Storia dell'arte (12581)

Shocker
Buondì,
qualcuno potrebbe gentilmente esplicitare le differenze fra Leon Battista Alberti e Brunelleschi, visto che domani ho un compito a riguardo e non ho idea di dove andare a sbattere il naso?

Grazie mille anticipatamente

Risposte
mrc89
Il letterato
La dolorosa vitalità e l'amarezza dell'Alberti, riscontrabili nella mordacità della satira (entro l'impianto del dialogo lucianeo), sono presenti soprattutto nelle opere in latino: il "Philodoxeos"(1424), una commedia giovanile di imitazione terenziana; il trattato "De commodis litterarum atque incommodis", dove la letteratura è posta ancora solo come tregua e fuga di fronte all'urgere delle oppressioni materiali; i 17 dialoghi lucianei delle bizzarre "Intercoenales"(Intercenali); e il "Momus"o"De principe", romanzo allegorico-satirico dall'inventiva vivace, scritto intorno al 1443, che tuttavia lascia aperto lo spiraglio a una palingenesi morale. Di tale dolorosa vitalità e amarezza è già spia il misoginismo delle opere giovanili in volgare: il dialogo "Deifira", sul tema dei contrasti d'amore, e il trattato "Ecatomfilea", una specie di "ars amandi". Complessivamente è nei successivi scritti in volgare che va facendosi infine luce un ideale di virtù più conciliato e sciolto dal rigorismo stoicizzante e, a parte il "Teogenio"(1434 o 1435), che è opera ancora giovanile, improntata a un aspro disprezzo dei beni terreni, i quattro libri "Della famiglia"(1437-41), il trattato "Della tranquillità dell'animo"(1442) e i tre libri "De iciarchia"(1470; Del governo della casa), che discorrono rispettivamente dell'educazione dei figli e dell'economia domestica, del modo di far fronte alle pene della vita e del governo della famiglia e dello Stato, si aprono a un sereno equilibrio. La ricerca dell'equilibrio e della misura si conclude così positivamente, incentrata nell'esaltazione del vincolo familiare e nella proposta della cultura non più come rifugio e separata salvezza, ma come libera e creatrice indagine e, insieme, strumento di socialità. Intorno a questo tema l'Alberti sviluppa le sue concezioni pedagogiche. Con lui il pensiero educativo si libera definitivamente di ogni residuo medievale e, accanto agli studi, l'Alberti esalta un'educazione virile in cui l'attività e l'esercizio fisico abbiano larga parte. In accordo con la concezione rinascimentale, l'Alberti sostiene che l'uomo è responsabile del suo destino. Alla luce di altri testi tecnici e teorici, è possibile allora cogliere una perfetta saldatura tra l'ordine morale e quello ricercato, mediante le matematiche, nell'opera dell'architetto: essi non sono altro che l'analogo della stessa armonia naturale che l'arte deve imitare e l'uomo realizzare attraverso la misura della sua azione


