare l'Iperuranio per più tempo rinasceranno come saggi e come filosofi. Questo mito spiega la reminiscenza ed è riconducibile all'immortalità dell'anima.
MITO DELLA CAVERNA
Si immaginino dei prigionieri che siano stati incatenati, fin dall'infanzia, nelle profondità di una caverna. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che gli occhi dei malcapitati possano solo fissare il muro dinanzi a loro.
Si pensi, inoltre, che alle spalle dei prigionieri sia stato acceso un enorme fuoco e che, tra il fuoco ed i prigionieri, corra una strada rialzata. Lungo questa strada sia stato eretto un muricciolo, lungo il quale alcuni uomini portano forme di vari oggetti, animali, piante e persone. Le forme proietterebbero la propria ombra sul muro e questo attrarrebbe l'attenzione dei prigionieri. Se qualcuno degli uomini che trasportano queste forme parlasse, si formerebbe nella caverna un'eco che spingerebbe i prigionieri a pensare che questa voce provenga dalle ombre che vedono passare sul muro.
Mentre un personaggio esterno avrebbe un'idea completa della situazione, i prigionieri, non conoscendo cosa accada realmente alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno (si ricordi che sono incatenati fin dall'infanzia), sarebbero portati ad interpretare le ombre "parlanti" come oggetti, animali, piante e persone reali.
Si supponga che un prigioniero venga liberato dalle catene e sia costretto a rimanere in piedi, con la faccia rivolta verso l'uscita della caverna: in primo luogo, i suoi occhi sarebbero abbagliati dalla luce del fuoco ed egli proverebbe dolore. Inoltre, le forme portate dagli uomini lungo il muretto gli sembrerebbero meno reali delle ombre alle quali è abituato; persino se gli fossero mostrati quegli oggetti e gli fosse indicata la fonte di luce, il prigioniero rimarrebbe comunque dubbioso e, soffrendo nel fissare il fuoco, preferirebbe volgersi verso le ombre.
Allo stesso modo, se il malcapitato fosse costretto ad uscire dalla caverna e venisse esposto alla diretta luce del sole, rimarrebbe accecato e non riuscirebbe a vedere alcunché. Il prigioniero si troverebbe sicuramente a disagio e s'irriterebbe per essere stato trascinato a viva forza in quel luogo.
Volendo abituarsi alla nuova situazione, il prigioniero riuscirebbe inizialmente a distinguere soltanto le ombre delle persone e le loro immagini riflesse nell'acqua; solo con il passare del tempo potrebbe sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi.
VITA
Socrate (Atene 469 - 399 a.C.), figlio di uno scultore e di una levatrice, si dedicò fin da giovanissimo alla filosofia, entrando in contatto con Anassagora e i maggiori sofisti. Visse nel periodo del lungo conflitto tra Atene e Sparta, che si concluse con la vittoria di quest'ultima. Più volte Socrate prese parte agli scontri militari, distinguendosi per valore e abnegazione e mostrando quella grande forza di carattere che lo caratterizzerà in seguito anche nella vita civile. La sua adesione all'ordinamento democratico di Atene non fu infatti incondizionata: da un lato avanzò critiche in nome della ragione e della giustizia, dall'altra riteneva che non tutti i cittadini fossero idonei a partecipare alle decisioni pubbliche, ma solo quelli che disponevano di un'adeguata preparazione. Anche sotto il regime oligarchico dei Trenta Tiranni egli non esitò ad opporsi all'opinione della maggioranza o del potere ogni volta che lo ritenne giusto, anche a rischio di gravi conseguenze (come quando si oppose a Crizia, disobbedendo all'ordine di uccidere un avversario politico del regime).
