Help pleasee!
ciao ragazzi potreste aiutarmi a fare una piccola ricerca sui problemi a cui l'incremento demografico porta. e poi devo analizzare il caso di un paese che ha adottato la politica del controllo delle nascite tipo l'india. grazie mille in anticipo ma ho davvero bisogno di aiuto
Miglior risposta
Da tempo è aperto il dibattito sulla dinamica della popolazione nelle società industrializzate. Ma solo recentemente si è iniziato ad approfondire il tema in chiave strategica, proiettando gli orizzonti oltre la metà di questo secolo.
Le analisi internazionali cercano di scomporre i dati globali, i quali indicano, come è noto, la forte crescita demografica mondiale del Ventesimo secolo (da 1,6 a 6,1 miliardi di persone) ma soprattutto l’aumento del prodotto interno lordo mondiale, cresciuto secondo alcuni di quaranta volte. Purtroppo tutti questi dati su scala mondiale hanno una rilevanza statistica ma non strategica, in quanto rappresentano unicamente le medie di variabili assolutamente non omogenee nelle varie regioni del pianeta.
Sin dal 1980 le Nazioni Unite avevano elaborato stime relative, ad esempio, alla dinamica della popolazione nel bacino del Mediterraneo. Questa potrebbe raggiungere nel 2025 i 500-600 milioni di abitanti, quasi il doppio rispetto gli anni Ottanta. Ma mentre fino agli anni Cinquanta i due terzi della popolazione erano concentrati nel nord del bacino, dalla Spagna alla Grecia, nel 2025 solo un terzo degli abitanti occuperà la parte settentrionale, a causa della concomitanza tra la crescita zero europea e l’alto incremento demografico dei Paesi arabi. Infatti, le tendenze di fertilità sono alla radice degli scenari geopolitici prospettici dell’intera regione: i livelli sono sotto la soglia di sostituzione della popolazione nel nord (2,1 bambini per donna in età fertile) mentre gli indicatori sono molto alti nell’area mediterranea del sud-est (5 bambini per donna). Le stime prevedono una stabilizzazione stazionaria della popolazione del sud-est (crescita zero) non prima della fine di questo secolo, ed anche la struttura di età della popolazione giocherà il suo ruolo in questi scenari (a fronte dell’invecchiamento del nord, il sud-est presenterà enormi masse giovanili, con problemi per l’educazione, la formazione e la creazione di nuovi posti di lavoro).
Oggi però lo scenario globale di sicurezza ha imposto agli Stati dell’Occidente di elaborare proiezioni più specifiche per comprendere i ruoli, le economie e le potenzialità nei prossimi decenni.
Sono scenari, quelli che emergono, che danno l’Europa proiettata verso la non competitività geopolitica nell’arco di pochi decenni. E ciò non solo perché sono minori gli investimenti in ricerca e sviluppo rispetto gli Stati Uniti, ma in quanto autorevoli centri studi come l’Institut Français des Relations Internationales prevedono che la crescita europea in questa prima metà del secolo sarà la metà di quella degli Usa e un quarto di quella cinese.
Le discussioni sulla “decadenza” dell’Europa sono in atto da tempo, ma ora appaiono più concrete e fondate. Le istituzioni nazionali e sovranazionali europee sono sempre più orientate verso controverse forme di welfare e di tutele corporative, che guardano all’enorme numero di pensionati, ma raramente cercano una visione più prospettica. Le aspettative della dinamica demografica sono devastanti per il continente europeo: se proseguisse il trend di questo periodo in Germania, alla fine del secolo si prevedono 25 milioni di tedeschi anziché gli attuali 80, supportati da circa 250 mila immigrati l’anno che potrebbero garantire una popolazione totale a malapena di 40-50 milioni. E come già osservato per gli scenari mediterranei, l’alto afflusso di immigrazione islamica non potrà non influire sulla struttura compositiva delle nostre società.
Negli Stati Uniti la popolazione è cresciuta negli anni Novanta di 30 milioni di persone, ma soprattutto va sottolineato come circa un quarto dei 280 milioni di americani abbia meno di 18 anni: alla metà del secolo gli Usa avranno sì 400-500 milioni di abitanti, ma la ripartizione anagrafica sarà molto più bilanciata rispetto quella europea, con Stati come Italia e Spagna dove il rapporto pensionati/lavoratori sarà uno a uno.