Battista Alberti nacque a Genova il 14 febbraio 1404 e due circostanze sfavorevoli pesarono sulla sua giovinezza: era il secondo figlio naturale di Lorenzo e Bianca Fieschi, già vedova di un Grimaldi, e il padre era stato bandito da Firenze nel tardo Trecento con gran parte degli Alberti. La nascita illegittima e le conseguenti difficoltà familiari crearono a Battista e al fratello Carlo (1403), problemi economici e sociali che durarono oltre il 1428, quando gli Alberti furono riammessi in patria. In età avanzata Battista diceva di Firenze: «Raro ci venni e poco ci dimorai». Nondimeno rimase molto legato a quella città, come vedremo in seguito, e ai parenti, che, dopo la morte del padre nel 1421 a Padova, non volevano riconoscere i suoi diritti ereditari né favorire le sue ambizioni culturali contrarie ai loro interessi soprattutto commerciali, che avevano reso famoso il nome Alberti non solo in Italia ma in tutta l'Europa.
Questa situazione spiega la sua formazione intellettuale, direi quasi interregionale, lontano da Firenze, e in parte quella impronta pessimistica evidente in specie, ma non soltanto, nelle prime opere, e l’affinità con gli scritti satirici e amari del greco Luciano, che per primo in Europa Alberti imitò in latino nelle sue Intercoenales e nel Momus. Dall'altra parte quella situazione familiare avrebbe rafforzato, forse per reazione, una sua determinazione innata di distinguersi nelle lettere e in altre attività diverse, volte a illuminare la vita umana e ad arricchire e abbellire il suo ambiente sociale. Vi è, senza dubbio, una vena pessimistica persistente nell’Alberti, ma essa coesiste in lui con una motivazione positiva ancora più forte, senza la quale non avrebbe creato le opere letterarie, scientifiche e architettoniche che lo distinguono come uno dei più grandi ingegni del Quattrocento.
Si sa pochissimo dei suoi primi studi, svolti prima a Venezia, dove il padre si trasferì per esercitare il commercio, e poi (1415-18) nella scuola dell'umanista Gasparino Barzizza a Padova, ove avrebbe conosciuto Francesco Barbaro e il Panormita, e studiato non solo latino, ma anche greco (col Filelfo). Da Padova passò a Bologna per conseguire la laurea in diritto canonico, ma durante questo periodo gli morì il padre con le conseguenze indicate sopra, e con l'interruzione degli studi dovuta a ragioni economiche e di salute. L’avvenimento è di capitale importanza non soltanto per motivi sentimentali, ma per ragioni culturali, perché, come dice l’Alberti stesso nella sua autobiografia, si diede allora a studiare matematica e fisica come materie che richiedevano minori sforzi della memoria. Era a quel tempo probabilmente a Padova, e seguiva tra l’altro lezioni sull’ottica.
Comunque risale a quegli anni la base della sua formazione scientifica, senza la quale non sarebbe stato quella figura rara nel Quattrocento delle «due culture», cioè umanistica e insieme scientifica. Anche se tornò agli studi bolognesi, laureandosi in diritto canonico nel 1428, quella esperienza padovana dovette rimanere sempre con lui e con ciò spiegare fin dagli anni Trenta quell'elemento matematico che sottende le sue opere sulla prospettiva (De pictura), sulla topografia (Descriptio urbis Romae), sull’architettura, e magari tutta la sua visione della vita e del mondo come creazione ordinata da Dio. Ma questa tendenza scientifica non compare nelle prime opere di Battista, che sono tutte letterarie, sebbene vi appaia già il concetto dell'uomo padrone della propria sorte e quella fede nello spirito umano nutrito dalle buone lettere e capace di resistere all'avversa fortuna, che saranno temi costanti dell'Alberti scrittore: una commedia latina, Philodoxeos (1424), uno studio De commodis litterarum atque incommodis (1428-29) nel quale espone le difficoltà (sue e comuni) di chi sceglie, con molta fatica e poco reddito, la vita dello studioso; e le prime Intercoenales (prima del 1430) con molte allusioni alla propria sorte di orfano.
Secondo le informazioni della sua autobiografia, scrisse allora anche in volgare prose e versi di argomento amoroso con evidenti riferimenti personali: due dialoghi, Deiphira ed Ecatonfilea, che per il tema e lo stile richiamano le opere minori del Boccaccio (e furono tra le poche opere dell’Alberti stampate nel Quattrocento), e un gruppo di poesie notevoli per la loro forza espressiva e la varietà metrica. In senso più largo è pure notevole questa ripresa (accanto al consueto latino umanistico) delle tradizioni letterarie toscane da parte di uno scrittore allevato fuori della Toscana, che si dimostra, malgrado l’esilio, capace di usarne bene la lingua.
Solo all’Alberti poteva venire allora in mente l’idea di scrivere di sé come fosse un altro. L’Alberti è comunemente definito l’«uomo universale» per eccellenza del Quattrocento, ma la formula è troppo generica per cogliere la ricca e complessa personalità di uomo, scrittore e architetto che si è cercato di delineare in queste pagine, e che nella sua multiforme varietà eccede i limiti delle comuni definizioni dell’Umanesimo. Per la sua universalità rimane una figura atipica della sua epoca, nonché alquanto isolata, nota a molti ma conosciuta forse da pochi nella sua intimità. Pur tra le moltissime attività e i numerosi rapporti personali sembra un uomo appartato, immerso nella continua ricerca di cose nuove. Di lui scriveva il Poliziano nella premessa alla prima edizione del De re aedificatoria (Firenze 1485): «Nullae quippe hunc hominem latuerunt quamlibet remotae litterae, quamlibet reconditae disciplinae [...] cum tamen interim ita examussim teneret omnia, ut vix pauci singula». Tutta quella scienza, sia letteraria che scientifica e tecnica, è in lui coerente e interdipendente, e fondamento di una unica visione del mondo, dell’uomo e della natura.