Per Socrate la ricerca filosofica era una pratica di vita a cui bisognava dedicarsi con coerenza totale e senza cedere a compromessi. Ma non tenne cattedra. Non si professò, come i Sofisti, maestro di sapere. Passava le sue giornate conversando dappertutto e con tutti, su qualsiasi argomento. Se la sua straordinaria personalità non mancò di lasciare il segno su tutti i suoi interlocutori, anticonformismo e autonomia dei giudizi morali lo misero in cattiva luce di fronte all'opinione democratica più conservatrice, che considerava il suo insegnamento nocivo per la difesa dei valori tradizionali della polis. Dopo la caduta dei Trenta, nel 399, venne processato per empietà e corruzione dei giovani. È probabile che gli accusatori mirassero soltanto al suo esilio, ma egli, come sempre, rifiutò i compromessi e, rinunciando all'opportunità della fuga, bevve la cicuta dopo l'estremo saluto ai suoi allievi più fedeli.
PENSIERO
Socrate non lasciò scritti, perché pensava, dice Platone, che i discorsi scritti sono come le figure dipinte: se le si interroga non rispondono. Invece filosofare è colloquio vivo, perenne tensione verso la verità, che non può essere fissata una volta per tutte nella parola scritta. Quel che sappiamo di lui e del suo insegnamento lo dobbiamo soprattutto a Platone, che ne fece il protagonista della maggior parte dei suoi dialoghi, e che, specialmente nei primi di essi (i cosiddetti dialoghi socratici), ritrasse nella maniera più fedele il suo pensiero. Altre testimonianze ci vengono da Senofonte, Aristofane e Aristotele.
Socrate, al pari dei sofisti, è incurante delle ricerche scientifiche sulla natura: anche a lui non interessa che l'uomo e il suo mondo. Come i sofisti, egli è critico implacabile di qualsiasi specie di conformismo sociale e morale, accettato passivamente e acriticamente. Ma mentre la sofistica si limita a una critica delle norme sociali o statali in quanto le ritiene puramente "convenzionali", Socrate mira a ricostruire la morale sulla base dell'autorità interna della coscienza, guidata dalla ragione e dalla riflessione costante dell'uomo su se stesso e sul suo fare. Il motto dell'oracolo di Delfi, conosci te stesso, diventa per Socrate l'indicazione della ricerca filosofica. Socrate stesso si ritiene ignorante e non si fa perciò portatore di un qualche sapere compiuto sull'uomo: egli si pone il compito di liberare gli altri da questa fatale illusione di sapere per porre la condizione essenziale alla costruzione di una vera conoscenza. Il metodo della ricerca socratica non può dunque essere che il dialogo. Tutti parlano con sicurezza di virtù, di giustizia, di coraggio, di bellezza, ma enumerandone i casi particolari collettivamente condivisi. Socrate invece vuole sapere, non quali siano le cose belle, giuste, ma che cosa sia il bello, il giusto ecc., che è comune a tutte le cose che diciamo belle e giuste. La domanda socratica sul che cosa mira infatti alla definizione dell'essenza, all'universalità del concetto. È per questo che Aristotele attribuisce a Socrate la scoperta del ragionamento induttivo (inteso qui come un processo che da un certo numero di casi particolari risale all'universale).
Se il dialogo si conclude in genere senza la proposta di una precisa definizione, l'interlocutore di Socrate ne esce sempre turbato e in preda al dubbio, ovvero disposto ad ammettere la propria ignoranza e ad impegnarsi nella ricerca del sapere. Suscitando con l'ironia la messa in discussione di se stessi, Socrate, con l'arte della maieutica (del far partorire) aiuta l'interlocutore a esprimere da sé quel tanto di verità che la sua anima possiede: è nel travaglio interno della propria anima che ciascuno deve cercare, e cercare per sempre, la verità che guida la nostra vita. Se il sapere filosofico s'identifica con la conoscenza che l'uomo ha di se stesso, esso è tutt'uno con il sapere pratico, ovvero, la coscienza morale. Solo essa consente all'uomo di realizzare la sua umanità sottraendosi agli impulsi e alle passioni e diventando padrone di sé (in questo consiste la libertà umana). La virtù è conoscenza, il male è frutto dell'ignoranza. La conoscenza del bene è tutt'uno con la sua pratica: solo nella realizzazione razionale della virtù l'uomo è felice. Insieme al concetto di anima, intesa come interiorità spirituale individuale, l'altro fondamentale contributo di Socrate all'etica è la tesi dell'importanza della cura di sé, come scopo autentico della vita umana.