Quale lo scenario guardando anche ad altre regioni? Le aree a più intensa crescita sono oggi l’Africa e l’India. La stessa Russia, come pure il Giappone, presentano fenomeni di declino demografico molto simili all’Europa (in Russia i dati parlano di una diminuzione di un milione di abitanti per anno, che porterà verso una prossima crisi della “massa critica” demografica in grado di mantenere l’enorme struttura della Federazione). Anche qui si prevede, per la metà del secolo, una diminuzione di abitanti di circa il 25-30 per cento rispetto gli attuali, ma in primo luogo una differente ripartizione tra slavi e islamici, questi ultimi in costante aumento. Dalla caduta dell’Urss ad oggi la Russia ha già perduto oltre 12 milioni di abitanti.
Nel 2050 si prevede inoltre il sorpasso dell’India, con 1,5 miliardi di abitanti, rispetto la Cina, che sconta le politiche di blocco demografico e che si troverà anch’essa a fronteggiare una popolazione di oltre un miliardo di anziani. La crescita delle popolazioni musulmane nel mondo, previste al 30 per cento nel 2050, è uno dei temi di maggiore attenzione da parte degli analisti geostrategici, che porta a diverse ipotesi di lavoro sul piano politico, compresa la dottrina americana dell’ “off-shore balancer”, l’intervento moderatore esterno per la stabilizzazione delle componenti islamiche sulla base del modello turco.
Non sono molti i Paesi o le regioni che godranno della potenzialità di mutare, in questo secolo, gli scenari geopolitici mondiali. Quelli che saranno colpiti da una decadenza demografica ed economica vedranno ineluttabilmente ridimensionato anche il loro ruolo politico e strategico e perderanno ogni possibilità di confrontarsi con l’unica vera grande potenza geopolitica del Ventunesimo secolo, gli Stati Uniti.
Sono escluse a priori dai giochi l’Africa e l’America Latina, sulle quali tutti gli analisti convergono nella conclusione della loro scarsa o nulla influenza strategica e geopolitica. La Cina viene aggettivata spesso sulla stampa, erroneamente, come destinataria di un grande boom, dimenticando che il “miracolo economico” di questo Paese è già avvenuto negli anni Novanta, mentre ora le proiezioni a lungo termine, dopo il 2050, danno vincente un altro Paese asiatico, l’India. La Cina continuerà a usufruire del forte sostegno economico derivante dalle esportazioni verso gli Stati Uniti (scontando però il peso di una popolazione in progressivo invecchiamento e il drammatico e schiacciante peso del welfare che la porterà alla crisi), ma il ruolo fondamentale in Asia sarà quello indiano, appena appannato da Paesi come il Giappone che soffrono la crisi demografica unita ad una ormai decennale stagnazione economica dopo gli anni della crescita esponenziale.
Per l’Europa di fine secolo purtroppo, malgrado le frenesie di alcuni governi, l’Institut Français des Relations Internationales prefigura senza mezze parole una “lenta, ma inesorabile uscita dalla storia” che è difficile, allo stato attuale, non condividere.
Appare scontato che queste analisi non vogliono evidenziare variabili come la qualità della vita o il livello di benessere sociale, che magari in nazioni come la Svizzera erano e restano competitive, e che garantiranno, per esempio in Europa e in Giappone, una relativa stabilità ed agiatezza. Ma il welfare di nazioni come la Svezia non potrà svolgere alcuna influenza nelle complesse ed articolate dinamiche geostrategiche che questi decenni ci porteranno ad affrontare, e di cui l’11 settembre è stato soltanto il prologo.
E’ per questo che le conseguenze geopolitiche della demografia sono oggi uno dei primi punti all’ordine del giorno anche nelle agende della sicurezza mondiale.
Un paese che ha adottato il controllo sulle nascite è la Cina, l’ordinamento giuridico della Cina viene spesso alla ribalta per la spinosa questione del rispetto dei diritti umani.
Eppure non si può nascondere come, retta da regime totalitario, sia attualmente, sotto vari profili, anzitutto economico-produttivi, la prima potenza mondiale, avendo pressoché esautorata anche la superpotenza degli USA, e imponente modello di efficienza e capacità di esportazione dei propri prodotti. Il che ci induce e forse legittima a una fondamentale considerazione preliminare: è necessario guardare alla Cina attraverso un’ottica oggettiva, cioè scevra da pregiudizi ideologici, ma al contempo “relativista”, ossia pronta a valorizzare le sue peculiarità storiche e culturali.