Brunnelleschi:

Filippo di Ser Brunellesco Lippi detto Filippo Brunelleschi (Firenze, 1377 – 1446) è stato un architetto, ingegnere, scultore pittore e scenografo italiano del Rinascimento.
Le sue opere architettoniche sono tutte a Firenze, dove costruì sia edifici laici che ecclesiastici commissionati da organismi pubblici cittadini e da grandi committenti privati. Realizzò inoltre congegni idraulici e di orologeria.
Sua è l'invenzione della prospettiva a punto unico di fuga. Derivata dai principi dell'ottica medievale legati alle proprietà degli specchi, questa permetteva di creare spazio continuo in cui poter misurare oggettivamente la diminuzione in profondità dei corpi inseritivi, grazie al convergere delle ortogonali verso un unico punto di fuga.

Questa tecnica venne adottata anche dagli altri artisti perché si accordava con la nuova visione del mondo rinascimentale, che creava spazi finiti e misurabili in cui l'uomo era posto come misura di tutte le cose. A questi studi si riferiscono le due tavole raffiguranti due paesaggi urbani fiorentini: il Battistero fiorentino con alcune case circostanti, visto dalla porta del Duomo, e il Palazzo della Signoria e parte della Loggia vista dall'angolo nord-occidentale della piazza della Signoria. Oggi perdute, ma conosciute attraverso descrizioni, le tavole andavano guardate da dietro, attraverso un foro, e riflesse in uno specchio, così che l'occhio dello spettatore coincidesse con il punto di fuga.

Il metodo prospettico, basato su regole e relazioni numeriche, venne utilizzato da Brunelleschi nelle sue costruzioni architettoniche, insieme al recupero dei modi antichi, tanto nei tipi quanto nei modi di costruzione. Nei tipi, riprende gli ordini e l'uso dell'arco a tutto sesto, elementi indispensabili per la creazione di strutture modulari e per la razionalizzazione geometrica delle piante e degli alzati. Nei modi di costruzione, organizza in modo nuovo il cantiere e il lavoro edilizio, con lui la figura dell'architetto passò dal ruolo di sovrintendente ai lavori, alla pari con maestranze in larga misura operanti in modo autonomo, a un ruolo di intellettuale, che concepiva il progetto sia nella sua struttura generale che nei suoi particolari, progetto al quale dovevano sottostare tutti gli addetti ai lavori, fondando in questo modo la sua arte sulla matematica e sulla geometria che sono Arti Liberali.
La sua architettura si caratterizzò per la realizzazione di opere monumentali di ritmata chiarezza, costruite partendo da una o più misure di base corrispondenti a numeri interi, espressi in braccia fiorentine, da cui ricava multipli e sottomultipli per proporzionare l'edificio, sottolineata dall'uso della pietra serena grigia per le membrature su intonaco chiaro, in cui viene abolita la sovrastruttura dei particolari decorativi.

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