MONDO DELLE IDEE DI PLATONE
Fondamento della filosofia di Platone è la dottrina delle idee, cui è strettamente connessa la sua teoria della conoscenza. Come Socrate, Platone era convinto che la conoscenza fosse possibile, ma che essa dovesse possedere un fondamento certo: mentre Socrate partiva dalla possibilità di formare giudizi etici validi, Platone estese la riflessione socratica a una ricerca generale sulla possibilità di una conoscenza certa, sia pure mutuata da un mondo materiale popolato di apparenze mutevoli. In opposizione ai soggetti sensibili del mondo dell’esperienza, contingenti e corruttibili, elaborando le dottrine socratiche sulla natura dei concetti Platone concepì le “forme”, o idee, che rappresentano gli elementi permanenti e stabili del pensiero, gli archetipi che permettono di nominare, distinguere e pensare gli esseri e gli oggetti del mondo fisico. Le idee sono inoltre i modelli delle creature e delle cose fisicamente esistenti, che di esse sono invece copie imperfette e corruttibili; la realtà metafisica degli archetipi, pur invisibile all’uomo comune, è dunque il fondamento dell’esistenza delle “copie” che popolano il mondo visibile.
Esiste un vero e proprio “mondo delle idee”, un regno dell’intelligibilità pura che si contrappone alla molteplicità dei fenomeni visibili; solo l’attività filosofica permette di dischiudere all’anima (e non ai sensi) il mondo delle idee, discernendo l’essenziale e il reale – le cose che realmente sono (óntos ónta) – da ciò che “si vede”, ma non è, se non in maniera imperfetta. Alle infinite, mutevoli opinioni sul mondo espresse dall’uomo comune e all’indifferenza etica e gnoseologica della dialettica dei sofisti, Platone oppone una dialettica concepita come sommo strumento di conoscenza: quella conoscenza delle idee favorita dal processo di apprendimento che egli cercherà di trasmettere nel programma pedagogico dell’Accademia.
Platone concepì le idee gerarchicamente: l’idea suprema è quella del Bene, che, esemplificato nell’immagine del sole nel celebre mito della caverna, illumina tutte le altre idee. In questo senso l’idea del Bene rappresenta e riassume la tensione della filosofia platonica verso il principio ultimo inteso come principio unificante, perché la dottrina delle idee mira a spiegare come si conosce e, contemporaneamente, per quali motivi gli enti possono essere come sono. Secondo la terminologia filosofica, la dottrina platonica delle idee è nel contempo epistemologica e ontologica (vedi Metafisica).
La teoria platonica della conoscenza viene presentata nella Repubblica, in particolare nella discussione sul Bene (libro VI) e nel mito della caverna (libro VII). Il mito della caverna esemplifica in un’immagine vivida la visione del mondo delle idee. Un individuo giace incatenato all’interno di una caverna; dietro di lui c’è un muro; dall’altra parte del muro alcune persone trasportano oggetti, dei quali una fiamma accesa nella caverna proietta le ombre sulla parete di fondo. L’incatenato vede dapprima le sole ombre, che egli reputa gli oggetti reali; riuscendo a liberarsi, riesce a scorgere la presenza di altri individui incatenati insieme con lui; egli vede finalmente gli oggetti che prima erano ombre, trova una via d’uscita dalla caverna ed esce alla luce del giorno, dove i raggi del sole gli permettono di contemplare per la prima volta il mondo reale. Torna allora nella caverna per riferire agli altri che gli oggetti che essi hanno visto fino ad allora sono solo ombre e apparenza e che li aspetta il mondo reale se riusciranno a liberarsi dalle catene.
L’incatenato simboleggia per Platone l’anima, che, se viene liberata, può conoscere le idee; gli oggetti che gli incatenati vedono sono la mera “opinione”, il grado più imperfetto della conoscenza; il mondo illuminato dal sole rinvia al mondo delle idee e il sole rappresenta l’idea somma, il Bene. L’intelletto umano può conoscere – o meglio, riconoscere – le idee in quanto l’anima, prima d’essere congiunta al corpo, risiede nel mondo imperituro e immutabile dell’Iperuranio, dove ha potuto contemplare le idee.