Ciò premesso, concentriamoci ora su una fondamentale questione dell’ordinamento cinese inserita nella più generale questione dei diritti umani: la politica di controllo delle nascite, a sua volta collegata al controllo del Governo cinese sulla popolazione e alla effettiva configurabilità e ampiezza del diritto alla procreazione in Cina.
Le analisi internazionali cercano di scomporre i dati globali, i quali indicano, come è noto, la forte crescita demografica mondiale del Ventesimo secolo (da 1,6 a 6,1 miliardi di persone) ma soprattutto l’aumento del prodotto interno lordo mondiale, cresciuto secondo alcuni di quaranta volte. Purtroppo tutti questi dati su scala mondiale hanno una rilevanza statistica ma non strategica, in quanto rappresentano unicamente le medie di variabili assolutamente non omogenee nelle varie regioni del pianeta.
Sin dal 1980 le Nazioni Unite avevano elaborato stime relative, ad esempio, alla dinamica della popolazione nel bacino del Mediterraneo. Questa potrebbe raggiungere nel 2025 i 500-600 milioni di abitanti, quasi il doppio rispetto gli anni Ottanta. Ma mentre fino agli anni Cinquanta i due terzi della popolazione erano concentrati nel nord del bacino, dalla Spagna alla Grecia, nel 2025 solo un terzo degli abitanti occuperà la parte settentrionale, a causa della concomitanza tra la crescita zero europea e l’alto incremento demografico dei Paesi arabi. Infatti, le tendenze di fertilità sono alla radice degli scenari geopolitici prospettici dell’intera regione: i livelli sono sotto la soglia di sostituzione della popolazione nel nord (2,1 bambini per donna in età fertile) mentre gli indicatori sono molto alti nell’area mediterranea del sud-est (5 bambini per donna). Le stime prevedono una stabilizzazione stazionaria della popolazione del sud-est (crescita zero) non prima della fine di questo secolo, ed anche la struttura di età della popolazione giocherà il suo ruolo in questi scenari (a fronte dell’invecchiamento del nord, il sud-est presenterà enormi masse giovanili, con problemi per l’educazione, la formazione e la creazione di nuovi posti di lavoro).
Oggi però lo scenario globale di sicurezza ha imposto agli Stati dell’Occidente di elaborare proiezioni più specifiche per comprendere i ruoli, le economie e le potenzialità nei prossimi decenni.
Sono scenari, quelli che emergono, che danno l’Europa proiettata verso la non competitività geopolitica nell’arco di pochi decenni. E ciò non solo perché sono minori gli investimenti in ricerca e sviluppo rispetto gli Stati Uniti, ma in quanto autorevoli centri studi come l’Institut Français des Relations Internationales prevedono che la crescita europea in questa prima metà del secolo sarà la metà di quella degli Usa e un quarto di quella cinese.
Le discussioni sulla “decadenza” dell’Europa sono in atto da tempo, ma ora appaiono più concrete e fondate. Le istituzioni nazionali e sovranazionali europee sono sempre più orientate verso controverse forme di welfare e di tutele corporative, che guardano all’enorme numero di pensionati, ma raramente cercano una visione più prospettica. Le aspettative della dinamica demografica sono devastanti per il continente europeo: se proseguisse il trend di questo periodo in Germania, alla fine del secolo si prevedono 25 milioni di tedeschi anziché gli attuali 80, supportati da circa 250 mila immigrati l’anno che potrebbero garantire una popolazione totale a malapena di 40-50 milioni. E come già osservato per gli scenari mediterranei, l’alto afflusso di immigrazione islamica non potrà non influire sulla struttura compositiva delle nostre società.
Negli Stati Uniti la popolazione è cresciuta negli anni Novanta di 30 milioni di persone, ma soprattutto va sottolineato come circa un quarto dei 280 milioni di americani abbia meno di 18 anni: alla metà del secolo gli Usa avranno sì 400-500 milioni di abitanti, ma la ripartizione anagrafica sarà molto più bilanciata rispetto quella europea, con Stati come Italia e Spagna dove il rapporto pensionati/lavoratori sarà uno a uno.
Quale lo scenario guardando anche ad altre regioni? Le aree a più intensa crescita sono oggi l’Africa e l’India. La stessa Russia, come pure il Giappone, presentano fenomeni di declino demografico molto simili all’Europa (in Russia i dati parlano di una diminuzione di un milione di abitanti per anno, che porterà verso una prossima crisi della “massa critica” demografica in grado di mantenere l’enorme struttura della Federazione). Anche qui si prevede, per la metà del secolo, una diminuzione di abitanti di circa il 25-30 per cento rispetto gli attuali, ma in primo luogo una differente ripartizione tra slavi e islamici, questi ultimi in costante aumento. Dalla caduta dell’Urss ad oggi la Russia ha già perduto oltre 12 milioni di abitanti.
Nel 2050 si prevede inoltre il sorpasso dell’India, con 1,5 miliardi di abitanti, rispetto la Cina, che sconta le politiche di blocco demografico e che si troverà anch’essa a fronteggiare una popolazione di oltre un miliardo di anziani. La crescita delle popolazioni musulmane nel mondo, previste al 30 per cento nel 2050, è uno dei temi di maggiore attenzione da parte degli analisti geostrategici, che porta a diverse ipotesi di lavoro sul piano politico, compresa la dottrina americana dell’ “off-shore balancer”, l’intervento moderatore esterno per la stabilizzazione delle componenti islamiche sulla base del modello turco.
Non sono molti i Paesi o le regioni che godranno della potenzialità di mutare, in questo secolo, gli scenari geopolitici mondiali. Quelli che saranno colpiti da una decadenza demografica ed economica vedranno ineluttabilmente ridimensionato anche il loro ruolo politico e strategico e perderanno ogni possibilità di confrontarsi con l’unica vera grande potenza geopolitica del Ventunesimo secolo, gli Stati Uniti.
Sono escluse a priori dai giochi l’Africa e l’America Latina, sulle quali tutti gli analisti convergono nella conclusione della loro scarsa o nulla influenza strategica e geopolitica. La Cina viene aggettivata spesso sulla stampa, erroneamente, come destinataria di un grande boom, dimenticando che il “miracolo economico” di questo Paese è già avvenuto negli anni Novanta, mentre ora le proiezioni a lungo termine, dopo il 2050, danno vincente un altro Paese asiatico, l’India. La Cina continuerà a usufruire del forte sostegno economico derivante dalle esportazioni verso gli Stati Uniti (scontando però il peso di una popolazione in progressivo invecchiamento e il drammatico e schiacciante peso del welfare che la porterà alla crisi), ma il ruolo fondamentale in Asia sarà quello indiano, appena appannato da Paesi come il Giappone che soffrono la crisi demografica unita ad una ormai decennale stagnazione economica dopo gli anni della crescita esponenziale.
Per l’Europa di fine secolo purtroppo, malgrado le frenesie di alcuni governi, l’Institut Français des Relations Internationales prefigura senza mezze parole una “lenta, ma inesorabile uscita dalla storia” che è difficile, allo stato attuale, non condividere.
Appare scontato che queste analisi non vogliono evidenziare variabili come la qualità della vita o il livello di benessere sociale, che magari in nazioni come la Svizzera erano e restano competitive, e che garantiranno, per esempio in Europa e in Giappone, una relativa stabilità ed agiatezza. Ma il welfare di nazioni come la Svezia non potrà svolgere alcuna influenza nelle complesse ed articolate dinamiche geostrategiche che questi decenni ci porteranno ad affrontare, e di cui l’11 settembre è stato soltanto il prologo.
E’ per questo che le conseguenze geopolitiche della demografia sono oggi uno dei primi punti all’ordine del giorno anche nelle agende della sicurezza mondiale.
Un paese che ha adottato il controllo sulle nascite è la Cina, l’ordinamento giuridico della Cina viene spesso alla ribalta per la spinosa questione del rispetto dei diritti umani.
Eppure non si può nascondere come, retta da regime totalitario, sia attualmente, sotto vari profili, anzitutto economico-produttivi, la prima potenza mondiale, avendo pressoché esautorata anche la superpotenza degli USA, e imponente modello di efficienza e capacità di esportazione dei propri prodotti. Il che ci induce e forse legittima a una fondamentale considerazione preliminare: è necessario guardare alla Cina attraverso un’ottica oggettiva, cioè scevra da pregiudizi ideologici, ma al contempo “relativista”, ossia pronta a valorizzare le sue peculiarità storiche e culturali.
Ciò premesso, concentriamoci ora su una fondamentale questione dell’ordinamento cinese inserita nella più generale questione dei diritti umani: la politica di controllo delle nascite, a sua volta collegata al controllo del Governo cinese sulla popolazione e alla effettiva configurabilità e ampiezza del diritto alla procreazione in Cina.
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grazie mille!!