MITO DELLA BIGA
Il mito del carro e dell'auriga, o della biga alata, tratta dal Fedro di Platone, serve a spiegare la teoria platonica della reminiscenza dell'anima, un fenomeno che durante la reincarnazione produce ricordi legati alla vita precedente. Racconta di un'ipotetica biga trainata da due cavalli: uno bianco, raffigurante la parte dell'anima irascibile, e un cavallo nero, che rappresenta la parte dell'anima con pensieri più infimi (la concupiscenza); i due cavalli trainano un'auriga, che rappresenta la ragione. La biga è diretta verso l'Iperuranio, un luogo metafisico a forma di anfiteatro dove risiedono le "Idee".
Lo scopo dell'anima è contemplare il più possibile l'Iperuranio e assorbirne la sapienza delle idee, quindi deve riuscire a mantenere i cavalli verso l'alto, tenendo a bada quello nero e spronando quello bianco, per "precipitare" il più tardi possibile nella reincarnazione. Chi è precipitato subito rinascerà come una persona ignorante o comunque lontana dalla saggezza filosofica, mentre coloro che sono riusciti a contemplare l'Iperuranio per più tempo rinasceranno come saggi e come filosofi. Questo mito spiega la reminiscenza ed è riconducibile all'immortalità dell'anima.
MITO DELLA CAVERNA
Si immaginino dei prigionieri che siano stati incatenati, fin dall'infanzia, nelle profondità di una caverna. Non solo le membra, ma anche testa e collo sono bloccati, in maniera che gli occhi dei malcapitati possano solo fissare il muro dinanzi a loro.
Si pensi, inoltre, che alle spalle dei prigionieri sia stato acceso un enorme fuoco e che, tra il fuoco ed i prigionieri, corra una strada rialzata. Lungo questa strada sia stato eretto un muricciolo, lungo il quale alcuni uomini portano forme di vari oggetti, animali, piante e persone. Le forme proietterebbero la propria ombra sul muro e questo attrarrebbe l'attenzione dei prigionieri. Se qualcuno degli uomini che trasportano queste forme parlasse, si formerebbe nella caverna un'eco che spingerebbe i prigionieri a pensare che questa voce provenga dalle ombre che vedono passare sul muro.
Mentre un personaggio esterno avrebbe un'idea completa della situazione, i prigionieri, non conoscendo cosa accada realmente alle proprie spalle e non avendo esperienza del mondo esterno (si ricordi che sono incatenati fin dall'infanzia), sarebbero portati ad interpretare le ombre "parlanti" come oggetti, animali, piante e persone reali.
Si supponga che un prigioniero venga liberato dalle catene e sia costretto a rimanere in piedi, con la faccia rivolta verso l'uscita della caverna: in primo luogo, i suoi occhi sarebbero abbagliati dalla luce del fuoco ed egli proverebbe dolore. Inoltre, le forme portate dagli uomini lungo il muretto gli sembrerebbero meno reali delle ombre alle quali è abituato; persino se gli fossero mostrati quegli oggetti e gli fosse indicata la fonte di luce, il prigioniero rimarrebbe comunque dubbioso e, soffrendo nel fissare il fuoco, preferirebbe volgersi verso le ombre.
Allo stesso modo, se il malcapitato fosse costretto ad uscire dalla caverna e venisse esposto alla diretta luce del sole, rimarrebbe accecato e non riuscirebbe a vedere alcunché. Il prigioniero si troverebbe sicuramente a disagio e s'irriterebbe per essere stato trascinato a viva forza in quel luogo.
Volendo abituarsi alla nuova situazione, il prigioniero riuscirebbe inizialmente a distinguere soltanto le ombre delle persone e le loro immagini riflesse nell'acqua; solo con il passare del tempo potrebbe sostenere la luce e guardare gli oggetti stessi.